Ammette che quella sera «è come se fossi un po’ morto» e che «solo il tempo sistemerà quella roba lì». A parlare è Bugo e si riferisce alle ormai famigerate “brutte intenzioni” con le quali Morgan lo attaccò in diretta tv durante l’esibizione a Sanremo 2020, dove partecipavano in coppia, con il suo abbandono del palco dell’Ariston e la squalifica. Otto versi e pochi minuti che hanno cambiato per sempre la vita del cantautore passato da Casalingo a Sincero e ora arrivato all’album della rinascita, Per fortuna che ci sono io.
Lo incontriamo in una mattina come tante a Milano e fin dal primo impatto è evidente che Cristian Bugatti, il suo vero nome, non è più la stessa persona che avevamo lasciato quattro anni prima in mezzo a furenti polemiche, invettive incrociate e accuse poi approdate in tribunale: i capelli e la barba bianchi, gli occhi che si perdono oltre l’interlocutore, un velo di malinconia che lo attraversa quando torna su certi ricordi. Infatti, confessa, in questi anni «avere al mio fianco mia moglie e i miei figli ha rappresentato una salvezza, altrimenti non so dove sarei finito». Il peggio, per fortuna, sembra passato e c’è anche la musica che lo aiuta ad andare avanti, ma non a pensare al futuro perché «io sto bene quando penso al presente».
Allora restiamo all’oggi, che lo vede uscire il 15 marzo con un disco dove torna al rock’n’roll, con brani dedicati a chi c’era nei momenti bui (un pezzo per la compagna e due che portano i nomi dei figli) e altri dove si risente il “fantautore” delle origini (in Carciofi). Nessuna nostalgia del passato, visto che ha come costante il cambiamento: «In ogni disco ho cercato di cancellare il Bugo di prima». Così come sembra andar fiero di un orgoglio ritrovato, a prescindere dal successo: «Vasco è un mito, ma non pagherei neanche per aprire un suo concerto».
Ricordo di averti visto dal vivo la prima volta nel 2002 al Fillmore di Cortemaggiore, quando venivi definito il Beck delle risaie. Cosa è rimasto oggi di quel Bugo?
Penso che qualcosa in me sia rimasto, chiaramente. E si sente anche nel disco nuovo, però adesso ho 50 anni e non ho mai cercato di ripetermi, non ho mai voluto rivivere vecchie emozioni. Quindi oggi vivo le emozioni di un 50enne. È rimasta la voglia di fare musica, sapendo che la musica per me è una salvezza, come la è sempre stata. Mi ha permesso di uscire da Cerano (il paese in cui è cresciuto in provincia di Novara, nda) e dall’anonimato. Comunque, oltre a tutto, la musica salva davvero la vita. E in fondo non ho mai voluto tornare a quel Bugo là, non mi interessa tornare a esserlo.
Cambiare sempre non è anche un po’ rischioso?
Lo è, ma io in ogni disco ho cercato di cancellare il Bugo di prima. Ma non perché lo rinnego, attenzione. Anzi, io adoro tutti i miei dischi. Ma perché ho bisogno di essere radicale con me stesso, di rompere gli schemi, come se volessi ogni volta ripartire da zero. Ne sento il bisogno. Quindi questo disco è diverso dal disco di Sanremo, ad esempio. Ma anche il disco di Sanremo è diverso da quello prima. È sempre stata così la mia carriera, se mi conosci dall’inizio lo sai. Ho questa necessità di ripartire che mi fa sentire meglio, più vivo e più lucido quando ti parlo. Non mi adagio sugli allori, odio sentirmi sul piedistallo, distruggiamoli tutti quei piedistalli!
Le perplessità da parte del pubblico o della critica, a ogni tuo cambiamento, ti hanno mai ferito?
Quando firmai per una major, la Universal, mi diedero del traditore dell’underground. Ci furono parecchie polemiche nell’ambiente, con diversi blog di settore che mi insultarono. Pensa che roba, già allora… Però non mi hanno mai sfiorato, altrimenti adesso non sarei qui. Anche i miei fan mi hanno fatto molte critiche. Io però sono quello che ha scritto Casalingo e poi Il sintetizzatore e questo era già un segnale per il pubblico della mia voglia di cambiare. Sai cosa penso? Che prendiamo troppo sul serio il rock’n’roll. Alla fine è un gioco. E io ho bisogno di giocare, anche con me stesso.
