Chiusa la celebrazione live del disco d’esordio che li ha resi celebri, i londinesi Bloc Party hanno completato un ciclo creativo con Alpha Games, un album vitale ed elettrico come ci si aspettava dopo la pausa da lockdown. C’è una linea che lega Silent Alarm, il debutto del 2005, al recente ritorno sulle scene del quartetto, un filo di elettricità che sprigiona energia in ogni traccia, una carica ritmica potente che rinnova le dinamiche sonore della band. Perché i Bloc Party hanno l’estro di unire ruvidezza rock e appetibilità mainstream, credibilità alternative e potenzialità radiofonica.
«All’inizio, mentre scrivevamo i brani di Silent Alarm, non sapevamo cosa stavamo facendo, ma in un certo senso eravamo consapevoli di possedere quel tipo di energia derivante dal suonare tutti insieme», racconta Kele Okereke, fondatore della band assieme a Russell Lissack. «Non riesco neppure a dire da dove provenisse quella forza. Abbiamo cercato di spingerci a fare tutto ciò che potevamo e penso che, in seguito, abbiamo imparato a utilizzare diverse tecniche, sia nella fase di scrittura che di performance».
Nelle 12 tracce di Alpha Games si sente infatti scorrere l’adrenalina del dance rock e la melodicità della scrittura anni ’80 in stile britannico, ma sono proprio le chitarre ritmicamente concitate a tenere banco assieme alla voce di Kele. Le composizioni tendono ad esplodere, i riff ad accelerare, fino a quando non emerge la matrice pop e la band rallenta i ritmi. «Alpha Games arriva dopo due anni di lavoro, un periodo in cui siamo stati stranamente vulnerabili. Non eravamo pienamente coscienti di ciò che stavamo davvero facendo e quando siamo entrati in studio abbiamo registrato l’album mentre lo stavamo ancora terminando di scrivere. Devo dire che è stato fantastico, davvero liberatorio, perché si è trattato di un modo diverso di lavorare. Sapevamo di avere bisogno di sentirci uniti come band, di suonare l’uno affianco all’altro, di far rimbalzare le idee. Inoltre nel 2018 e 2019 abbiamo suonato dal vivo Silent Alarm e penso che questo ci abbia aiutato a galvanizzare l’energia per scrivere il nuovo materiale».
L’arrivo della pandemia ha bloccato tutto per un anno e mezzo, un periodo che si è rivelato frustrante per Kele Okereke. «Ero preoccupato a livello creativo e questo mi ha motivato a registrare un disco solista molto diverso da ciò che si può sentire con Alpha Games. Per me è stato bello avere uno sfogo, scrivere nuova musica e incanalare l’ansia che stavo provando, perché in quei mesi non sapevo neppure se il mondo sarebbe tornarto alla normalità o se la mia vita da musicista in tournée sarebbe finita».
The Waves Pt. 1 è stata una sorpresa decisamente positiva nel percorso artistico di Okereke, un disco notturno in cui i loop di chitarra si sovrappongono in armonia, con fraseggi che trasportano l’ascoltatore lontano dai suoni dei Bloc Party. Privo di percussioni e tutto costruito su fascinazioni che passano dalla sperimentazione newyorchese di fine anni ‘70 alle improvvisazioni post rock, The Waves Pt. 1 è la cartina al tornasole di un talento capace di spaziare attraverso i generi e gli stili, frutto anche di un’esperienza sul campo. «Negli ultimi vent’anni abbiamo viaggiato molto per il mondo», spiega Kele, «visitando posti diversi, incontrando persone differenti e collezionando tantissime esperienze. Abbiamo potuto esplorare molti generi musicali semplicemente aprendoci a ciò che incontravamo, a tutti i colori e alle trame della musica contemporanea. D’altro canto, in termini di geopolitica, mi sembra che molte cose siano cambiate rispetto alla metà degli anni ‘90. Ho visto l’ascesa di un certo tipo di ideologia di destra, cosa che mi preoccupa rispetto alla direzione che sta seguendo il mondo. Gli ultimi 20 anni hanno portato alla ribalta la figura dell’uomo forte, autoritario, a cui non importa cosa accade alle altre persone. Lo stiamo ovviamente vedendo con ciò che sta accadendo in Ucraina e credo che questa guerra sia quasi una combinazione di molte cose che sono peggiorate negli ultimi cinque o sei anni».
