Il mondo dello spettacolo italiano prova a rialzare la testa, dopo che la pandemia lo ha quasi totalmente azzerato, e lo fa cercando di unire le forze. Fra i protagonisti di questa rinascita c’è Claudio Trotta, il patron di Barley Arts e fondatore di Slow Music, che non è solo un organizzatore di eventi, ma uno degli ultimi promoter indipendenti (ormai si contano sulle dita di una mano). Lo testimonia anche l’Ambrogino d’Oro ricevuto nel 2020.
In campo dal ’79, quando contribuì insieme a Franco Mamone – altra figura di riferimento – a riaprire le frontiere dell’Italia ai migliori artisti stranieri, nel suo lunghissimo curriculum si contano in estrema sintesi l’organizzazione dei concerti di Bruce Springsteen, AC/DC, Kiss, Sting, David Bowie, Guns N’ Roses, Iron Maiden, Aerosmith, Frank Zappa, Stevie Wonder, Metallica, Litfiba, Renato Zero, Ligabue, Negramaro, Elio e le Storie Tese.
In questi mesi è stato fra i primi a tuonare verso le istituzioni, i colleghi e gli artisti per cercare di far comprendere l’importanza del comparto, rappresentato non solo dai grandi eventi ma anche dalle piccole realtà che formano l’ossatura di un settore che conta centinaia di migliaia di persone che da un giorno all’altro si sono ritrovate senza lavoro.
Lo contattiamo proprio a margine di un tavolo di confronto del Forum Arte e Spettacolo e come suo solito è un fiume in piena. «Il settore nella prima fase della pandemia è stato abbandonato dalle istituzioni, ma soprattutto mal rappresentato dai media e dalle multinazionali», ha esordito senza mezzi termini. Per cui, pur lavorando per ripartire, «non me la sento di sedermi al tavolo con chi ha sempre speculato e abusato della propria posizione dominante». E ancora, ha avanzato alcune proposte in vista della ripartenza dei live indicata come necessaria e possibile dal FAS per il 20 marzo 2021, senza credere troppo nello streaming come alternativa: «È un sistema con il quale quelli già ricchi diventeranno ancora più ricchi». E poi ha chiarito che sulle tre date di Bruce Springsteen in Italia nel 2022 non ci sono certezze, visto che oltre che la pandemia lo preoccupa lo stadio di San Siro: «Sono contro l’abbattimento e rischiamo che Milano non sia pronta a ospitare l’ultimo tour con la E Street Band».
Dopo lo stallo, gli appelli e le polemiche è tempo di tavoli per la ripartenza. Qual è la posizione che stai sostenendo all’interno del FAS-Forum Arte e Spettacolo?
Fin dall’inizio di questa emergenza ho cercato di sostenere delle cause, in particolare del mondo del lavoro di cui vivo da più di 40 anni. Che non è formato solo dai grandi eventi, ma in generale dalle arti. Insomma, di chi vive gli spettacoli come attività quotidiana con cui portare a casa da mangiare per sé e i propri cari. Chi suona nei piano bar, nelle orchestre da ballo, chi lavora nelle gallerie d’arte come nelle tante e meritorie associazioni culturali, chi scrive di spettacolo dal vivo, chi li fotografa, chi costruisce, ripara e vende strumenti musicali, i tecnici e i servizi di controllo e tante altre professionalità e maestranze della grande filiera delle arti e dello spettacolo. Finora sono stati tutti discriminati e sono stati oggetto di pregiudizi dal primo istante.
Verso chi punti il dito per questa discriminazione?
Non solo le istituzioni, ma chi lo ha mal rappresentato. I media hanno infatti sposato acriticamente quanto società come Live Nation, e come le società di proprietà di Eventim, e con loro Assomusica hanno stabilito. Ricordo che nel maggio 2020 in conferenza stampa hanno dichiarato che tutto si sarebbe fermato per almeno un anno vista l’impossibilità di organizzare i grandi concerti negli stadi e nelle grandi arene all’aperto. Concerti rinviati di un anno e i cui biglietti legittimamente restavano validi anche per il 2021. Ma il mondo dello spettacolo dal vivo nella sua maggioranza è quello di tutto il resto degli eventi di dimensioni ben più ridotte e con ampia possibilità di totale mancanza di assembramento che avrebbero potuto svolgersi in sicurezza applicando protocolli sanitari ed organizzativi che come Slow Music, insieme a medici e professionisti del settore, già a maggio avevamo approntato e messo a disposizione gratuitamente a tutti.
Cosa pensi del DPCM relativo ai voucher?