Mai avuto il timore di perdere pubblico per strada?
Qualche fan sicuramente è scontento, qualche altro lo acquisisci, ma per me la cosa importante è raccontare a te o a chi mi ascolta che quello che sto cantando in questo momento è la cosa più onesta e più vera che posso fare. Altrimenti non mi sentirei a posto con me stesso. Questo mi dà la forza di fare le interviste, di essere spontaneo, di sentirmi ancora integro, di non soffermarmi solo sulle negatività dei commenti. Sembrano cose da poco, ma molti artisti sono succubi di queste cose. Io ho conosciuto musicisti che hanno mollato vent’anni fa perché non hanno sopportato le critiche dopo il primo o il secondo disco.
In Per fortuna che ci sono io, il primo brano del disco, canti: «Dicono cantautore, ma parlo poco d’amore». In realtà in questo album ci sono diverse canzoni legate all’amore.
Un paio sicuramente e altre trattano il rapporto di coppia o con le donne, anche se non sono vere e proprie canzoni d’amore. Diciamo che l’amore è il classico tema da cantautore, per quello dico quella battuta, però non è l’unico sul quale mi sono voluto concentrare.
E il bambino che nel pezzo Tito dice: «Io amo rock’n’roll» è tuo figlio?
Esatto! Un giorno l’ha detto e mi è piaciuto talmente tanto che gli ho chiesto di ripeterlo ed è finito ad aprire quel pezzo. Mentre l’altro brano, Zeno, prende il nome dall’altro mio figlio. Una scelta dell’ultimo momento, visto che non sapevo che titolo dare a due pezzi strumentali. Così in una ho inserito la frase di Tito, che ha sette anni, mentre l’altra l’ho dedicata a Zeno, il più piccolo, che ha un anno.
In passato hai scherzato, anche nelle canzoni, dicendo di non saper suonare così bene. In questo album invece hai suonato vari strumenti. Oltre a chitarra elettrica e acustica, il pianoforte, l’armonica e le percussioni. In questi anni ti sei messo a studiare?
Proprio a studiare no, non sono ancora così bravo a suonare. Suono la chitarra e mi accompagno con il pianoforte, alla John Lennon, ma non sono un pianista. A me interessa essere un autore, quindi la mia ricerca è più sulla scrittura delle canzoni. Non voglio neanche diventare un bravo musicista. Per questo disco avevo bisogno di determinati suoni, che non sono neppure così di moda, e quindi ho cercato un po’. Ma per me la moda non è una priorità.
Hai cercato un ritorno alle origini del rock?
Se il precedente fosse stato più rock, probabilmente questo disco sarebbe stato più elettronico. Non ti so nemmeno spiegare il motivo. Sarà che sono fatto così e mi va di giocare un po’ con i generi musicali, che secondo me sono la parte meno interessante della musica.
A parte Per fortuna che ci sono io, che è il pezzo dove torni sulla questione di Sanremo con Morgan, c’è un altro brano al quale sei particolarmente affezionato?
La canzone Bilancio di coppia è una delle canzoni d’amore più belle che ho mai scritto in tutta la mia carriera. Sono veramente fiero di quel tipo di scrittura.
Si sente forte in tutto l’album l’importanza di avere al tuo fianco qualcuno che ti possa aiutare in un momento di difficoltà. È solo un caso che tu abbia scritto diversi pezzi su questo tema o dipende anche da ciò che hai vissuto nel 2020 a Sanremo?
Sì sì, l’amore mi ha salvato. Dopo quello che è successo a Sanremo e la pandemia successiva, avere al mio fianco mia moglie e i miei figli ha rappresentato una salvezza, oltre alla musica, altrimenti non so dove sarei finito. Quindi era il minimo dedicare alcune canzoni alla mia famiglia. Quella dedicata a mia moglie è un po’ più dura, perché l’amore deve affrontare anche momenti difficili. Non è scontato che le storie d’amore riescano a sopportare certi passaggi complessi. Non l’ho scoperto adesso, visto che stiamo insieme da vent’anni, però ho avuto un’altra conferma. Il nostro ormai è il viaggio di una vita.
Immagino non sia facile avere un rapporto duraturo neanche nei momenti in cui arriva il successo e si è sovraesposti, con tutto quello che ne consegue.
