Chi sei veramente, Kylie Minogue? | Rolling Stone Italia
Minoguaissance

Chi sei veramente, Kylie Minogue?

Una nuova hit, un nuovo album, la solita riservatezza. Abbiamo incontrato la principessa del pop prima della residency a Las Vegas per scoprire chi è davvero, cosa pensa, come lavora, come vive una delle star più camaleontiche di sempre

Foto: Edward Cooke per Rolling Stone UK

È una bella giornata di sole a Los Angeles e nel bar del Pendry West Hotel di Hollywood c’è una festa con fiumi di champagne, di quelle che solitamente si fanno a tarda notte. Per un giorno, in onore della regina australiana del pop Kylie Minogue il bar è diventato la replica del Voltaire, il locale che si trova dentro al Venetian Resort di Las Vegas.

Minogue sorride girando per la sala imballata di influencer e giornalisti. Sta per annunciare la sua prima residency in assoluto che partirà a novembre proprio al Voltaire, anche se la notizia è il segreto peggio custodito di tutta Vegas, visto che è dall’estate che girano voci. Las Vegas era nei suoi pensieri da un bel po’, ma voleva che accadesse al momento giusto e il momento giusto è questo, dopo quasi quattro decenni di carriera e una nuova hit fuori.

«Non volevo farlo da artista al tramonto», spiega durante la conferenza stampa. Circondata da secchielli di ghiaccio pieni di vini del brand della cantante Kylie, la principessa del pop parla con chiunque cerchi di carpirne l’attenzione. È ciarliera, attenta, riconosce gente che incontrato anche solo fugacemente in passato. «Mi sono persa il caviale!», dice a un certo punto: era troppo impegnata a chiacchierare.

Ci sono voluti tre anni per organizzare la residency a Las Vegas. Le trattative sono iniziate dopo la pubblicazione nel 2020 di Disco, l’album che rievocava lo spirito delle dive della disco anni ’70 e che è uscito in piena pandemia, quando non si poteva andare nei club. E così Minogue si è trovata sulla stessa lunghezza d’onda di Dua Lipa e Jessie Ware, un trio di revivaliste della disco che ha fatto fronte comune per celebrare il genere, collaborando e ospitandosi a vicenda nei rispettivi spettacoli in streaming live (quello di Minogue, Infinite Disco, ha venduto quasi 30 mila biglietti).

Nessuno, però, poteva prevedere quel che è successo quest’estate, quando Minogue ha lanciato Padam Padam, il primo singolo tratto da Tension. Con un titolo onomatopeico, che vorrebbe evocare l’idea del suono dei battiti cardiaci, la canzone è entrata nelle classifiche di mezzo mondo ed è arrivata giusto in tempo per il mese del Pride, a giugno, diventando l’inno ufficioso di parate e celebrazioni. Persino il Principe William e la Vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris hanno citato Padam Padam in quel mese, dimostrando che era esattamente il tipo di canzone trasversale che la maggior parte degli artisti sogna di pubblicare. «Non appena un pezzo esce, non è più tuo, ha una vita sua», dice Minogue. «E questo è cresciuto velocemente. E non accenna a rallentare».

È un’altra pietra miliare che porta lo status di Minogue a un altro livello e segna l’inizio di un’altra grande rinascita della star, una delle lavoratrici più tenaci e caparbie del pop. Nel 2021 è tornata in studio  per realizzare Tension, altro progetto dance elettrizzante firmato dalla regina dei progetti dance elettrizzanti.

Eppure, come accade a tante icone pop, la sensazione è che il mondo non si sia sempre accorto di lei, nonostante abbia pubblicato singoli sempreverdi e abbia esercitato un’influenza fortissima su gente del calibro di Lady Gaga. A 55 anni, sulla scorta di segnali che indicano che il suo status continuerà a crescere, Kylie Minogue accoglie con piacere tutto questo affetto. «Stanno arrivando tante cose buone tutte assieme», mi dirà più tardi, dopo essersi cambiata indossando un top argentato e stivali neri che arrivano alle cosce. Momenti del genere sono imprevedibili, meglio godersi ogni istante.

