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Bruce Springsteen: il ritorno del Boss

Torna in tour per presentare tutto "The River" con la E Street Band (anche in Italia) e intanto ha già un album solista pronto e un'autobiografia. Intervista con il Boss
Bruce Springsteen, 66 anni

Bruce Springsteen, 66 anni

Dobbiamo vedere come vanno i concerti, come si sentono tutti quanti», ci aveva confidato Bruce Springsteen nel camerino del Consol Energy Center di Pittsburgh lo scorso 16 gennaio, il giorno prima dell’inizio del suo nuovo tour americano con la E Street Band.
Era appena sceso dal palco dopo tre ore di prove, in cui aveva guidato la sua band, ancora una volta, nell’esecuzione del lato tre e quattro di quello che è il momento clou di questi concerti, ovvero il suo album doppio The River uscito nel 1980. Incredibilmente rilassato dopo quella lunga e intensa session di prove, Springsteen (67 anni il prossimo settembre) aveva anche risposto alla domanda se avrebbe aggiunto altre date dopo quella finale del tour, il 17 marzo a Los Angeles: «Ho solo una vaga idea di come sarà», aveva detto della maratona che stava preparando – che comprende, oltre a tutto The River, quello che lui stesso ha definito “un concerto dopo il concerto” – «ma sono ansioso di scoprire la sensazione che si prova dal vivo».
Lo ha scoperto presto sul palco di Pittsburgh, costruendo una scaletta esplosiva di 34 canzoni lunga tre ore e 17 minuti, che ha ripetuto in un concerto altrettanto epico a Chicago. Due settimane dopo, poco prima di far esplodere il Madison Square Garden di New York, Springsteen ha annunciato: il prolungamento del tour americano fino alla fine di aprile, una data il 19 maggio a Lisbona, in Portogallo, e una serie di altre serate negli stadi in Europa l’estate prossima, incluse le date a Milano e a Roma a luglio.
Quella sera di gennaio a Pittsburgh, Springsteen ci ha confidato l’entusiasmo e l’impazienza di portare The River in tour dopo l’uscita del cofanetto The Ties That Bind: The River Collection e ha parlato di quell’uomo molto più giovane che aveva scritto quelle canzoni e le aveva poi selezionate per la scaletta finale dell’album, attingendo al gran numero di pezzi riportati alla luce dal cofanetto. Ha anche confermato di aver completato un nuovo album solista, a cui ha lavorato negli ultimi quattro anni, e ha ammesso che è inusuale per lui ritrovarsi in tour con la E Street Band con uno show così orientato verso il passato. Ma su una cosa si è detto certo: «A questo punto non dobbiamo seguire le tracce di quel che è stato: dobbiamo presentare The River al pubblico, e l’album troverà il suo spazio».

Esiste ancora materiale inedito dell’epoca di The River, per esempio canzoni o concerti, che non è stato pubblicato nel cofanetto?
Il cofanetto contiene tutto quello che è ascoltabile. Avrebbero potuto esserci delle curiosità, ma quando si tratta di mettere insieme un’uscita del genere solitamente cerco di evitare quelle cose per le quali l’unico commento sarebbe: “È successo anche questo!” (ride). Non mi interessa pubblicare tutti gli outtake, cerco qualcosa che abbia una ragione di esistere. Qualcosa che è nato allora, non è stato usato, ma ha una propria identità.

Mentre preparavi The River è vero che scrivevi ogni giorno? È un disco che praticamente è diventato da solo un album doppio…
Devi capire la situazione. Scrivi in una situazione di panico totale, capisci? Quando il disco non è pronto, provi una sensazione di instabilità che crea ansia. È una cosa a cui dovresti abituarti, ma rimane molto sgradevole: “Ce la farò? Riuscirò a mettere insieme tutti i pezzi? Il disco riuscirà a prendere vita?”. Non lo puoi sapere fino a quando non succede.

