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Bruce Dickinson: «Sono un libertario che odia ogni forma di estremismo»

In ‘Senjutsu’ degli Iron Maiden canta l'apocalisse, ma a chi ci crede davvero, come complottisti e no vax, dice: «Avete bisogno di credere in qualcosa perché non riuscite ad affrontare le complessità»

Foto: Amy Harris/Invision/AP

Due cose davano un po’ di tranquillità a Bruce Dickinson l’anno scorso, in pieno lockdown: da una parte gli Iron Maiden che avevano finito di registrare il loro 17esimo album in studio Senjutsu nel 2019, dall’altra poteva passare la quarantena con «una persona che mi piace davvero», vale a dire la compagna. E per un po’ effettivamente è andato tutto bene.

«All’inizio splendeva il sole, era una cosa nuova», dice il cantante con il suo solito tono allegro, in video via Zoom. «Ero bloccato a Parigi, nell’appartamento della mia campagna, e c’era solo una cosa negativa: il balcone era molto piccolo e al piano di sopra c’era un tizio che tutti i pomeriggi alle 5 in punto suonava al sax la versione peggiore di sempre di The Final Countdown. Era come essere svegliato da un colpo di fucile, hai presente?».

Ora che tutto sta lentamente riaprendo, Dickinson – che a 63 anni è ancora dotato di un’energia infinita ed è capace di performance atletiche – è pronto a tornare al lavoro. Ha fatto alcuni show da solo, tutti spoken word, che ha interrotto dopo essere risultato positivo al Covid nonostante fosse vaccinato. Gli Iron Maiden contano di tornare on the road la prossima estate per un tour europeo. Prima, però, c’è la pubblicazione di Senjutsu. È un doppio album, 82 minuti, intitolato come la parola giapponese che significa “strategia”, e contiene dieci brani in classico stile Maiden che parlano di guerra, resilienza e determinazione, con il solito assalto a tre chitarre. Dickinson le canta tutte con lo stesso spirito infaticabile di quando ha sostituito il vecchio frontman Paul Di’Anno, quarant’anni fa.

Grazie al lockdown, ha avuto tutto il tempo di ascoltare Senjutsu in modo diverso. Nel caso di The Writing on the Wall, un brano heavy scritto insieme al chitarrista Adrian Smith, è riuscito addirittura a vederlo in un modo nuovo. «L’anno scorso, durante la quarantena, ho recuperato tutte le serie tv che di solito mi perdo a causa dei tour», dice a proposito del video del pezzo. «Durante una maratona di Sons of Anarchy ho pensato: “Non sarebbe fico se i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse fossero biker?». Con quell’idea in testa, ha contattato alcuni ex di Pixar per aiutarlo a trasformare la mascotte del gruppo Eddie nel portatore della fine dei tempi, un simbolo perfetto per la furia biblica che attraversa tutto il disco. Il cantante ha raccontato tutto in questa intervista.

Sembra che il video parli di molte cose, non solo della festa di Baltassar. Che cosa volevi dire? 

È l’ibrido di tante storie diverse. Nella scena in cui il protagonista – chiamiamolo Daniel, ma potrebbe essere Gandalf oppure Obi Wan: è il tipo incappucciato che difende i poveri e le masse oppresse – spazza via la feccia si tratta di una citazione della separazione delle acque del Mar Rosso, che nel nostro caso è verde.

Writing on the Wall si riferisce alla festa di Badassarre, ma dietro c’è la storia di Nabucodonosor, il re impazzito che pensava di trasformarsi in una bestia e ha iniziato a mangiare erba. È da lì che abbiamo preso l’idea di trasformarlo in capra e spappolarlo sul muro. È la nemesi dei Quattro Cavalieri che arrivano per fare giustizia e punire i cattivi, le élite e i loro tirapiedi.

Due canzoni dell’album – Days of Future Past, che hai scritto anche tu, e Senjutsu – parlano del giorno del giudizio. Come ti immagini l’apocalisse? 

Non credo che l’apocalisse esista, ma credo che la gente ci creda perché l’idea gli dà conforto, mentre la realtà li mette a disagio.

Se non riesci ad affrontare le complessità della realtà, ti rivolgi a profezie apocalittiche, scegli di crederci e trovi la tua tribù. L’abbiamo visto con i no vax e la loro propaganda. La gente ha bisogno di credere, e non credo neanche che serva leggere la Bibbia perché in giro ci sono sempre profezie di ogni tipo. Ne inventiamo di nuove con regolarità. Insomma, il mondo doveva finire nel 2000 col millennium bug. Poi ci sarebbe stato l’asteroide… il mondo deve finire in milioni di modi diversi. Eppure, cari miei, non è successo.

La cosa interessante è che sto lavorando a un podcast con un professore di psicologia di Oxford, Kevin Dutton, un esperto di psicopatie. Tra i nostri ospiti c’è anche uno studioso della Bibbia, un esperto di profezie apocalittiche e della fine dei tempi. Abbiamo avuto una conversazione molto interessante su tutti quei gruppi che ogni tanto salgono su una montagna e gridano alla fine del mondo, anche se poi non succede mai. Di solito si fanno rivedere l’anno dopo, dicendo: «Beh, ci siamo sbagliati, c’era un errore di calcolo. Ma finirà, non ci sono dubbi».