Foto: Edward Cooke per Rolling Stone UK. Abito di Jean Paul Gaultier

Per stare al passo di un’industria tostissima, Minogue è diventata una delle star più duttili del pop. È evidente anche sul set per la cover story di Rolling Stone UK. «Certo, proviamoci», dice quando le viene proposto di mettersi delle parrucche rosse per strizzare l’occhio a la reputazione da camaleonte pop che ha guadagnato negli anni ’90 e ’00, quando cambiava immagine a ogni nuovo album. Si butta a capofitto in ogni posa, conosce i suoi lati migliori, si impegna in ogni scatto. È curiosa e disinvolta in modo disarmante, a tal punto da a far sembrare naturale il fatto di essere una popstar.

Eppure fin dal principio la sua carriera è stata segnata da molte sfide. Da adolescente, ha avuto la sua grande occasione con Neighbours, una soap talmente popolare negli anni ’80 che i telespettatori nel mondo superavano la popolazione dell’intera Australia. Quando ha deciso di inseguire i suoi sogni musicali, è stata bollata come troppo innocente e pura, almeno finché non ha cominciato a uscire con Michael Hutchence degli INXS. Le sue sperimentazioni alternative sono state accolte da reazioni contrastanti da parte di fan e critica. «Sono una donna di mezza età che ha affrontato sfide d’ogni tipo», spiega. «Il pop deve sembrare leggero. Ma, come sappiamo, devi lavorare duramente perché sembri tale».

Nel 2021, Minogue è tornata in studio con amici e collaboratori di vecchia data, tra cui Richard “Biff” Stannard, Duck Blackwell e Jon Green, nonché il fidato A&R Jamie Nelson, con cui ha lavorato più volte da quando ha firmato per Parlophone, nel 1999. «Avevamo in testa gli anni ’80, ma le cose sono andate diversamente. Alla fine abbiamo deciso che sarebbe stato stimolante non avere un tema dopo lavori come Golden e Disco». La regola: mettersi al servizio delle canzoni. «Le mettevamo nell’album se stavano in piedi da sé e se si sposavano bene con le altre».

È stato lavorando a Disco durante il lockdown che Minogue ha rivoluzionato completamente il modo in cui fa musica. Non va quasi più in studi veri e propri, ma porta ovunque con sé un microfono Telefunken che le permette di registrare quando ha voglia o le arriva un demo. A inizio carriera «ero sempre molto agitata» quando lavorava in studi super professionali, un nervosismo che portava «inevitabilmente» ad attacchi di tonsillite o ad altri problemi. «Preferisco registrare in casa quando voglio». Padam Padam, ad esempio, è stata registrata in una stanza d’albergo di Londra, dopo che Nelson le aveva mandato un demo (è una delle poche canzoni dell’album di cui Minogue non è coautrice).

Foto: Edward Cooke per Rolling Stone UK

Poco prima di iniziare a lavorare a Tension, Minogue è tornata a Melbourne dopo una trentina d’anni passati a Londra. Ha lavorato a gran parte dell’album in Australia e nelle camere d’albergo di Londra, ma a un certo punto è stato chiaro che serviva una settimana a stretto contatto col suo «dream team» composto da Biff, Blackwell e Green, tutti insieme a vivere e scrivere nello stesso posto. Dato che Biff non prende aerei, hanno scelto di rimanere in zona, trovando un Airbnb «caldissimo» nel Surrey, dove si sono rintanati per cinque giorni lo scorso agosto, mentre la temperatura esterna toccava i 39 gradi. Se ne sono andati con almeno 10 canzoni nuove.

«Hai presente quando vivi un’esperienza straordinaria insieme ad altri, la cosa ti rimane impressa e avete bisogno di rivedervi perché vi siete divertiti tantissimo?», dice Minogue con un sorriso che va da un orecchio all’altro. «Facevamo colazione, pranzavamo e cenavamo insieme e insieme facevamo musica. È stato magnifico».

Per qualche session, al quartetto si sono unite le cantautrici emergenti Anya Jones e Camille Purcell (in arte Kamille). Era l’«energia femminile» di cui Minogue aveva bisogno per abbandonare la sua comfort zone. L’artista attribuisce a Purcell, in particolare, il merito di averle dato la sicurezza necessaria per interpretare la parte sfacciata di Tension in cui canta “Call me Kylie-ay-ay”. «Per me Kylie era diciamo così di casa», dice Purcell, che fin da piccola è sempre stata una fan di Minogue. «Credo che il suo nome e la sua musica facciano parte del mio dna».