E in quanto leader della band sei anche responsabile della sopravvivenza economica dei tuoi musicisti.
Al tempo, spendevamo molti soldi nello studio. Abbiamo speso praticamente tutto quello che avevamo, tanto che siamo rimasti a secco. L’unica cosa che puoi fare è seguire un’idea, un’ispirazione estetica, qualcosa che vuoi realizzare, ma non sai esattamente cosa sia. Io sapevo solo che volevo una prospettiva, una certa dimensione: volevo che il disco facesse riferimento a tutto quello che avevamo fatto in passato. Avevo dei parametri, ma mi mancavano gli elementi su cui lavorare.

Come mai avevi deciso di non pubblicare la prima versione di The Ties That Bind, che infatti è rimasto inedito fino a oggi?
Non era abbastanza. Era solo un buon album da dieci canzoni.

Troppo leggero?
Adesso mi piace riascoltarlo, ma non ha la stessa complessità dell’ultima versione.

Ascoltando il lato tre di The River durante le prove ho notato la sequenza che va da Point Blank a Cadillac Ranch fino a I’m a Rocker. Ha molta forza, fisica ed emotiva, mentre Darkness on the Edge of Town era più intenso.
Darkness ha una sola dimensione. È austero e ridotto all’essenza. Alcuni pezzi che sono finiti su The River, per esempio Sherry Darling o Independence Day li avevo scritti per Darkness on the Edge of Town. Avevamo degli obiettivi: fare un disco che sembrasse un concerto. Quindi con dei personaggi studiati, con una musica trascinante da sabato sera al bar e una varietà di emozioni. Era stupido, divertente e ti spezzava il cuore. Mi sono detto: “Questo è quello che voglio, mi piacciono tutte le sue sfumature”. Ho sempre fatto fatica a fare entrare tutte queste sensazioni in un album singolo: “Questa volta deve essere simile a un concerto”. Doveva essere un disco doppio.

Bruce Springsteen nel 1973 in New Jersey. Foto di David Gahr/Getty Images

È la prima volta che fai un tour su un intero album. Hai già eseguito alcuni dischi dall’inizio alla fine dal vivo, ma lo hai sempre annunciato al momento. È una rappresentazione teatrale.
The River ha un’ampiezza tale da non permetterti di fare una cosa casuale. Inoltre è un disco divertente, a parte il finale strano di Wreck on the Highway in cui c’è un uomo solo mentre riflette. (Ride). L’album inizia con la ricerca del contatto con gli altri e il desiderio di scoprire quale sia il proprio posto nel mondo e finisce con questo tizio in camera da letto solo con la persona che ama e con i suoi pensieri.

È strano fare un tour così grande senza avere niente di nuovo da presentare? Da quando hai riunito la E Street Band nel 1999, la maggior parte dei tour erano legati a un album e al punto di vista che esprimeva in quel momento.
Arrivati a questo punto della nostra carriera abbiamo a disposizione talmente tanta musica che non siamo costretti a limitarci a quella formula. Voglio essere in grado di dire: “Partiamo e facciamo 20 concerti, facciamone 40, 60, oppure solo 10. Facciamo suonare la band”. Non abbiamo bisogno di pubblicare qualcosa per giustificare il fatto di suonare in giro. Voglio spezzare il circolo della promozione di un album: partiamo in tour, suoniamo e vediamo cosa succede. Il cofanetto ci ha permesso di farlo. Inoltre, il disco nuovo che ho scritto è un disco solista, che avrei potuto portare in tour da solo. Poi però mi sono detto: “Facendo così, la band non suonerà per due o tre anni”. Non volevo che passasse tutto questo tempo. A maggio saremo fermi. Sono a un punto della vita in cui voglio avere la libertà di dire: “Vuoi suonare? Fissa delle date!”.

