A Glasgow, quando le storie si fanno tese e due persone si guardano storto, ce n’è sempre una che dice: come ahead. È un po’ come il nostro: dài, provaci. Bobby Gillespie ha deciso di intitolare proprio Come Ahead il nuovo album dei Primal Scream, in uscita venerdì 8 novembre. Il dodicesimo in studio di una storia ormai quarantennale, il primo da tempo immemorabile registrato senza l’apporto del tastierista Martin Duffy, scomparso alla fine del 2022. Un album molto politico nei testi e molto funk nei suoni, molto diverso dal precedente Chaosmosis (2016), a segnare una discontinuità tra un capitolo e l’altro che ha sempre caratterizzato la vicenda Primal Scream. Ai controlli, il ritorno di David Holmes, già al lavoro su More Light (2013), fortemente voluto nelle vesti di produttore dallo stesso Gillespie, che in collegamento da Londra ci ha raccontato il percorso che ha condotto all’uscita dell’album.
Come Ahead arriva otto anni dopo Chaosmosis. Nella storia della band non c’era mai stato un silenzio discografico così lungo.
Dopo l’uscita di Chaosmosis e il relativo tour, ho lavorato fino alla fine del 2018 per scrivere, registrare e mixare Utopian Ashes, l’album con Jenny Beth che è uscito due anni dopo il previsto. Intanto nel 2020 mi ero messo a scrivere Tenement Kid, la mia autobiografia. Ci sono stato sopra tutto l’anno e parte dell’anno successivo. L’anno scorso ho anche fatto la colonna sonora di 5 Hecters, un film francese della regista Emilie Deleuze. Insomma, ne ho fatte di cose: è passato così tanto tempo dall’ultimo album anche per ragioni pratiche.
Nel materiale stampa relative al nuovo album, si legge che hai detto a David Holmes che non eri sicuro che i Primal Scream avrebbero più fatto un nuovo album. Cos’è che ti ha fatto cambiare idea?
È vero, non ero sicuro che l’avremmo fatto. All’inizio del 2020, proprio prima del Covid, sentivo che era il momento di ripensare ai motivi per tenere ancora insieme una band e chiederci se avevamo intenzione di andare avanti, e come. Eravamo fermi nel ciclo infinito durante il quale a un album segue un tour, a cui seguono un altro album e un altro tour, e così via. Avevamo bisogno di prenderci del tempo libero e ripensare a come avremmo dovuto fare musica negli anni successivi. Sapevo che ci sarebbero dovuti essere dei cambiamenti. Credo sia importante pensare a quello che si sta facendo, al perché lo si fa e a cosa eventualmente si vuole creare in futuro. Non si può lavorare sempre allo stesso modo, ogni tre anni è meglio cambiare le cose e ripensarle, altrimenti si rischia di ripetersi all’infinito.
Questa necessità di cambiamento sembra essere una costante nella storia della band.
Abbiamo sempre voluto sperimentare e rendere le cose interessanti, non solo per noi ma anche per chi ci ascolta. Certo, così è faticoso essere un fan dei Primal Scream. Ma non mi piacciono le band che sono schiave di se stesse, e i cui fan sanno sempre cosa arriverà. Non sarebbe corretto fare nomi, ma penso di aver reso l’idea.
Sulla copertina del nuovo album c’è una foto molto cool di tuo padre. Hai detto che era un socialista che ha combattuto per tutta la vita per la giustizia sociale, e che parte dei temi dell’album riflettono ciò in cui credi e il modo in cui sei stato allevato. Forse i giovani Primal Scream non avrebbero scelto la stessa foto, perché il rock’n’roll è anche andare contro i propri genitori. Quando non si è più tanto giovani però le cose cambiano. Quand’è che hai iniziato a considerare tuo padre come una parte di ciò che sei ora?
Penso sia successo quando io stesso ho avuto dei figli. Fino a quel momento non capisci cos’ha significato per tua madre e tuo padre essere genitori. Non hai idea dei sacrifici che hanno dovuto affrontare. Mi riferisco in particolare alla perdita della libertà. Quando sono nato, mio padre aveva 21 anni e mia madre 19: erano molto giovani, praticamente dei teenager. A me e a mio fratello hanno dato tutta la loro vita, e a questa cosa non avevo mai pensato finché io stesso non ho avuto dei figli. Alla nascita del primo avevo già 41 anni, 20 in più dei miei genitori quando sono nato io. Ho avuto 20 anni di una liberta che loro non hanno avuto.