Purcell sentiva la pressione di dover far colpo su una delle sue eroine, ma non ci è voluto molto perché entrassero in sintonia. I due brani dell’album in cui Purcell ha dei crediti come autrice sono stati scritti lo stesso giorno. «È così alla mano che non ti pare nemmeno di essere in una stanza con una popstar. Ti sembra d’esser lì con un’amica che conosci da un sacco di tempo. È stata un’esperienza pazzesca arrivare a conoscere qualcuno così velocemente».

Minogue attribuisce all’esperienza fatta in tv fin da giovanissima il merito di averle instillato il senso del lavoro di squadra. «Quando ho iniziato, non ero neppure lontanamente una diva. Non credo che paghi dimenticarsi di essere umani». Secondo Purcell, Kylie «ha il potere di disarmare le persone». La popstar asicura che «non è una recita, sennò sarei un’attrice bravissima».

Sarà pure disarmante, ma Minogue resta una delle star più riservate del pop. Non è una di quelle che rilasciano lunghe interviste. Se i paparazzi la pizzicano è perché si trova fuori da qualche evento o in qualche raro scatto rubato in vacanza. Sceglie con cura le parole e ogni rivelazione ha sempre a che fare col lavoro.

Pochi la conoscono bene come Biff. La loro amicizia risale al 1999, ma lui si considera fan di Minogue da molto più tempo. Era «un giovane gay» che ballava rifacendo le mosse Better the Devil You Know e Shocked nei club a inizio anni ’90. E del resto i primi a considerarla un’icona sono stati proprio i gay. Biff ha seguito con attenzione i cambiamenti nella carriera di Minogue, a partire da quando si è separata dal trio di autori Stock, Aitken & Waterman con cui aveva realizzato i primi quattro album. Il suo sound è poi diventato meno leggero e più audace. Ha persino collaborato con Nick Cave, suo fan dichiarato. Il singolo dalle atmosfere trip-hop Confide in Me e il duetto con Cave su Where the Wild Roses Grow hanno fatto sì che Biff e tanti altri come lui cominciassero a prendere Minogue molto seriamente.

Nel frattempo, Biff si stava facendo strada nel mondo del pop in qualità di mente musicale dietro ad alcuni dei più grandi successi delle Spice Girls. Quando Minogue è passata alla Parlophone, Nelson l’ha messa in contatto con “Biffco”, il team di autori di canzoni guidato da Biff. Can’t Get You Out of My Head (scritta e prodotta da Cathy Dennis con Rob Davis) è diventata la sua prima vera hit negli Stati Uniti, inaugurando una rinascita di Minogue a livello mondiale; Biff e Kylie hanno poi avuto un successo enorme con Love at First Sight, terzo singolo tratto dall’album Fever del 2001.

Foto: Edward Cooke per Rolling Stone UK

«Siamo amici da una vita e non so neppure quante canzoni abbiamo fatto insieme», dice Minogue, aggiungendo che lui la spinge verso la libertà creativa di cui ha avuto bisogno nell’ultimo quarto di secolo. «Con Biff scrivo in modo istintivo. Sento di potermi esprimere in una maniera meno stereotipata. Il lavoro, poi, consiste nel rendere il tutto un po’ più convenzionale».

«Le canzoni nascono dalle chiacchierate da amici, da cose della mia vita, dalle esperienze altrui», spiega Biff. «Intorno a lei c’è una famiglia legata da amicizia, amore, fiducia. Ed è una famiglia unitissima, tipico di certi grandi artisti. Non scenderò nello specifico, ma c’è una canzone in questo album che parla di qualcosa che ho passato io e di cui solo lei era a conoscenza».

Con gente che la conosce personalmente e professionalmente da tanto tempo, Minogue può essere aperta e sincera, ma è tutto da vedere se e quanto sveli alla fine agli ascoltatori. «Sono più soddisfatta quando sento di aver espresso qualche pensiero o emozione profonda, è come parlare con un amico. Si tratta quasi di dipingere i pensieri, invece di spiattellarli. Mi piace fare un po’ di poesia, per non essere troppo scontata».