Ma sai, l’amore non può essere solamente quello del primo anno. Se vuoi avere un amore come quello, allora è meglio che non ti sposi e ogni anno ti fidanzi con una diversa. Io ho degli amici della mia età che non sono sposati e cambiano donna una volta all’anno. Se va bene a loro vuol dire che vogliono vivere l’amore solo per quello che ti può dare nei primi momenti. Per me non è così, perché l’amore è proprio nei momenti di difficoltà che si misura. Io ho scoperto anche i miei difetti e i difetti di mia moglie, ma insieme abbiamo continuato un viaggio e con i figli in mezzo è qualcosa di ancora più bello. In fondo sono scelte. Ai tempi di Casalingo mica volevo sposarmi, poi con lei ne è valsa la pena ed è bellissimo.
Di quel 2020, quando Morgan cambiò il testo di Sincero in gara a Sanremo e tu abbandonasti il palco portando la coppia all’eliminazione, ti ha fatto più male il gesto in sé o tutto quello che si è scatenato successivamente?
Prima di tutto la distruzione di una canzone, che è stata una cosa orrenda. Quando ci ripenso ancora mi fa male. Quando rivedo quelle immagini non so neanche spiegare cosa provo. Davvero faccio ancora fatica a esternare i miei sentimenti. È stato qualcosa che ha scioccato tutti, per un motivo o per l’altro. È come se io fossi un po’ morto quella sera lì. E in parte lo sono. Quindi per recuperare mi ci è voluto tempo. Solo il tempo sistemerà quella roba lì.
E quello che è successo dopo non ti ha toccato?
Ah certo, poi si è creata una degenerazione legata al mio personaggio. Però, sai, mi sono sempre chiesto dov’era la mia colpa. Ho ammazzato qualcuno, forse? E quindi sono ancora qua. C’è la musica che mi fa stare bene. Come ti dicevo, per fortuna che c’è la musica.
C’è qualcosa che ti hanno detto tua moglie o i tuoi figli in questi anni che ti ha particolarmente aiutato?
Non ci sono frasi, ci sono gesti o sguardi dove mi sono detto «meno male che ci sono loro». Tra me e mia moglie funziona perché non serve parlarci, ci capiamo al volo. Con lei basta un atteggiamento o un modo di sorriderci e capiamo cosa pensiamo. I bambini invece è stato soltanto importante che ci fossero, che esistessero, anche se ne hanno subito le conseguenze.
Hanno sofferto delle conseguenze di quel Sanremo?
Mio figlio Tito penso di sì, per fortuna l’altro non credo perché è piccolo. A Tito invece dev’essere arrivato qualcosa di negativo ed è una aspetto che, da padre, mi rimprovero perché i primi anni di vita di un bambino sono importanti. Sono certo che qualche volta, ovviamente senza che fosse rivolto a lui, abbia percepito il mio dolore. Ogni tanto qualche moto di rabbia, non diretto a loro, devono averlo sentito. I bambini sono spugne e le emozioni arrivano anche ai più piccoli.
Quando poco tempo fa hai rivisto Morgan in tribunale, cosa hai provato?
Niente, davvero nulla. Nel video che è girato sui social si vede. Ero calmo e sono entrato come se niente fosse. Non avevo certo bisogno di salutarlo. È come rivedere la tua ex, come in un divorzio, non c’è bisogno di fare finta. Pensa se avessi fatto il falso, dici che hai sofferto e ti ci metti a parlare, cosa avrebbe pensato la gente? A parte che non ne avevo nessuna voglia di parlargli. E io faccio quello che sento, quindi quello che mi pare. Come si può pensare di sottovalutare una cosa del genere? Cosa dovevo fare? Stavamo andando in un’aula di tribunale, dove ti ho portato io, e ti dovrei anche salutare?
C’è chi avrebbe potuto lasciarsi andare a qualche reazione d’istinto.
Io sono una persona seria. Ho mantenuto la calma, perché ci sono cose più importanti nella vita che perdersi in queste reazioni inutili.
In molti, in questi anni, si sono chiesti: c’era davvero bisogno di finire in tribunale, come siete finiti, quando avreste potuto risolvere la questione ancora una volta sul palco? Tra l’altro Morgan si era detto disponibile a una sorta di “reunion”.