Credo che sia stato approntato senza una adeguata consultazione delle parti e che presentasse delle consistenti criticità. A partire dalla possibilità di utilizzarlo unicamente con biglietti dell’organizzatore da cui lo avevi acquistato e non di tutti quelli che facevano parte della biglietteria. Essendo solo un codice sarebbe stato possibile reindirizzarlo in modo più ampio dando maggiori possibilità agli acquirenti. Anche la mancanza di alternative all’accettazione dei voucher al pubblico trovo sia stata comunicata in maniera inadeguata. Ricordo infine che c’era moltissima liquidità, legittimamente nelle mani degli organizzatori e degli artisti che avevano venduto i biglietti, che poteva essere anche utilizzata per sostenere direttamente il mondo del lavoro. Sarebbe bastato connettere l’utilizzo dei voucher da parte dei grandi spettacoli con una indicazione della necessità di una anticipazione parziale delle spettanze alle maestranze che avrebbero dovuto lavorare nell’estate del 2020.
A quanto avrebbe potuto ammontare?
Penso ad un 30% di quanto si sarebbe comunque pagato a loro, per gli spettacoli che non si svolgevano se non un anno dopo o più avanti ma di cui legittimamente si aveva disponibilità della liquidità.
Che cosa ha causato questa distorsione?
Che il mondo degli spettacoli è apparso formato solo da grandi numeri, grandi capitali, grande successo. Una rappresentazione che ha causato delle gravissime conseguenze. Prima di tutto, generando l’idea che gli spettacoli fossero un ricettacolo di focolai di Covid, quando ci sono invece studi tedeschi e spagnoli che dicono il contrario. Così come nel ministro Franceschini e il suo entourage che non fosse un mondo bisognoso di sostegno. Così facendo, abbiamo avuto mesi e mesi di mancanza di prospettive, risorse e pianificazione del presente e del futuro per centinaia di migliaia di persone.
Però ora state dialogando per cercare di ripartire e c’è anche una data. Il 20 marzo 2021.
Finalmente, grazie all’urlo di pochi si è riusciti a creare massa critica verso le istituzioni. Con il FAS è in corso un processo costituente ed è stata indicata come data di ripartenza il 20 di marzo, possibile inizio di una nuova primavera dello stare insieme. È fondamentale che ci siano date certe, il settore ha bisogno di programmazione, organizzazione, promozione e messa in sicurezza. Ora stiamo comparando i vari protocolli per arrivare ad averne uno unico entro e non oltre il 20 gennaio da presentare al Comitato tecnico scientifico.
Almeno a questo è servita la pandemia, visto che il settore non era mai riuscito a unirsi prima d’ora?
Il FAS, nei documenti alla base della costituente, fa esplicitamente riferimento alla necessità di mettere fine agli abusi di posizione dominante, peraltro oggetto di istruttorie da parte della Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Non credo si possa condividere lo stesso tetto con chi ha sistematicamente abusato della propria posizione alimentando distorsioni e mancanza di accessibilità che hanno generato un depauperamento, sia culturale che economico, con una serie di modalità che non fanno bene né a chi lavora né al pubblico. In parte è vero che ci siamo uniti, ma credo sia importante farlo nel nome della diversità, della qualità e della bellezza, l’eccellenza dell’espressione artistica e produttiva indipendente e identitaria e il rispetto della importanza del territorio e dell’ambiente. Altra cosa è invece lavorare principalmente con una logica speculativa e di predominanza della quantità e dei numeri a dispetto della essenza e del rispetto umano. E non mi riferisco solo al fenomeno del secondary ticketing.
In questi mesi stanno prendendo sempre più piede gli spettacoli in streaming. Può essere una soluzione?
Il live ha una peculiarità reale di irripetibilità che ha più di 2000 anni e non potrà mai essere sostituito da alcuna tecnologia virtuale. Tuttavia, nel 2021 lo streaming diventerà una componente necessaria per poter mantenere in vita tanti che lavorano nel mondo dello spettacolo. Però non sarà sufficiente, non è uno strumento che può essere utilizzato da tutti perché la gente è disponibile a spendere dei soldi ma non per qualsiasi cosa. Le persone spendono per lo spettacolo di massa con un grande nome e ancora di più quando di target adolescenziale, oppure per le nicchie. Ma non va dimenticato che tutto il mondo dello spettacolo non è rappresentato solo dalle grandi produzioni o dalle nicchie degli artisti di genere che hanno un pubblico ristretto. Ma è soprattutto quello che c’è in mezzo che al momento non ha valore online. In questo senso lo streaming è solo una droga che permette ai soliti famosi di avere bagni di folla e di soldi. Bravi loro, ma non basta per far tornare al lavoro chi deve mangiare e non basta per la dimensione sociale dello spettacolo dal vivo.
Cosa si può fare nel breve per sostenere gli spettacoli?
Sarà necessario che il MiBACT finanzi a fondo perduto quei soggetti che applicando il protocollo di sicurezza supporteranno la ripartenza dello spettacolo dal vivo e che vorrà anche provare a esistere nel mondo dello streaming in maniera professionale e artisticamente viabile. Ma lo streaming non potrà mai sostituire il valore sociale e culturale dello stare insieme partecipando fisicamente a uno spettacolo.