Una delle cose che è cambiata in questo lasso di tempo è anche l’attenzione suscitata dal post punk, una tendenza che nel recente periodo è letteralmente esplosa e che per i Bloc Party è parte del DNA fin dall’inizio. «Devo essere onesto», ammette il cantante, «quando dici che il post punk sta nuovamente esplodendo io non ne sono consapevole, in questo momento non mi sento connesso con la scena. Non conosco nessuna nuova band, perché dal periodo di lockdown ho vissuto in un tipo di spazio differente, senza andare agli show, senza ascoltare la radio, ma va bene così… come musicista probabilmente è meglio che io non conosca troppo del panorama attuale, non voglio essere influenzato né a livello consapevole né inconsapevole».
In effetti Alpha Games non può essere circoscritto al solo post punk, dato che i riferimenti spaziano attraverso il passato e il presente, facendo anche pensare alla vocalità di Marc Almond in Tenement Symphony o di Morrissey in Alma Matters. Eppure il riferimento al leader degli Smiths blocca Kele, che non gradisce l’accostamento. «Si tratta di un argomento difficile per me, perché ovviamente sono cresciuto nel Regno Unito, mi piace la musica alternativa e le persone amano molto gli Smiths, o almeno li amavano fino a poco tempo fa. È una di quelle band che piace a tutti, anche perché la loro musica viene sempre suonata nei club indie ed è capace di creare grande affetto. Ma non c’è una loro influenza in questo disco, al massimo ci potrebbe essere un’influenza di seconda o terza mano dato che la loro musica è così diffusa in Gran Bretagna, tanto che non puoi fare a meno di ascoltare le loro canzoni e legarle a bei ricordi. Ciononostante, non sono un fan di Morrissey e di ciò che oggi rappresenta. Per me lui oggi raffigura qualcosa di brutto e divisivo per la musica britannica, quindi voglio essere chiaro sul fatto che, qualsiasi cosa positiva abbia mai detto su Morrissey o sugli Smiths, non è quello che provo in questo momento. Trovo rivoltanti le cose che ha affermato negli ultimi anni e tutto l’amore che ho provato per la loro musica – o per quello che erano – è scomparso e non voglio esservi associato. Penso però che Johnny Marr sia un musicista meraviglioso e un chitarrista molto creativo, sono più interessato a questo aspetto rispetto a quel che fa Morrissey».
Alpha Games appare da subito un disco votato alla dinamicità, spigoloso e allo stesso tempo melodico, pop ma alternativo, giocato sui contrasti e sugli ossimori. Un album molto diverso da Hymns, dove fede e spiritualità erano al centro di una scrittura convincente, verso cui critica e pubblico sono stati insolitamente severi e intransigenti. «Penso che la fede e la spiritualità siano parti importanti di come mi vedo oggi e di ciò che scelgo di scrivere. In Alpha Games l’attenzione sembra essere sui temi del conflitto e dell’aggressività, ma si tratta di un progetto sonoro specifico ed è stato eccitante buttarli fuori. Quando ho scritto Hymns ho potuto guardarmi dentro e proporre i miei pensieri e le mie idee come musicista».
Ora è tempo di tornare alla vita dei tour, ai mesi fuori casa e alla performance sul palco, una dimensione che a Kele è senza dubbio mancata ma la cui interruzione gli ha anche permesso di dedicarsi alla famiglia. Il musicista è infatti padre, assieme al suo compagno, di un bambino e una bambina che nel periodo del lockdown avevano rispettivamente sei mesi e tre anni e mezzo. «Sono eccitato, sono entusiasta di suonare di fronte alla gente perché non l’abbiamo fatto per così tanto tempo. Sono sensazioni che mi sono mancate, ma allo stesso tempo in quell’anno di pandemia ho avuto la possibilità di stare a casa e passare del tempo con i miei figli. È stata un’esperienza speciale, perché non sono quasi mai in grado di essere con loro per lunghi periodi, dato che siamo sempre in tour. Mi è piaciuto avere di nuovo una vita domestica, quel tipo di routine, ma ora siamo pronti a tornare sui palchi».