Nell’album dello scorso anno Titanic Rising Natalie Mering, in arte Weyes Blood, affrontava i temi del cambiamento climatico, della tecnologia, dell’economia e cantava naturalmente l’affondamento del transatlantico della White Star Line. «Sentivo che una catastrofe era imminente ed eccoci qua», racconta oggi. « Quando ho fatto il disco il discorso sul cambiamento climatico stava entrando nel mainstream. Oggi le persone ne sono coscienti, persino i repubblicani e l’alt-right sanno che è reale».
Mering sta lavorando al seguito di Titanic Rising. Parlerà «di cose di cui gli altri non parlano». L’idea è pubblicarlo nel 2021, ma la pandemia potrebbe scompigliare i piani. «Oggi non puoi semplicemente pubblicare un disco una volta che è finito. Devi aspettare che gli stampatori siano pronti a lavorarci, è probabile che esca nel 2022, anche se mi piacerebbe avere qualcosa fuori già l’anno prossimo».
Il 2020 è stato un anno di riflessione per la cantautrice. «Guardo il lato positivo delle cose. Per una musicista il palco è vita. Suonare di fronte al pubblico è una forma di validazione del tuo lavoro, senti di avere realizzato la tua vocazione. Mi nutro di quelle sensazioni. Quando non ho potuto più esibirmi sono stata costretta a cercare una nuova ragione di vita. Ho capito che avrei dovuto cercare quella validazione dentro di me».
L’album che ho ascoltato di più:
John Lennon/Plastic Ono Band, che disco incredibile.
La serie tv preferita:
I May Destroy You.
La canzone che definirà il 2020:
My Shit’s Fucked Up di Warren Zevon (ride).
Come mi sento al momento:
Evoluta. Sento di essere cambiata negli ultimi mesi, mi sono trasformata in una versione migliorata di me stessa. Ok, sembra pretenzioso, ma questo lavoro su noi stesso l’abbiamo fatto tutti quest’anno, no? È il bello di arrivare a fine anno. È tutto un “ce l’ho fatta, sono viva, sto bene!”.
Il video virale che ho visto più volte in quarantena:
Non seguo quel tipo di cosa, ma ho visto quattro o cinque volte il video della performance dell’inno americano di Jimi Hendrix a Woodstock alle 5 del mattino, o giù di lì. Mi sembrava appropriato alle circostanze.
Il vecchio album che ho riascoltato per sentirmi meglio:
Talking Book di Stevie Wonder, il mio preferito di quand’ero piccola. È perfetto, dolce, solare e meraviglioso. Stevie Wonder è il migliore.
Il vecchio film che ho rivisto per sentirmi meglio:
In ottobre su Criterion sono arrivati dei film horror e ne ho visti un po’. Uno in particolare: La morte corre incontro a Jessica. È uno di quei film inquietanti anni ’70 con una colonna sonora con strani sintetizzatori. L’ho visto e l’ho fatto vedere a un po’ di amici. Non è facile da trovare. Mi è piaciuto anche Portrait of Jason di Shirley Clarke. È un film-documentario basato su un’intervista un gay afro-americano che si prostituiva negli anni ’60. Affascinante.
L’hobby che ho scoperto in quarantena:
Suonare la batteria nella mia nuova sala prove. Ho un sacco di amici nerd pieni di strumenti e uno di loro mi ha gentilmente prestato una batteria. La suono quando sento che devo sfogarmi. Non mi divertivo così da anni.
La celebrità con cui vorrei passare la quarantena:
Non passerei la quarantena con una celebrità, immagino che date le cirocstanze siano diventati tutti pazzoidi. Sai, hanno bisogno di attenzioni (ride). Ho visto un meme divertente. Nella prima parte c’è un tizio adulato dal pubblico, nella seconda lo stesso tizio piange in un angolo e la sua ragazza gli dice: «Dai, vieni a letto». E lui: «Cara, il mio Twitter è divertente?». Ecco, non voglio fare il lockdown con una celebrità.