L’apocalisse è ottima per scrivere canzoni, è una cosa drammatica, c’è il bianco e il nero nero. Ci sono dio e il demonio, il bene e il male. Cerco sempre di tirarla fuori quando scrivo un pezzo.

Tutto questo come si collega con il testo di Days of Future Past? 

È più o meno basata sul film Constantine, che a sua volta è tratto da una graphic novel. Ho scritto del personaggio di Keanu Reeves, un uomo condannato a vivere fino a raggiungere l’approvazione di dio, che in fin dei conti è il più grande narcisista che ci sia. Pensa al Libro di Giobbe, è un narcisista e un manipolatore uno che dice: “Ti incasinerò la vita, ma ti amo”. Quindi, ecco una buona domanda: dio è psicopatico? Ne parleremo del podcast. Insomma, ho cercato di raccontare quella storia con un taglio differente, il mio protagonista non accetta le richieste di dio, l’idea lo fa incazzare. Non capisce perché lui abbia il diritto di fargli una cosa simile.

Credo che non se ne sia accorto nessuno, ma ho usato un metodo simile per scrivere Flight of Icarus (da Piece of Mind, il disco del 1983). La morale del mito di Icaro è «fai quello che dice tuo padre, altrimenti ti succederà qualcosa di orribile». Io l’ho ribaltata, nella mia storia il padre è il cattivo. Ho detto: «Se potessimo dare le ali agli adolescenti e farli volare, cosa credi che farebbero?».

Sembra che tu abbia pensato molto alla religione, di recente. In cosa credi? 

Non credo a nulla in particolare, cerco solo di essere una persona perbene. Odio ogni forma di estremismo, perché è così che la gente si allontana dalle idee di chi è diverso, da chi non appartiene allo stesso gruppo. Allo stesso tempo mi definisco un libertario, perché credo alle stesse cose: credo che il governo dovrebbe lasciar stare le persone, perché i governi generalmente fanno schifo e la gente è più brava a occuparsi di sé. Tuttavia, se non riusciamo a stare bene insieme, se siamo bigotti o chissà che altro, bisogna intervenire ed essere irremovibili. Se parliamo di religione, però, no, non vado in chiesa e non prego.

Di cosa parla il brano Darkest Hour? 

Parla di Churchill e di come, nonostante tutti i suoi errori e i difetti – e ne aveva parecchi – è riuscito a fare una cosa nella sua vita, tenere testa a un tiranno che voleva gettare il mondo nella pazzia… presente no, Hitler. E Churchill l’ha contrastato nonostante tutti gli dicessero di non farlo, anche persone di valore. Metà governo era contro di lui, che era un alcolizzato irascibile, un vecchio scontroso che invece ha detto: «basta».

Ovviamente aveva dei difetti, ed è quello che dico nel ritornello: “nudo sul trono dei re”. Soffriva di depressione, che nel pezzo è rappresentata dal cane nero che lo insegue. Ci sono anche due spiagge, all’inizio e alla fine: la prima è Dunkirk, la seconda quella del D-Day. Sono due luoghi che hanno visto il sangue, ma per ragioni diverse.

A settembre saranno quarant’anni dalla tua prima audizione con gli Iron Maiden… 

Sei tu a dire che era la prima, ti prendo in parola.

Beh, è quello che ho trovato su internet… 

«È quello che ho trovato su internet». Ecco. L’altro giorno ho cercato di scoprire il mio patrimonio e a quanto pare sono quattro volte più ricco di Steve Harris. Devo aver scritto un bel po’ di pezzi senza rendermene conto. Insomma, la rete è piena di stronzate. Ma a volte azzeccano le date. Quindi sì, saranno passati più o meno quarant’anni.

Cosa ricordi di quell’audizione? 

Ne ho fatte due. La prima era in sala prove. Mi avevano chiesto di imparare quattro canzoni e io avevo pensato: «Beh, hanno fatto solo due album, li imparerò tutti». Ne abbiamo suonato parecchie, poi siamo passati ai vecchi Thin Lizzy e ai Deep Purple, visto che conoscevamo quei pezzi. Poi sono partiti e hanno fatto qualche show con Paul Di’Anno in Svezia. Pensavo che sarebbe stato difficile, perché quel giorno ci eravamo divertiti molto. Poi sono tornati e mi hanno detto: «L’abbiamo licenziato. Ora devi fare un test in studio di registrazione, vogliamo assicurarci di non esserci immaginati tutto». In sala c’era il grande produttore Martin Birch. Ho cantato su quattro strumentali registrate dal vivo in Giappone. È andata bene, sono entrato nel gruppo. Poi siamo andati a un concerto all’UFO, credo, e abbiamo bevuto un sacco di birra. Il resto è storia. Il lavoro duro è iniziato il giorno dopo.

E ora sei qui.
Sì, sono ancora vivo.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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