Da quando era entrato nella band, questo è il primo album dei Primal Scream senza Martin Duffy, scomparso alla fine del 2022. Suo figlio ha detto che non siete stati giusti con lui, anche dal punto di vista economico. C’è qualcosa che vuoi dire a proposito?
Sono state dette un sacco di cose non vere al riguardo. Martin era un alcolista e questo condizionava in maniera molto negativa il suo essere un musicista. Avevamo deciso di fare qualcosa per cercare di aiutarlo, ci siamo offerti di pagargli delle cure di riabilitazione, ma si è rifiutato con forza. Abbiamo pagato una persona che lo aiutasse, ma dopo qualche settimana ha smesso di vederla. Non voleva ammettere di avere un problema con l’alcol. Sul momento, per varie ragioni, abbiamo deciso di non replicare alle accuse che ci sono state mosse, ma posso assicurarti che ci siamo presi cura di lui, e ce l’abbiamo messa veramente tutta per aiutarlo con la sua dipendenza, oltre a pagarlo fino a dopo la sua morte.
Per quanto riguarda i Primal Scream di oggi, nel materiale stampa si legge che per registrare il nuovo album sei andato a casa di David Holmes a Belfast per cantare sulle sue tracce ritmiche. Poi basso, batteria e percussioni sono stati registrati a Los Angeles e infine Andy Innes ci ha aggiunto separatamente le sue chitarra e le sue tastiere. Come mai avete lavorato in questo modo e non tutti insieme in maniera più tradizionale?
Il motivo è che per questo disco volevo che ci fosse un produttore, mentre di solito Andy e io siamo i co-produttori degli album dei Primal Scream. Stavolta volevo essere solo il cantante e il songwriter, ma non il produttore, un ruolo che volevo fosse coperto da David. Il processo per arrivare al disco finito è stato più o meno questo. David mi mandava dei breakbeat e io vedevo se c’erano delle canzoni che avevo già scritto e che potevano funzionare con le sue idee di base. Poi lui mandava dei demo alla sua sezione ritmica a Los Angeles, con dentro i suoi breakbeat e me che ci cantavo sopra e suonavo la chitarra. Davey Chadwitten (percussioni), Jason Falkner (basso) e Jay Bellerose (battieria) ci aggiungevano la parte ritmica e quello che ne veniva fuori era una versione incredibile del pezzo, su cui io cantavo di nuovo. Alla fine Andy ci metteva la sua chitarra e le sue tastiere. Tutte le tastiere del nuovo album sono sue. Se ci senti dell’elettronica, un sintetizzatore o un suono psichedelico fatto con un sequencer, è roba sua.
In generale preferisci questo modo di lavorare?
Sono anni che lavoriamo così, non è che ci chiudiamo in studio. A volte è successo, ma la maggior parte delle volte no. Diciamo che il nostro modo di lavorare somiglia più a quello dell’hip hop, quindi il modo in cui abbiamo lavorato con David non è stato inusuale per noi. Certo, se vedi una foto dei Primal Scream sei portato a pensare che sono dei tipi che fanno parte di una band, con uno che scrive una canzone che poi si trovano tutti in studio a registrare. Ma a noi è successo di rado.
Prima hai citato Tenement Kid, la tua autobiografia. Molte pagine del libro sono dedicate agli anni in cui essere un musicista era solo un sogno rock’n’roll. Ora che l’hai realizzato e che hai 63 anni, come vivi il tuo stare in una band?
Il mio sogno rock’n’roll era quello di vivere la vita dell’artista e non dover lavorare in fabbrica con un padrone che ti dice quello che devi fare. Non dover vivere guardando l’orologio come fanno i lavoratori dipendenti. Il sogno era essere una persona creativa e camparci, essere libero dallo stipendio, dall’età e dalla schiavitù del lavoro. È qualcosa che viene dal mio essere nato in Scozia, una regione working class che aveva preparato per me quel destino. È per questo che faccio l’artista, e il mio sogno rock’n’roll l’ho realizzato. Oggi ho 63 anni ma per me quello che conta è ancora quello che faccio: farlo bene e cercare di trovare la mia voce come artista.
