Sono passati ormai quattro anni dal loro ultimo album Specter At The Feast, tra bassi ruvidi, ritmi martellanti, chitarre come katane e una voce che sembrava rubata a un killer direttamente da un girone dell’inferno. Durante il lunghissimo periodo di silenzio c’è stato un tour, quello del 2015, messo in piedi sfidando il destino, e soprattutto una terribile malattia, la Malformazione di Chiari – un raro disturbo che restringe il flusso del liquido spinale tra cervello e spina dorsale – da cui era stata improvvisamente colpita Leah Shapiro, la batterista dei Black Rebel Motorcycle Club.
Leah in questi anni ha vissuto in un limbo oscuro, dentro un loop asfissiante di cure devastanti, medicinali e terapie che la stavano trascinando in un abisso in cui la luce della ‘normalità’, e soprattutto la musica, sembravano ogni giorno più distanti. «Ho cominciato a scrivere molto sulla morte, a discutere con la morte» ha detto il chitarrista Peter Heyes del nuovo album Wrong Creatures, in arrivo il prossimo 12 gennaio. E chi meglio di Leah poteva raccontarci, o quanto meno farci immaginare, cosa significhi sfidare per anni la morte ogni giorno, quasi ci si trovasse intrappolati nella partita a scacchi dipinta da Bergman ne Il settimo sigillo.
«Il titolo significa proprio il sentirsi intrappolati nel proprio corpo, il sentimento per cui ci si sente soffocare nella propria stessa pelle, stranieri difronte a se stessi e lontani dall’ideale di ‘creature perfette’ che crediamo di inseguire ogni giorno», mi racconta Leah Shapiro mentre parla del lavoro dietro Wrong Creatures.
Cosa puoi anticiparci del nuovo album?
Siamo ai tocchi finali ma credo sia un ottimo disco, molto più oscuro degli altri ma con una grossa componente psichedelica, mentre i testi sono molto studiati e introspettivi. Abbiamo lavorato molto duramente per fare questo album: ci è voluto molto più tempo rispetto ai lavori precedenti, tra il tour e ovviamente i miei problemi di salute.
Credi che la tua malattia abbia influito sulla composizione di Wrong Creatures?
È certamente parte del nuovo album: affrontare un ‘nemico’ del genere è stato terrificante sia per me che per il resto della band (Peter Heyes e Robert Levon Been, nda). Anzi, credo che in un certo senso per loro sia stato ancora più angosciante: assistere inermi senza poter fare nulla per aiutare chi ti sta davanti. Era una situazione quasi ‘umiliante’, ogni giorno di più perdevo il controllo che credevo di avere sulla mia vita mentre vedevo il mio futuro appiattirsi.
Come hai vissuto questi anni in cui hai combattuto e sconfitto la malattia?
Affrontare la totale mancanza di controllo sul proprio corpo è stata una sfida enorme ed è stata durissima superarla, fin dalla scelta del chirurgo o del processo di riabilitazione che mi aiutasse a ritrovare me stessa in fondo al tunnel. È un percorso lunghissimo e devastante, per un cazzo divertente. Ci sono migliaia di incognite e ogni scelta che fai potrebbe esserti fatale.
Abbiamo fatto un tour a sei mesi dal mio intervento, e forse, guardandomi indietro, non è stata una grande idea tornare in tour così presto. Ma allo stesso tempo ne sentivo la necessità: ero mentalmente distrutta da tutte le terapia, i continui check up, le medicine che ormai facevano parte della mia routine da così tanto tempo. Stavo iniziando a perdere le motivazioni per tornare alla vita normale, ero lontano da così tanto tempo dal mio mondo e soprattutto dalla musica. Quel tour dell’estate 2015 è stata davvero una manna dal cielo per me: durissimo fisicamente dato che ovviamente non ero al meglio, anzi ero ancora a pezzi, ma mi ha caricato per tornare a essere totalmente me stessa e continuare la riabilitazione.
Quanto tempo è durata la riabilitazione?
Sei mesi in cui andavo tre volte alla settimana in riabilitazione fisica e una volta alla settimana dall’osteopata. Naturalmente ogni giorno a casa dovevo anche fare tantissimi esercizi. È stato un tunnel che sembrava non finire mai, ho toccato più volte la depressione, ero esasperata dalla terapia. Avevo bisogno di tornare alla mia vita, alla musica, ed è stato incredibile poter di nuovo suonare.
Cosa di aspetti quindi da questa tua ‘nuova vita’ in tour?
Non ho ancora un’idea precisa, ora sono finalmente felicissima perché suonare dal vivo è la cosa che più amo al mondo. Sicuramente ci vorranno i primi show perché torni a diventare una routine, ci sarà sicuramente da sconfiggere un po’ di insicurezza dato che sono ferma da tanto. Il segreto è non pensare a quello che potrebbe andare storto ma farsi rapire dalla musica, e il resto verrà da se.
Durante una nostra intervista Josh Homme scherzava sulla morte del rock. Tu cosa ne pensi?
Non credo che il rock’n’roll morirà mai. Il tempo è fatto di corsi e ricorsi e oggi c’è molta più musica di merda in giro rispetto a un buon rock’n’roll fatto da musicisti talentuosi e interessanti, ma sono sicuro che in futuro tornerà. In realtà non presto molta attenzione a quello che sta succedendo nel pop o nel rap, non ascolto le radio commerciali ma ho sempre scelto io la musica che volevo ascoltare, probabilmente non so neanche bene quanto sia grave lo stato di salute della musica moderna (ride). Credo che il rock’n’roll abbia ancora tanto da dire ed è per questo che continuiamo a fare tour, a portare la nostra musica in giro per il mondo, ad assorbire l’energia del pubblico in ogni serata che facciamo, lasciandoci trasportare canzone dopo canzone, insieme alla gente come fosse una collaborazione. Tutti connessi insieme attraverso alla musica.
Noi non vediamo l’ora di sentire Leah e i suoi Black Rebel Motorcycle Club il 30 novembre per l’unica data italiana sul palco del Fabrique di Milano.