La cosa più buona che ho imparato a cucinare:
Diciamo che ho imparato a cucinare un pasto in meno di 40 secondi. Toast, uova, verdura, salsa sriracha. Veloce e soddisfacente. Ho anche imparato a fare il brodo buttandoci dentro di tutto, tipo stufato. Ho imparato a cucinare in modo veloce e gustoso.
Il miglior libro letto in quarantena:
Estrazione della pietra della pazzia, un’antologia di poesie di Alejandra Pizarnik del periodo che va 1962 al 1972. Aveva uno stile cupo e inebriante. L’ho scoperto per caso grazie a un’amica. Mi ha detto tipo «Questo è un libro raro, non posso prestartelo», poi però l’ha dimenticato nella mia auto. È una meraviglia.
Una cosa positiva che mi è successa e che nessuno ha notato:
In un certo senso, ho affrontato il mio essere mortale. Tutti abbiamo dentro un moralista che dice che devi fare grandi cose per meritarti di vivere. Sono certa che molta gente che neanche se ne accorge vive così. Ho capito che la depressione – odio ammetterlo perché è molto doloroso – non è che una forma di narcisismo: hai alzato l’asticella talmente in alto che non puoi raggiungerla e sei delusa da te stessa. Arrivi al punto in cui non riesci nemmeno già ad alzarti dal letto o mangiare. E non hai ancora toccato il fondo.
Ho un sacco di amici che quest’anno sono caduti in depressione. Anch’io ci sono passata e ho capito che meritiamo di esistere perché semplicemente esistiamo. Non c’è alcun buon motivo che ti spinge ad essere a tutti i costi grande, tagliare chissà quale traguardo per giustificare la tua stessa esistenza, per essere amata. Quando l’ho realizzato ho capito quanto dura ero stata con me stessa. Non facevo che pensare ai miei errori. Ero molto autocritica. Pensavo che fosse un modo per essere umile e cercare di fare la cosa giusta. E invece era una forma di narcisismo: l’umiltà ha a che fare con la gratitudine, non con l’autocritica. Umiltà significa pensare: respiro e sono grata per questo, farò del mio meglio, ma anche se non sarà granché, merito comunque un posto nel mondo.
L’errore da cui ho imparato di più:
Lo stress, che è micidiale. Alla fine essere perfezionista rende la vita peggiore di quel che sarebbe stata altrimenti. Ecco l’errore che ho fatto quest’anno: mi sono caricata di uno stress non necessario per vivere in circostanze fuori dall’ordinario. È stato un grande errore pensare di caricarmi di stress per migliorarmi. Non funziona così.
Il mio eroe del 2020:
AOC. Spacca ed è una grande speranza per un’intera generazione.
Una parola o una frase che non voglio più sentire:
Influencer. Chi la vuole sentire più questa parola?
La cosa che temo di più dal 2021:
Che Trump decide di mandare in vacca il trasferimento dei poteri. Le sue stronzate fanno paura. Vogliamo che le cose procedano in modo tranquillo. E ho paura che Trump faccia ancora peggio di quel che ha fatto con la pandemia.
La cosa che sogno di fare quando la pandemia sarà finita:
Pogare a un concerto, strusciarmi contro completi estranei in un luogo affollato, le cose che non puoi fare adesso. Andare al cinema di giorno, tipo alle 12:30. Fare shopping e provare vestiti. Comprarli senza averli prima indossati fa schifo, torni a casa e, ops, non ti stanno. E mi piacerebbe fare un concerto.
La mia speranza per il 2021:
Spero che la gente non li limiti a votare e che il movimento progressista nato in questi mesi fiorisca. Spero che la gente non molli e che questa cosa migliori l’arte.
Mi piacerebbe che la gente capisse l’effetto nefasto della tecnologia, parlo dello streaming per i musicisti o della dipendenza da Twitter. La qualità della vita sta andando a farsi benedire, idem per la qualità del dibattito pubblico. Non so se avete visto The Social Dilemma, ma in quel film se ne parla parecchio. Spero che le persone vorranno aggiustare le cose prima di entrare definitivamente in un mondo di post verità. Pensiamo tutti assieme come ristabilire la solidità dei fatti, in modo che non ci siano più fake news. La tecnologia manipola la realtà e invece ci deve essere accordo sulla verità delle cose.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.