Siamo in Gran Bretagna, fra la fine degli 80’s e l’inizio di quella che da molti è considerata una delle epoca d’oro della musica albionica contemporanea. Prima eletti alfieri della compilation simbolo dell’indie Made In UK che definì il suono degli anni successivi, la C86 di NME, poi un album, Sreamadelica, grazie cui i Primal Scream diventarono – probabilmente a loro insaputa – la band con uno dei nomi più azzeccati della storia.
Non c’è infatti definizione migliore per riassumere l’importanza del gruppo capitanato da Bobby Gillespie che quell'”urlo primordiale” in cui, per la prima volta nella storia, le chitarre del rock alternative si fondevano ai ritmi e all’immaginario della rave culture imperversante oltre manica. Urlo che, consapevole o meno che fosse, rappresenta allo stesso tempo il tocco di diapason da cui presero a man bassa gli epigoni spuntati come funghi negli anni che seguirono.
Dalla scena MaDchester fino al britpop, nessuno uscì illeso dal caleidoscopio ritratto dai Primal Scream con Screamadelica. Nessuno, tranne loro. «Cominciammo a scrivere le canzoni per l’album successivo durante il tour di Screamdelica e sentivamo che per noi era necessario un cambio di rotta», racconta al telefono la voce di Bobby Gillespie, come sempre incastonata nell’inconfondibile accentaccio scozzese. «Non c’è un motivo particolare per cui decidemmo di abbandonare le sonorità di quel disco, avevamo sicuramente canzoni con un ‘tiro’ diverso, soprattutto ballad, ma sentivamo che sarebbe stato un errore continuare in quella direzione», aggiunge il frontman dei Primal Scream, ripercorrendo i giorni del ‘gran rifiuto’ con cui la band uccise sul nascere il suono nato dall’incontro ‘lisergico’ con Andrew Weatherall e traslato in quell’album del 1991, diventato un cult fin da quel primo passaggio di Loaded azzardato dalla consolle del Subterania Club.
Era il 1994 quando uscì Give Out But Don’t Give Up, un lavoro tanto atteso quanto disarmante, che lasciò interdetta la critica, tra una copertina con la bandiera sudista e un omaggio agli Stones e al rock più ‘reazionario’, per di più appesantito da sessioni in studio babeliche: «Nel ’94 fu come se Give Out But Don’t Give Up fosse un disco remix di un album mai uscito, nessuna delle canzoni uscì come era stata pensata, ma nella sua versione remix», continua Gillespie, raccontando i continui passaggi dell’album tra le mani di produttori agli antipodi – da Tom Dowd a George Clinton, per intenderci. «Sinceramente non ricordo perché decidemmo di far uscire l’album in quel modo, forse volevamo rendere i brani più taglienti, non ne ho assolutamente idea, d’altra parte quello per noi era un periodo decisamente oscuro…» aggiunge Gillespie, cercando di ripescare dalla memoria i giorni in cui con i Primal Scream ci dava decisamente dentro anche se, giura, «durante le registrazioni a Memphis lavoravamo veramente duro, non c’era tempo per far baldoria».
«Qualche anno fa Andrew (Innes, il chitarrista dei Primal Scream, nda) ha trovato i nastri con le registrazioni originali, ed è stato come ascoltare l’idea da cui partì Give Out But Don’t Give Up. Un lavoro straordinario, estremamente preciso nella produzione e nell’esecuzione, risentire alcune di quelle canzoni mi ha lasciato senza parole». Ecco spiegata la ragione per Original Memphis Sessions, LP con le canzoni del quarto album dei Primal Scream spogliate dagli orpelli con cui vennero presentate. Un disco uscito poche settimane fa quasi fosse una risposta a chi, nel 1994, osservò Give Out But Don’t Give Up quasi fosse il suicidio della band più promettente del tempo: «Certamente quel lavoro da molti non fu compreso, ma per molti altri rimane l’album migliore dei Primal Scream. Alcune canzoni, come Rocks o Jailbird, diventarono delle hit proprio per quel tocco glam e cafone della versione remixata, forse non sarebbe stata la stessa cosa, chi può dirlo».
«Tuttavia credo che Give Out But Don’t Give Up, e questa ‘nuova’ veste in particolare, siano la testimonianza dell’ultimo periodo in cui la musica avesse davvero qualcosa da dire. Soprattutto il rock ha perso quell’importanza epocale che ha avuto nei 60’s e nei 70’s e credo che i Primal Scream siano stati gli ultimi a suonare una musica basata sul blues, il vero rock & roll. Tutto quello che è venuto dopo, con il rock & roll non c’entra nulla, è stato tutto troppo autoreferenziale e non ha avuto nessuna rilevanza sul mondo, il britpop ad esempio è stato ‘importante’ soltanto in Gran Bretagna…. ma non voglio parlare del fottuto britpop, non ha niente a che vedere con i Primal Scream».