Diventare molto protettiva nei confronti della vita privata fin da giovanissima è stata una necessità. I tabloid e i paparazzi si sono accaniti su di lei quando recitava in Neighbours e ancora di più quando è diventata una popstar, inanellando una serie di grandi hit. «Penso che per molti sia bellissimo che ora si discuta di salute mentale e del peso della fama che anch’io ho sperimentato», dice al telefono dalla sua nuova casa di Melbourne. «Sono riuscita a gestire la cosa da sola e a passarci attraverso con la mia famiglia e i miei amici più stretti. Non è stata una scelta semplice» quella di difendere la privacy, «l’ho fatto per proteggere me stessa e la mia famiglia». Come fa a tenere la sua vita lontana dagli occhi del pubblico? «Ci vuole buon senso, un po’ di impegno e di sacrificio. Sono capace di fare un sacco di cose in un periodo brevissimo e poi fermarmi per ricalibrarmi».

I frammenti della vita privata che Minogue lascia trapelare fanno intravedere un’esistenza incredibilmente normale. La grande diva che si è trasformata in una dea greca durante l’Aphrodite Tour oggi pensa a quando vedrà gli ultimi cinque episodi di Succession («Sono quasi tentata di non farlo subito, mi dicono tutti che il finale è forte»). Col passare degli anni ha imparato ad apprezzare i viaggi in cui può rilassarsi e non fare nulla. «È buffo come sono diverse le fasi della vita. Un tempo dicevo: “Perché mai stare seduta su una spiaggia per una settimana?”. Ora invece: “Una settimana in spiaggia? Sarebbe grandioso”».

Biff dice che a lui e a Minogue piace molta musica simile, come i Sigur Rós e una certa elettronica dark «piuttosto pesante». Organizzano regolarmente anche delle «serate Ryan Murphy» in cui guardano Feud vestiti da Bette Davis o Joan Crawford. «Ho anche un mini Oscar in casa», dice lui ridendo.

Minogue non ha molti altri hobby. È un po’ una stacanovista e si è presa poche pause dal lavoro nel corso della carriera. La più lunga è stata quando si è curata per un cancro al seno, una ventina d’anni fa, ma anche in quel caso non è stata via per molto tempo. Gli intervalli tra gli album sono scanditi da lunghi tour, rare apparizioni in tv, il lavoro dietro le quinte nelle sue aziende di vini e profumi. Ammette che «a volte mi viene voglia di prendermi una lunga pausa, ma passa subito».

È tanto curiosa e irrequieta quanto perfezionista, sempre in cerca di mondi da esplorare. «C’è sempre una canzone che non è ancora stata scritta. Come Padam Padam, che un anno fa non esisteva. La soddisfazione o la sfida più grande è dar vita a quei tre minuti e mezzo di magia rivoluzionaria. È impagabile la sensazione di avere esercitato un’influenza positiva su qualcuno».

Foto: Edward Cooke per Rolling Stone UK

Dato che i suoi dischi non le sembrano mai finiti, è necessario che qualcuno, come il suo A&R Nelson, le dica che è tempo di smettere di lavorare a un progetto. Tension non era ancora uscito e Kylie Minogue stava già rimuginando sulle infinite cose che avrebbe potuto fare in più o in modo diverso. «A un certo punto però devi fermarti», amette. «Quindi, ora sto pensando a cosa fare negli spettacoli dal vivo».

Ad agosto avrebbe dovuto riposarsi prima di affrontare la giostra della stampa e degli spettacoli promozionali, ma ha avuto una agenda piena di impegni. Stava pianificando la sua apparizione dal vivo al Radio 2 in the Park e nella sua mente si affollavano pensieri su Las Vegas, sulle prove imminenti, su cosa diavolo mettere in scaletta. Non è però il tipo di popstar che si scoraggia di fronte a impegni del genere. Anzi, sottoposta alla pressione si trasforma.

Ha toccato con mano come il tempo scorra velocemente. Anche i tre decenni passati a Londra sono passati in fretta. Nei primi cinque anni lì non le è sembrato nemmneo di essersi trasferita per via dei viaggi che faceva di continuo mentre la sua carriera musicale decollava. Dice che questo «è un buon momento per tornare a Melbourne» anche per via della vicinanza dei genitori, dei fratelli e dei nipoti.

Quando ci risentiamo qualche settimana dopo il nostro incontro a Los Angeles, vive vicino al luogo in cui è cresciuta. Non le sfugge l’importanza di riflettere sui suoi 35 anni di carriera musicale nei pressi del luogo in cui è «diventata una specie di drogata del pop». Ha ancora il suo mangiacassette mono. «Quando non riuscivo a mettere via abbastanza soldi per comprare un album su vinile, è stato il mio portale verso il mondo della musica. Non l’avrei mai detto, ma la musica era uno dei miei sogni».