Non mi sono mai sentito dell’umore per farla. Come capita in certi rapporti di amicizia, di affetto, che da civili sono diventati incivili. Non credo che tu abbia voglia di rivedere amici che non senti più da quando hai vent’anni, no? Ognuno fa la propria vita. In questo senso non ho mai sentito il bisogno e non ho mai provato la voglia di riavvicinarmi a lui. Come non ho voglia di sentire la mia ex di quando avevo 20 anni. Ne faccio un discorso di realtà, molto semplice. Non c’è bisogno per forza di riallacciare tutti i rapporti.
Diciamo che nel mondo dello spettacolo certi rapporti, le reunion lo testimoniano, spesso si riallacciano grazie alle prospettive economiche che possono garantire…
Ma a me i soldi non mi interessano per niente. Per me conta l’integrità, che è la cosa principale di cui tengo conto nella mia vita. Altrimenti avrei già speculato su quella roba lì nei mesi successivi al Festival.
Da questo punto di vista ti fa onore non aver voluto speculare, quando altri non ci avrebbero pensato poi così tanto.
È da 25 anni che cerco di dimostrarlo che per me l’integrità è la cosa fondamentale. Ma non lo faccio per gli altri, lo faccio per stare meglio io. A me gli interessi economici non mi hanno mai animato in musica. Per me conta essere qui a parlarti, cantare ed essere integro. Io non voglio farmi rovinare dagli interessi. Non lo facevo a vent’anni quando lavoravo come pompiere, figurati se lo faccio a 50. Non voglio giudicare nemmeno gli altri, ognuno è responsabile delle proprie scelte. Non lo faccio neanche per il pubblico, perché se lo dicessi sarei ipocrita. Non voglio stare su un piedistallo o diventare un maestro per nessuno. Se poi un giovane si è ispirato a me, capendo che la visibilità non è tutto nella vita, ben venga. Guarda quello che sta passando Sangiovanni, che aveva tutto e ha deciso di fermarsi. Perché ha risposto al Dio dentro di sé, che non è il Dio della religione, ma è l’immagine di sé stesso che forse credeva di aver perso. È stato molto coraggioso.
Chi, come te, ha vissuto la musica pre-social, credi possa essere più strutturato ad affrontare certe situazioni di difficoltà che si incontrano di fronte al successo?
Secondo me ce l’hanno anche i giovani di oggi la forza di dire no, è dentro di loro, però devono ascoltarla. Sembrano discorsi spirituali, che i giovani tendono a snobbare, ma io ci credo tanto nei giovani. Per questo mi piace espormi sui social, persino su TikTok. Imparo tanto da loro. Devono solo credere di più il loro stessi. Perché tutta la spavalderia che mostrano è finta, in realtà sono fragili. Però hanno la forza, devono solo ascoltarsi ogni tanto. È vero che dipende dall’epoca, ma anche tra 50 anni ci saranno giovani fragili. Se ci guardiamo indietro, quanti sono scoppiati negli anni ’60 o ’70? Syd Barrett per esempio.
La tua generazione ha qualcosa da recriminare rispetto a come è poi cambiato il mercato della musica?
Ci tengo a precisare che non ho mai voluto avere niente a che fare con le band anni ’90, perché tutta la mia musica, fin dall’inizio, nasce come reazione alla musica alternativa italiana di quegli anni, una scena che a me non piaceva. Io vengo dagli ascolti degli inglesi e degli americani come Beck, Oasis, Nirvana, Beastie Boys, Sonic Youth. Era un altro modo più punk, più ignorante di concepire la musica. Per questo all’inizio era anch’io più ignorante e forse stupido, ma volutamente. Volevo reagire a quell’ambiente. Non so se ho fatto del bene oppure ho sbagliato qualcosa. Io sono molto fiero della mia carriera. Quello che ho raccolto è quello che penso di aver meritato di raccogliere. Per una generazione non posso rispondere.
A conti fatti ti senti più sottovalutato o sopravvalutato?
Un artista si sente sempre sottovalutato, secondo me. Anche Michael Jackson si sentiva sottovalutato, perché si ha la presunzione di pensare di essere amati da tutti, è un po’ questo il grosso rischio per un artista. Per fortuna me ne sono sempre fottuto, visto che di carattere sono uno che se ne sbatte, però se non ce l’hai questa cosa è difficile impararla. Quando inizia un percorso, come quello della musica, non è importante come ti valutano gli altri, perché puoi cadere nell’errore di essere sopravvalutato e quindi dirti da solo «quando sono figo». Invece bisogna sempre rimanere lucidi, quello è l’aspetto più difficile. Io penso di essere stato sia sottovalutato che sopravvalutato.