Ho notato che ci sono sempre due, a volte tre, giorni liberi tra un concerto e l’altro. È una concessione che fai all’età per via dello stress fisico di fare concerti così lunghi? Quanto ti ci vuole per recuperare?
Non credo questo sia un fattore determinante. Vedi, non ho fatto io il calendario.

Cioè tu ti presenti e basta?
(Ride) Praticamente. La media è tre concerti e mezzo a settimana, in cui tocchiamo sempre le tre ore. È una questione di comodità. Non voglio perdere la voce. Voglio dare il massimo ogni sera.

Non solo devi dare il meglio di quello che sei stato sul palco. Devi anche essere meglio di quello che si ricorda il pubblico!

Però è un dato di fatto che gli anni passano per tutti, e non puoi suonare con lo stesso ritmo e intensità che avevi a 20-30 anni. Come fai? Non vuoi che il pubblico arrivi ai tuoi concerti con un ricordo più bello di quello che avrà alla fine.
Non devi solo essere meglio di quello che sei stato, devi anche essere meglio di quello che si ricorda il pubblico (ride). È dura! C’è sempre qualcuno che dice: “Ti ho visto nel ’76 in quel college, è stato il concerto più bello che abbia mai visto”. Forse lo è stato davvero, forse no, ma quello è il modo in cui viene ricordato. Per me va bene. Noi siamo lì, faccia a faccia con qualunque versione della band sia andata in giro a suonare in passato. Questa storia condivisa che abbiamo con il pubblico rende ogni serata molto piena e molto bella.

La gente di solito dice: “Preferisco le canzoni vecchie”, ma mentre provavi la scaletta ho notato che, dopo The River, la sequenza composta da Badlands, Wrecking Ball, Backstreets e The Rising ha lo stesso timbro emotivo e le stesse tematiche.
Abbiamo fatto dell’ottima musica nello scorso decennio. Alcune canzoni sono allo stesso livello delle cose migliori che ho fatto in passato. La prova è il palco. Alla fine degli anni ’90 non sapevo se usare ancora la band, se ero ancora in grado di scrivere per un gruppo, comporre materiale che desse senso alla sua esistenza. Ma sento di esserci riuscito: American Skin (41 Shots), Land of Hope and Dreams, The Rising, Lonesome Day, Wrecking Ball, sono tutte estensioni della grande musica che abbiamo fatto in passato, avevano abbastanza peso e impatto da portarci nel futuro. È stato un grande regalo degli ultimi dieci anni, abbiamo molte canzoni da scegliere, ed è materiale fatto apposta per fare ottimi concerti.

Da quanto tempo stai lavorando al tuo nuovo album solista?
L’ho iniziato prima di Wrecking Ball del 2012, ci lavoro da molto tempo. L’ho ripreso dopo High Hopes del 2014 e l’ho finito l’estate scorsa.

Quando hai intenzione di pubblicarlo?
Non lo so, per ora lo tengo lì. Voglio suonare con la band, divertirmi per un po’. Appena avremo l’occasione, lo faremo uscire, è piuttosto inusuale per me avere un disco e tenerlo fermo.

Stai scrivendo per la E Street Band?
No, ho appena finito di comporre il mio album solista. Sono in un momento di pausa creativa.

Cosa ti spinge a scrivere?
È come essere affamati. È una spinta, uno stimolo primario, non può essere nient’altro. Quando lei arriva, tu scrivi. Solitamente cerchi di capire qualcosa, dare un senso a una parte della tua vita, qualcosa che hai visto, le tue esperienze, il mondo: “Wow, devo contestualizzare questa esperienza”. È li che arriva la fame, e ti ritrovi a cercare, cercare e cercare. Quello è il momento in cui le canzoni tendono ad arrivare.

