Eminem uno, Linkin Park insieme ai Deftones l’altro. Sono questi i primi artisti per cui Matt Nicholls e Jordan Fish – rispettivamente batterista e tastierista dei Bring Me The Horizon – si sono messi in coda fuori da un palazzetto quando erano ragazzini.
In attesa dell’apertura dei cancelli, proprio come i loro fan all’ingresso del Forum di Assago, dove abbiamo incontrato i due membri dei Bring Me The Horizon prima del loro unico concerto in Italia.
E seduti in camerino ricordano così quelle esperienze adolescenziali: «Eminem è stato il mio primissimo concerto», racconta Matt, «avevo 12 anni e sono stato in coda per 4 ore. Lui era all’apice della sua carriera, quando era un artista davvero controverso. Credo fosse alla… come si chiamava? Docklands Arena di Londra».
«Anche il mio primo concerto dei Linkin Park con i Deftones era alla Docklands Arena!», dice Jordan: «C’erano anche i Taproot con loro, ma erano tremendi».
Sono proprio i Deftones un gruppo in cui, in qualche modo, si riconoscono gli stessi Bring Me The Horizon: «Alcune band di quell’epoca sono durate veramente poco, ma i Deftones sono sempre solidi, quel che fanno è sempre rilevante. E sono sempre stati diversi da tutti gli altri, tutta un’altra cosa rispetto ai Limp Bizkit. Hanno sempre spinto i confini della propria musica, come facciamo noi».
Wonderful Life, il secondo singolo tirato fuori quest’anno dai Bring Me The Horizon, è nato proprio da un riff di chitarra che era stato scritto per i Limp Bizkit: «Siamo stati a Los Angeles a lavorare con loro», spiega Jordan, «ma è stato un disastro!».
E saltando da una collaborazione all’altra, proprio nel video di Wonderful Life c’è un notevole special guest: Dani Filth dei Cradle of Filth. Ed è parecchio divertente vederlo fare colazione o andare al supermercato con il face-painting: «È un tipo tranquillissimo», dice Matt, «non è certo una testa di cazzo che non si diverte o se la tira perché suona nei Cradle of Filth! Ed è per questo che è stato coinvolto nell’album». Ma i Bring Me The Horizon sono fan del black metal? «All’inizio ci piaceva tanto, ma lui è davvero un personaggio iconico».
Nel nuovo album dei Bring Me The Horizon – Amo, che sarà pubblicato l’11 gennaio 2019 – spicca anche un’altra collaborazione: Grimes. «C’è rispetto reciproco. Ci piace la sua musica, lei apprezza la nostra. Le piaceva il pezzo e ha funzionato, tra noi c’è indubbiamente chimica».
E ora veniamo alla scelta del titolo dell’album, Amo – perfetto per il pubblico italiano. «La moglie del nostro cantante (Oliver Sykes, ndr) è portoghese, da qui la scelta di Amo: I love», spiega Jordan Fish: «Gli piaceva la parola, è bella, semplice e rappresenta bene il disco. Anche perché ha tanti altri significati. Per esempio in inglese suona come ammo, munizioni».
In italiano è anche l’amo con cui si va a pesca. E c’è il primo verso di Mantra, un’altra nuova canzone dei Bring Me The Horizon, a cui è impossibile non abboccare: Do you wanna start a cult with me? Fate con me una nuova religione? «È una storia… La storia di un personaggio che vuole iniziare un nuovo culto, ma in realtà è una provocazione per tutte le persone che hanno fede cieca e sono ossessionate da certe figure di culto».
«Non siamo religiosi», precisa Matt Nicholls, «ma rispettiamo tutti i credenti, non abbiamo nulla contro di loro. Ma non è una cosa che ci riguarda, almeno non in questa vita». Eppure, gli stessi Bring Me The Horizon sono una sorta di fede per i loro fan: «Può esserci un parallelo tra una band e un culto, vero. Ma noi rispettiamo il nostro pubblico, ci sentiamo sullo stesso livello dei nostri fan e non li prendiamo per il culo!».
Partiti come gruppo metal estremo, i Bring Me The Horizon si sono evoluti, contaminando la propria musica con altri generi, fino ad arrivare a collaborazioni con artisti almeno sulla carta molto distanti da loro, vedi Grimes. I fan li seguono dall’inizio, aumentano col passare degli anni e il Forum d’Assago è pieno.
Dunque, la musica rock e le chitarre sono in crisi, sì o no? «Noi ci consideriamo una rock band, e il rock di sicuro non è morto. Ma in giro c’è tanta merda. Per quel che ci riguarda, ci impegniamo per fare sempre meglio e portare la musica su un altro livello. Non ci interessa essere inquadrati, non ci piacciono i cliché come i vestiti di pelle e le corna al cielo! Non devi farlo per forza, devi essere genuino. Non ha senso conciarsi come un pagliaccio degli anni Ottanta».
I Bring Me The Horizon sono di Sheffield e parlando della loro città e di artisti dalla mentalità aperta spunta un nome, gli Arctic Monkeys: «Il nostro cantante andava al college con Alex Turner». Quando erano ragazzini i membri delle due band non si conoscevano, «ma quando poi ci siamo beccati a un festival», ricorda Matt Nicholls, «ci siamo fatti una bella chiacchierata. Sono un grande gruppo: potevano fare un altro disco come AM e invece hanno pubblicato una cosa molto diversa. Li rispettiamo tanto proprio perché non voglio farsi inquadrare artisticamente».
E nei giorni di trattativa tra il Regno Unito e l’Europa per le modalità di uscita dei britannici dall’Unione europea, non può mancare una domanda sulla Brexit. «Io ho votato contro», dice serenamente Jordan Fish. Ma i Bring Me The Horizon si sentono più europei o britannici? «Siamo inglesi, ma non ne voglio parlare, non ci possiamo fare nulla», risponde il batterista Matt Nicholls. All’inizio non vuole sbilanciarsi, poi va dritto al punto: «È solo stupida politica… E ci sono tanti vecchi stupidi che non pensano al futuro degli altri, ma solo a loro stessi, in Inghilterra come in America. Siamo proprio in un bel casino».