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Chaka Khan: «È un mistero che non sia morta per droga»

Intervista all’icona R&B: gli eccessi che l’hanno portata a un passo dalla fine, la fatica della vita on the road, il duetto su ‘Addicted to Love’ di Robert Palmer cancellato a causa del razzismo, la decisione di non fare più lunghi tour. E oggi finalmente la serenità

Illustrazione di Mark Summers

Chaka Khan ha chiuso il 2023 alla grande. A novembre è entrata finalmente nella Rock and Roll Hall of Fame e si è trasferita da Los Angeles in una grande proprietà rurale in Georgia, dove dice di aver trovato la serenità.

L’icona del R&B, che ha appena lanciato il nuovo profumo Chaka by Chaka Khan e continua a esibirsi dal vivo, anche se sta cercando di diradare gli impegni, ha ripercorso con noi alcuni momenti salienti e difficili della sua carriera.

Uno dei titoli che hai preso in considerazione per la tua autobiografia, un po’ di anni fa, era To Hell and Back in a Limousine. Qual è stata la parte infernale del tuo viaggio?
Spostarsi in un bus, pisciare in bagni microscopici, svegliarsi al mattino e trovarsi a cinque ore di auto dall’albergo dove potrai finalmente farti un bagno o una doccia come si deve e andare a letto come fanno gli altri esseri umani. E quella stessa sera fare un concerto. È una follia, una autentica follia. È come essere una camionista e un’artista allo stesso tempo. Ti senti sola come non mai.

Hai detto di voler smettere coi tour. Ci sono artisti come Keith Richards che invece desiderano morire sul palco, ma ovviamente non è il tuo caso.
Certe persone non hanno nient’altro, sai? Io invece ho una vita piena. Ho dei pronipoti che voglio conoscere meglio. Quindi non farò un altri tour. Farò delle date, ma non si tratterà di un tour: saranno abbastanza distanti tra loro da permettermi di dormire tra uno show e l’altro.

Pensi che ti ritirerai mai del tutto dalle scene?
Be’, potrei farlo per tre o quattro volte di fila, come fanno certi stronzi (ride).

Una storia forse poco nota è che Addicted to Love di Robert Palmer, in origine, doveva essere un duetto con te, ma l’etichetta ha insistito per eliminare la tua voce. La trovo una cosa tremenda.
Lo è. E a causa di Addicted to Love ho passato una brutta depressione. Mi ha scosso vedere qualcosa di così puro, semplice e bello cancellato dalla faccia della Terra solo per soldi. Che follia. Eravamo sotto contratto con la stessa etichetta, sarebbe stata una cosa vantaggiosa per tutti. E poi il duetto era favoloso, sarebbe stato straordinario. Farlo è stata una sua idea. Il fatto è che la musica, come molte altre cose belle, può essere distrutta da forze oscure… Robert era dispiaciuto. Neanche lui capiva. Era sconcertato, come me.

Sembra sia stata una decisione dettata dal razzismo, hanno pensato che il pezzo sarebbe stato meno vendibile con te…
Per come la vedo io, è così che è andata.

Cosa pensi del tuo lascito artistico, del fatto che la tua musica verrà ascoltata anche quando, un giorno, tu non ci sarai più?
Non mi interessa granché. Spero che la mia roba abbia una certa longevità, ma se non sarà così vorrà dire, si spera, che è arrivata una più brava. Mi auguro solo che questa forma d’arte non si incasini troppo con le cazzate: i ragazzi di oggi pensano che ogni strumento possa essere suonato con una tastiera. Bisogna far conoscere nuovamente gli strumenti a questi ragazzi.

Hai mai provato fastidio per la cover di I’m Every Woman di Whitney Houston?
Assolutamente no, perché ha fatto un lavoro stellare. Ero sbalordita. Le ho chiesto: «Ma hai usato i miei cori?». Mi ha detto di no. «Andrò a controllare», le ho detto. Eravamo molto amiche. Mi manca tanto, come mi manca anche Prince. Lei era una persona straordinaria. Divertente e intelligente.

Tanto per chiarire, il motivo per cui ti sei arrabbiata con Kanye West per Through the Wire è che ha chiesto di usare la tua voce campionata, ma non ha detto che sarebbe stata accelerata, giusto?
Sì. Ma è stata anche colpa mia, che me la sono presa. Perché se avessi conosciuto meglio il mondo del rap, come adesso, non sarebbe stato un problema.

Quindi non ti urta più?
No, è una faccenda chiusa, non provo rancore.

Una volta hai detto che, visto quanto ti sei drogata, ti stupisci di non avere fatto una brutta fine come tanti altri colleghi musicisti. Hai capito come ce l’hai fatta?
No, è un mistero. In un paio di momenti della mia vita avrei potuto davvero morire. È accaduto solo per volontà di Dio.

Cosa ti direbbe una giovane Chaka Khan?
Mi direbbe: «Ma davvero?». Mai e poi mai avrei pensato di diventare famosa, è successo senza che dovessi fare nulla, canzoni a parte. Non ho avuto personaggi importanti che mi hanno presentato al mondo in grande stile. Mi stupisce ancora oggi quanto mi vogliano bene nel settore.

Cosa ha significato trasferirti in Georgia?
Tantissimo: ho trovato la serenità. Sono circondata da una foresta meravigliosa, vado in cerca del Bigfoot e del Sasquatch. C’è un lago qui davanti. Quindi ogni giorno, quando mi alzo, vedo un lago in mezzo alla foresta. Esco e respiro ossigeno puro. Bevo l’acqua del rubinetto che arriva dal mio pozzo. Mi sto preparando a far crescere verdure ed erbe aromatiche, non vedo l’ora. E ho intenzione di prendere un paio di cavalli. Voglio godermi la vita. Quella vera.

Quando ti siedi in veranda e guardi tutto questo, ti sembra di vedere finalmente i frutti del tuo lavoro?
Vedo alcuni dei frutti, l’inizio. (Ride) Vedo i germogli.

Da Rolling Stone US.

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