E chi aveva ragione?
Non lo so, per me già essere valutato è qualcosa che non mi appassiona. È più importante se la canzone piace o non piace. Se anche solo a una persona piace e dice che è bella gli ho dato una gioia e ne sono felice. È questo il successo, non tutto il resto.
Quanti no importanti hai detto nella tua carriera?
Ce ne sono stati tanti. Dopo Sanremo 2020 ho rifiutato tutto. Se invece avessi accettato tutto quello che mi hanno offerto adesso sarei più ricco di Fedez. Ma io non vendo la mia anima per i soldi, non esiste. Anche prima di quel Sanremo ci sono stati dei no importanti a livello musicale e artistico. Non mi va di fare nomi, non vorrei mettere in cattiva luce qualcuno, ma semplicemente poteva non piacermi il pezzo proposto o la situazione. Io poi ho sempre scritto da solo, per cui è difficile che condivida un brano. Essendo spontaneo potrei aver risposto che quella cosa mi faceva cagare, ma senza rancore. Oppure ho detto no all’apertura di concerti di altri artisti molto noti che però volevano che pagassi.
Cioè tu avresti dovuto pagare per aprire un loro concerto?
Sì. Scusa, mi dicevo, perché devo andare lì e pagare io? Non esiste che vengo ad aprire il tuo concerto e devo pagare, che cazzo vuoi? Ti dico la verità, per me Vasco è un mito però non pagherei neanche per aprire un suo concerto. Io non pago per andare a suonare. Eppure è qualcosa che succede spesso nell’ambiente. È uno di quei non detti che esistono davvero.
Magari per Vasco Rossi si potrebbe fare uno strappo alla regola, no?
Cosa vuoi che cambi in una carriera se apri a questo o quello? Tra l’altro di fronte a un pubblico non tuo. Per me nulla, infatti non l’ho mai fatto.
Ultimamente hai avuto un diss sui social con Lazza, un altro che non le manda a dire. Anche a te capita di provocare, oppure hai risposto alla provocazione?
Non c’è stato nessun dissing da parte mia, è stato lui a citarmi due volte e ho risposto. A me piacciono i giovani e può capitare di scontrarsi. Lazza mi è anche simpatico. L’ho scritto in un tweet, peccato che lui non ci creda. Io sono dalla parte dei giovani, persino dei trapper che difendo per l’uso dell’Auto-Tune. Ho sempre difeso la loro scena dalle critiche. Vogliono usare l’Auto-Tune? Fanno bene. Pensate ai Sex Pistols, sapevano forse cantare? Così quando mi scontro con i giovani capita spesso che, dopo qualche insulto, mi dicano «grande Bugo». Perché nel frattempo mi hanno conosciuto. E i giovani sono più limpidi rispetto agli adulti.
C’è qualche giovane artista che apprezzi musicalmente?
A me piace molto Visconti. Gli ho anche detto che se vuole gli potrei produrre il suo disco, visto che le canzoni mi piacevano molto mentre mi faceva schifo la produzione. Almeno suonerebbe come si deve. Apprezzo anche i Milanosport. Sono due realtà che ho nella mia playlist, così come, tra gli stranieri, i Pastels. C’è tanta roba bella in giro, non è vero che la musica dei ventenni fa cagare. Chi lo dice è un cretino, la buona musica c’è sempre.
Visto che ti piace cambiare, come ti vedi tra dieci anni?
Mi stai chiedendo come mi vedo in pensione?
Oggi per andare in pensione serve qualche anno in più dei 60…
Guarda, io mi sono sentito in pensione da quando avevo 20 anni. Ogni volta che faccio un disco sono in pensione, mi permette di fare quello che voglio. Non è una forma di pensione? Mi fa stare bene. I pensionati non stanno bene? Io sto bene quando penso al presente e non mi proietto troppo sul futuro. Mi auguro solo di rimanere sempre lucido. Questo gli artisti lo sottovalutano: la creatività non è l’aspetto più importante, tutti hanno una propria creatività, invece è la lucidità che fa la differenza. I grandi artisti sono molto lucidi, non dimenticarlo.
Ogni riferimento è puramente casuale?
Pensate quello che volete. Ma la lucidità rende grandi, altrimenti rimani amatoriale.