Quella del produttore è una figura che, in Italia, troppo spesso viene messa in secondo piano. L’artista principale, la voce è sotto le luci dei riflettori, ma chi lavora alla produzione spesso rimane nell’ombra. Nel rap italiano questa è stata la prassi per anni e sono pochi i nomi che sono riusciti a ritagliarsi spazi importanti come figure indipendenti – ad esempio, Don Joe con i Club Dogo, Big Fish con i Sottotono (prima) e Fabri Fibra (dopo). La nuova generazione del rap italiano – quella che vede il 2015 come anno zero, per intenderci – ha pian piano invertito questo paradigma, evidenziando l’importanza della figura del producer. Sick Luke e Charlie Charles sono due dei nomi che più esemplificano questo percorso: producendo la Dark Polo Gang (il primo) e Sfera Ebbasta (il secondo), entrambi col tempo si sono ritagliati un seguito personale e sono diventati figure indipendenti a tutti gli effetti, soprattutto nel settore del rap italiano.
Chris Nolan appartiene di diritto alla loro stessa categoria. Classe ’95, all’anagrafe Christian Mazzocchi, si è costruito un nome di tutto rispetto nel settore, producendo artisti del calibro di Ghali, Ketama126, Sfera Ebbasta e Tedua. Proprio con quest’ultimo ha creato un sodalizio inossidabile, curando tutto il suo secondo album ufficiale, Mowgli (certificato doppio disco di platino dalla FIMI), e gran parte di Vita vera, il mixtape in due parti che anticipa il suo nuovo album ufficiale.
Dopo anni di lavoro, Chris Nolan ha deciso di mettersi in proprio e ieri ha pubblicato Euforia, il suo primo singolo ufficiale. Ha coinvolto non solo Tedua, ma altri tre artisti – Madame, Aiello e Birthh, due dei quali saranno a Sanremo 2021 – dando vita a una combinazione del tutto inedita, nonché piuttosto lontana dagli standard del rap attuale.
Quand’è nata l’idea di realizzare un singolo a tutti gli effetti tuo?
L’idea nasce molto tempo fa, anche se in maniera confusa. Lavoro tanto in studio e spesso mi trovo a pensare «questo se non lo faccio uscire ora, non lo faccio uscire più». Euforia in realtà è nato nel 2017, poi l’ho accantonato per riprenderlo in mano una volta ultimati i lavori per creare il mio studio di registrazione. L’ho ripreso in mano nel 2019 e mi sono reso conto che era il pezzo giusto sia per raccontare quello che mi circonda nel quotidiano, sia per il tipo di percorso che sto intraprendendo a livello musicale.
Tre anni fa avevi già in mente i quattro nomi con cui poi hai effettivamente lavorato?
No, in realtà i nomi sono cambiati in corso d’opera. L’embrione di questo brano nasce con Birthh, l’avevo invitata da me per lavorare a qualcosa, non al singolo, ma comunque a un mio progetto, anche se non pensavo ancora a un singolo vero e proprio. Una volta finito lo studio la prima ospite è stata Madame, che si è presa bene ascoltando il pezzo e ha scritto la sua parte. Subito dopo ho pensato a Tedua, secondo me perfetto per le atmosfere, e poi ad Aiello, in virtù della strumentale. Lui non lo conoscevo in maniera approfondita, ho studiato la sua musica e mi sono convinto che fosse l’aggiunta ideale.
Secondo te com’è percepita la figura del produttore in Italia?
Eh, bella domanda (sorride). In Italia ci sono state più generazioni, sia di rapper che di produttori. Quella del 2015 ci ha visti protagonisti e nel futuro prossimo ne arriverà un’altra, non c’è dubbio. Ogni generazione sembra rendere le cose più chiare, più accessibili, più alla portata di tutti. Oggi non ci sono più gli ostacoli – economici e non solo – che c’erano una volta. Dall’altro lato, però, sembra che tutti si siano convinti di poter far musica. Se mi guardo intorno, penso che oggi la figura del produttore sia importantissima, ma non la vedo più così esclusiva come un tempo.
Parlando del produttore come figura pubblica, la differenza di esposizione tra Italia e Stati Uniti è piuttosto marcata – basta pensare ai vari Timbaland, DJ Khaled o Metro Boomin, per fare degli esempi. Secondo te a cosa è dovuta questa differenza di percezione?
Direi che la differenza più grande la fa il mercato. Quello americano è molto più grande, numeri alla mano, e fa sì che anche una sola strumentale in un disco, se si rivela una hit, basta a regalare un’esposizione mediatica gigantesca. Qui in Italia non funziona nello stesso modo, sia per questioni di esposizione che di budget. Per me il modo migliore di distinguersi, per un produttore, è quello di studiare il passato, proprio per evitare di riprodurre le stesse formule.
A livello personale, hai mai temuto che ti restasse addosso l’etichetta di producer di Tedua e basta?
Nei primi due anni ho lavorato esclusivamente con lui ed è stata una scelta voluta. Ho iniziato ad ampliare il mio raggio d’azione con il tempo, quando ho capito che serve evolversi. La creazione del mio studio è stata un elemento fondamentale per allargare gli orizzonti. Prima di allora, lavoravo dalla mattina alla sera in camera mia, il mio studio era la mia stanza, insonorizzata, dentro casa mia. Una volta aperto lo studio, ho iniziato a invitare artisti diversi e fare sessioni fino alle 6 di mattina. Senza uno spazio del genere, però, puoi fare tutti i progetti che vuoi, ma realizzarli è tutt’altra cosa. Ai tempi, soprattutto tra il 2015 e il 2018, lavoravo senza sosta, e questo significava avere gli artisti a casa mia tutto il giorno; e quelli che facevo entrare in casa mia erano Sfera, Ghali e Tedua, punto. Non sembra, ma avere uno studio cambia tutto.
Visto che sei tra i pochi che ci è riuscito, di cosa ha bisogno secondo te un produttore per uscire dall’ombra dell’artista per cui lavora?
Il mio consiglio è quello di riflettere, di pensare, di studiare sé stessi. Se capisci quali sono le cose che ti fanno emozionare, capisci anche quali sono i suoni che ti servono per trasmettere quelle emozioni. Io lavoro molto per sensazioni. Non ho studiato un particolare modo di pormi o di presentare la mia musica. Per me è una questione di anima, di capire la propria musica, di capire come incanalare sé stessi e come sfogarsi con la musica.