Una cosa a cui ho pensato molto a proposito di David Bowie: nonostante fosse malato, cosa che noi abbiamo scoperto solo dopo, ha continuato a lavorare e ha fatto uno dei suoi dischi migliori alla fine della sua vita.
(Sospira) È incredibile, un risultato fantastico. Ci vuole molta forza. Anche Warren Zevon ha fatto un disco in circostanze simili (The Wind, uscito due settimane prima della sua morte per cancro nel settembre del 2003, ndr). Sono stato con lui in studio ed era incredibilmente motivato, la sua lotta era tutta orientata verso quella musica. Io non so se ce la farei. È una vera prova di forza.

Avere 66 anni non mi è mai sembrato così bello. Devi essere consapevole e andare avanti. Cos’altro puoi fare?

Ogni tanto senti che stai sfidando la sorte a fare ancora concerti del genere?
(Ride) No, sei tu che stai sfidando la sorte, amico! (continuando a ridere).

Ok, forse non è il modo giusto di dirlo, ma è comunque una sfida. Quando eri giovane, un uomo di 66 anni veniva considerato vecchio. Era l’età della pensione.
Assolutamente! (Ride). Quando ci arrivi però è diverso. Avere 66 anni non mi è mai sembrato così bello. Devi essere consapevole e andare avanti. Cos’altro puoi fare?

È un tour insolitamente riflessivo, basato su un album che hai scritto in un momento di svolta della tua vita.
Quando le scrivi bene, le canzoni si sostengono da sole. Non solo, crescono e trovano anche il loro contesto nel presente. La mia speranza per questo tour è che la musica prenda vita qui e ora. Potrebbe essere un momento rigenerativo, per dimenticare tutta la bruttezza e la demagogia che c’è là fuori. Sarebbe meraviglioso. Tornerei a casa felice.

Ti mancherà la possibilità di scegliere i pezzi della scaletta dalle richieste del pubblico e mettere alla prova la band?
In realtà è una cosa da cui sto cercando di fuggire. Sarà una pausa piacevole. Potrebbe succedere ancora man mano che andiamo avanti, durante quello che io chiamo “il concerto dopo il concerto”. Ma The River è già un disco da fan, nel senso che ci sono dentro molte canzoni come Stolen Car o Jackson Cage, che non sono necessariamente nella lista delle prime canzoni per cui la gente ti ricorda. Per questo ho inventato “il concerto dopo il concerto”, ovvero pezzi che il pubblico conosce e vuole sentire. The River è una cosa a parte, quel momento è per chi ha esplorato tutti gli angoli nascosti di quel disco e non vede l’ora di sentire Fade Away o Independence Day, canzoni che non suoniamo più regolarmente.

Dopo aver compilato la prima versione della scaletta per l’album singolo The Ties That Bind, quando hai capito che aveva bisogno di essere più ampio?
C’era una serie di canzoni che mi piacevano molto, come Cadillac Ranch o Out in the Street, canzoni che avresti sentito bene suonate in un bar e che normalmente avrei scartato se avessi fatto un album classico da dieci pezzi. Si accumulavano l’una sull’altra e alla fine ho pensato: “Dio mio, vorrei davvero averle tutte”. Ci sono molte ballad. In questo tour ce ne saranno di più che in qualsiasi altro concerto da molto tempo a questa parte: The River, Drive all Night, Wreck on the Highway. La metà del disco è lenta. Quindi gli altri pezzi li devi infilare dentro di forza.

I 12 minuti finali del lato quattro (Drive all Night, Wreck on the Highway) sono una sequenza lenta piuttosto lunga, forse la più lunga che tu abbia mai registrato su disco.
Quei due brani sono il riassunto di tutto l’album. (Fa una pausa e riflette). Sarà divertente vedere cosa succederà domani sera.

Se posso fare una richiesta, mi piacerebbe sentire l’outtake Held Up Without a Gun. È lunga solo un minuto e 10 secondi, quindi non aggiungerebbe molto alla scaletta…
(Ride) Solo un minuto e 10! È vero. È uscita…

…sul lato B del singolo Hungry Heart.
Giusto (ride). Sì, quello era proprio un buon pezzo.

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