Quando eri giovane, per te il rock’n’roll non era anche uno stile di vita ?
La cosa più importante per me era essere un artista. Ovviamente negli anni ’90 ci sono state le feste, le ragazze, un po’ di droghe e quelle cose là. Ma è quello che qualunque giovane avrebbe fatto, o almeno ci avrebbe provato: che tu stia in una band o abbia un lavoro normale, vuoi uscire e divertirti.
Tornando al nuovo album, nel singolo Love Insurrection c’è una voce femminile che recita parole in italiano. Come mai questa scelta?
C’era questa musicista italiana, Anna Caragnano, che stava lavorando con David a Belfast alla realizzazione della colonna sonora della serie The Woman in the Wall. Mentre era là, è stato lo stesso David a suggerire che mettesse la sua voce su Love Insurrection. Non ho idea del motivo per cui l’ha suggerito, ma ho detto che per me era ok, a condizione che fossi io a scrivere le parole. Quindi le ho scritte e lei le ha tradotte e poi recitate, ma non ci siamo mai incontrati.
In Innocent Money canti che il sogno di Marx di una società senza classi è più lontano delle montagne di Marte. Il protagonista della canzone è un homeless. Pensi che l’attuale governo britannico a guida Labour stia facendo abbastanza per le classi più disagiate della popolazione?
È presto per dirlo. Il governo si è insediato solo ai primi di luglio. Hanno appena presentato la manovra economica e spero che alla fine i ricchi dovranno pagare più tasse per contribuire a migliorare le condizioni dei più poveri. I governi in realtà non sono sovrani, devono allinearsi ai mercati internazionali, al capitalismo globale, a certe leggi del mondo.
In Come Ahead ci sono diversi pezzi che affrontano temi politici. Di cosa parla esattamente Deep Dark Waters?
È un avvertimento. Dopo i campi di concentramento e gli orrori del nazifascismo abbiamo detto mai più, ma in quel momento, dopo la Seconda guerra mondiale, c’era una comunanza d’intenti che non avremo più. Oggi stiamo assistendo all’ascesa di partiti fascisti in tutto il mondo, assieme al ritorno della religione e del nazionalismo utilizzati come bandiere. Quando dico che sento che stiamo sprofondando in acque profonde e scure intendo dire che stiamo andando verso il disastro.
Come è potuto succedere, secondo te?
I partiti che vanno dal centro alla sinistra si sono dimenticati della classe lavoratrice e hanno messo le basi per l’ascesa della destra: voi avete la Meloni, noi qui Farage, Trump in America e così via. Penso che la fiducia che la gente ripone nella politica sia stata erosa. Un tempo la maggior parte delle persone avevano un lavoro che durava per sempre e buoni standard di vita. Ora questi standard sono precipitati, non c’è più una rete di sicurezza. La gente vota per la destra perché la destra ha espresso individui carismatici con soluzioni semplici per problemi complessi. Chi ha votato per i labour in Gran Bretagna, per i socialdemocratici in Germania o per i comunisti in Italia ha visto peggiorare le cose e si è rivolto alla destra perché si è sentito umiliato. L’umiliazione porta alla rabbia delle persone, la stessa che ha permesso l’ascesa del nazismo in Germania e del fascismo in Italia. Deep Dark Waters parla di questo, ed è molto influenzata dalle teorie di Franco Bifo Berardi, che è mio amico.
In Settler’s Blues canti: “Hanno incendiato le nostre case, bombardato le nostre città. Avvelenato i nostri pozzi, tagliato gli ulivi. Ci hanno esiliati nella nostra stessa terra. Gettati come lebbrosi nelle sabbie del deserto”. Spesso ti sei schierato dalla parte del popolo palestinese. Cosa pensi del diritto di Israele a esistere senza venire attaccato come accaduto il 7 ottobre dello scorso anno?
L’unica cosa per la quale mi schiero è il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e alla resistenza contro l’occupazione. Non c’è altro da dire.