Se si guarda indietro, non ha grossi rimpianti. Certo, ci sono alcune piccole cose che avrebbe voluto fare diversamente, ma è per via del suo perfezionismo. Vorrebbe essersi fatta valere di più, in molte occasioni. Avendo iniziato a lavorare nell’industria musicale quando era adolescente, ha impiegato qualche anno per acquisire la sicurezza necessaria a dire di no a certe cose, ma tutto sommato anche i primissimi album riflettono in maniera autentica chi era all’epoca. «Non vorrei mai che si pensasse che ero una marionetta quando ho cominciato. Facevo comunque delle scelte, nessuno mi manovrava».

Ora ha il pieno controllo. Quando parliamo del processo creativo delle canzoni di Tension, racconta una storia dettagliata per ognuna di esse di come ogni riga e nota è stata messa insieme coi suoi collaboratori. L’agitazione da studio e gli attacchi di tonsillite dovuti allo stress sono un lontano ricordo. «Ora ci metto un sacco di tempo per fare tutto, perché posso permettermelo», dice con disinvoltura e sicurezza.

In occasione della residency a Las Vegas si è scatenata una corsa quasi frenetica dei fan per accaparrarsi i biglietti. Il primo lotto si è esaurito subito e nuove date sono state annunciate fino al 2024. Di fronte a tutto ciò, Kylie ha provato l’ansia tipica di chi si preoccupa che tutti possano vederla, se vogliono.

Maturando, ha avuto più occasioni per assaporare l’impatto che ha avuto e la sua legacy. Un momento particolarmente significativo, da questo punto di vista, è stato quando nel 2019 si è esibita nel Legends Slot a Glastonbury. Era la sua prima volta al festival, dopo che il suo set da headliner del 2005 era stato cancellato a causa delle terapie per il cancro al seno che doveva seguire. «È stata una grande opportunità per dire: merito di essere qui».

«Qualunque artista è pieno di insicurezze e dubbi su di sé, ma ora va bene, per me. L’ho desiderato a lungo. Pensavo che non mi sarebbe mai successo», dice a proposito della sua carriera. «Mica so se la gente ha idea di quanto mi sia costato continuare a fare tutto questo. Ma ora sono rispettata. Ci è voluto del tanto, ma sono molto più tranquilla rispetto a qualche tempo fa. Grinta e determinazione, però, sono quelle di sempre».

Foto: Edward Cooke per Rolling Stone UK

Dopo l’uscita di Tension, Minogue darà il via alle prove per la residency a Vegas. Al momento non sa dove soggiornerà sulla West Coast in quel periodo. Nel 1999 aveva pensato di andare a vivere a Los Angeles, dove aveva comprato casa dopo che Impossible Princess non aveva ottenuto il successo sperato. «Pensando che fosse tutto finito ho preso casa a West Hollywood. Poi ho registrato Spinning Around e Light Years e tutto è partito di nuovo. E quindi ho venduto la casa».

Anche se resterà negli Stati Uniti almeno fino a primavera, porterà con sé un pezzo di Melbourne. I suoi genitori hanno già comprato i biglietti per la prima a Las Vegas. La madre e una parrucchiera che aveva lavorato a uno dei primi film di Minogue, nel 1989, erano le due persone che accompagnavano in tournée la giovanissima star emergente, agli esordi. «Lavavano a mano tutti i vestiti del corpo di ballo nei bagni degli hotel, li arrotolavano dentro agli asciugamani e li facevano asciugare durante la notte», ricorda. «Penso ai sacrifici che hanno fatto i miei genitori e a quello che mi hanno visto passare. Hanno visto quello che ho dovuto fare per arrivare ad avere questa vita e questa carriera».

E chissà che vedere fra il pubblico i genitori, custodi dei suoi segreti più intimi, non spinga Minogue a esporsi, almeno per un breve istante: «Quello sarà il momento in cui cadrò a pezzi».

***

Fashion direction: Joseph Kocharian
Styling: Bradley Kenneth
Acconciature: Sami Knight per A-Frame Agency utilizzando Arctic Fox
Makeup: Anthony N. Nguyen per KVD Beauty e The Wall Group
Hair assistant: Ashley Grossblatt
Produzione: Aleisha Digby per WMA

Da Rolling Stone UK.

Leggi altro