Conor Oberst ha passato gli anni ’10 accumulando molti più impegni dei suoi colleghi cantautori. Nel 2011 ha pubblicato The People’s Key, l’ultimo album con la sua band, i Bright Eyes; poi, nel 2015, ne ha pubblicato un altro con la sua altra band, i Desaparecidos. Poi tre dischi solisti – Upside Down Muntain, Ruminations e Salutations – e dal 2014 al 2017 ha fondato con il fenomeno indie Phoebe Bridgers il superduo folk-pop Better Oblivion Community Center. «Scrivo canzoni da quando ho 13 anni, cazzo», ha detto a Rolling Stone nel 2014. «Ho dedicato gran parte della mia giovinezza a tour senza fine e a un bisogno sfrenato di creare. Ma forse non ho bisogno di inseguire tutte le mie ambizioni».
Abbiamo contattato Oberst e gli abbiamo chiesto di fare un bilancio sul decennio che sta per concludersi, dalla sua ossessione per Peaky Blinders all’amicizia con il leggendario batterista Jim Keltner.
Il mio album preferito: Stranger in the Alps di Phoebe Bridgers.
La mia canzone preferita: Days of the Years dei Felice Brothers.
L’artista che ha vissuto il miglior decennio: I Felice Brothers. Hanno scritto la musica migliore.
Il peggior trend musicale del decennio: Il mio iPhone che faceva partire A Punk tutte le volte che lo accendevo.
La serie TV che non sono riuscito a smettere di guardare: Peaky Blinders. Sono innamorato di Cillian Murphy.
Il miglior concerto del decennio: I Rage Against the Machine al Palladium di Los Angeles, nel 2010.
L’incontro più sorprendente con un altro artista: Jim Keltner. Siamo diventati amici rapidamente, e ha prodotto e suonato la batteria nel mio album Salutations.
L’errore da cui ho imparato di più: Pensare che fosse impossibile che Donald Trump venisse eletto.
La cosa più interessante che ho fatto ma che nessuno ha notato: Ho preso una cagna. È adorabile e un po’ malandata.
La cosa più strana che hanno detto di me sui media: Più o meno tutto.
Il miglior outfit che ho indossato: Il mio miglior abito nero, perfetto per matrimoni e funerali.
Il momento che rappresenta meglio il decennio: Io che rispondo a queste domande.
La mia speranza per gli anni ’20: Che le persone tornino ad accettare la realtà.