Intanto, prima ancora di nascere la piattaforma digitale lanciata dal MiBACT suscita polemiche, in particolare sul fatto che si appoggia alla piattaforma privata Chili.tv e non a quella pubblica di RaiPlay.
Me lo chiedo anch’io. Non capisco perché sia stata finanziata dallo Stato con, per ora, mi pare di poter dire limitata trasparenza. Un capitale pubblico entra in una società privata che apparentemente non è che stesse facendo grandissimi successi. Con 12 canali tematici della Rai e con Rai Play che sta andando molto bene, non si sentiva la necessità di creare qualcos’altro.
Sul fronte degli artisti, invece, come valuti alcune iniziative a sostegno del mondo dello spettacolo che hanno fatto molto discutere, per esempio quelle di Fedez?
Meglio lui di altri che hanno solo predicato di stare in casa e mettersi la mascherina senza fare molto altro. A me sta agghiacciando che la maggior parte degli artisti aderiscano a un pensiero unico, e che un grandissimo Artista con la A maiuscola come Van Morrison sia stato lapidato per aver pubblicato tre canzoni critiche verso le modalità con cui i governi hanno messo in totale sospensione la nostra vita. Parrebbe che tutto resti delegato solo a soluzioni mediche e pochi altri hanno espresso opinioni, perplessità o criticità su questa situazione. Anche se non sono per la beneficienza esposta in pubblico.
All’interno di questo pensiero unico, alcuni hanno sentito di raccogliere soldi per delle buone cause. Personalmente ho avuto molto da ridire su queste iniziative in passato, non sono mai stato un sostenitore neanche del Live Aid, un elefante che ha partorito un topolino. Sostengo che qualsiasi genere di beneficenza vada principalmente fatta in privato e con i propri soldi. Non dico che chi lancia iniziative di massa sbagli, ma sono più contento quando le persone famose mettono la propria faccia per alimentare il lavoro, più che la beneficienza. Il lavoro come l’espressione delle persone, della personalità, verso modelli comportamentali di rispetto reciproco, della natura e dell’ambiente.
Un appello agli artisti?
Quello che mi aspetto da loro è la disponibilità a riconsiderare modalità, priorità e dimensioni alla luce di una nuova economia che di fatto la pandemia ha generato e i cui effetti immagino resteranno con noi per svariati anni pesando soprattutto sulle future generazioni.
Come te lo aspetti il 2021?
Un anno in cui gli artisti e le maestranze dovrebbero lavorare il doppio del 2019, non un po’ di più del 2020, con la voglia di far ripartire la vita, la condivisione, sempre nel rispetto di norme e protocolli. Dobbiamo ricostruire insieme l’economia dello spettacolo.
2022!?!?!❤️
Pubblicato da Claudio Trotta su Sabato 19 dicembre 2020
In questo senso, tu hai annunciato tre date di Bruce Springsteen a San Siro nel 2022.
Non è così, non si è colto il senso della fotografia che ho pubblicato sui social. Ho riconfermato pubblicamente di aver già chiesto lo stadio per il 2022, ma ci sono dei “se” da chiarire. Il primo è se si potrà circolare per il mondo per un tour internazionale. Il secondo, che è il tema principale, è se lo stadio sarà disponibile.
Per cui ti schieri contro l’abbattimento di San Siro, come era stato paventato?
Credo di poter dire di essere stato l’unico fra gli organizzatori di grandi eventi ad averci messo la faccia dicendo come lo stadio non debba essere abbattuto, ma che si possa eliminare il terzo anello e aggiungere una copertura portante per utilizzarlo 365 giorni all’anno, non solo per la musica pop e rock, ma anche per eventi family oriented come l’opera o grandi show sportivi non solo calcistici. Se l’Inter e il Milan vogliono costruirsi il proprio lo facciano, ma non credo alla legittimità di abbattere uno stadio che ha ospitato più di 8 milioni di persone per i concerti. C’è un bellissimo libro di Massimiliano Mingoia che lo testimonia (San Siro Rock, Officina di Hank, nda). Lo stesso Springsteen si è espresso, sottolineando che un luogo del genere non è soltanto il cemento che lo compone, ma ha dentro le anime di chi lo ha vissuto. Per Milano è come il Circo Massimo per Roma.
In più da una puntata di Report sono emerse delle ombre preoccupanti sulla proprietà del Milan, tanto che è intervenuto il comitato antimafia.
Eccome, non credo davvero sia necessaria una nuova speculazione edilizia di cui la città non ha davvero bisogno. Il Comune stesso ha dichiarato che è stato superato il coefficiente di copertura secondo il Piano Territoriale Metropolitano. Non ci dovrebbero essere discussioni. In tutto ciò, nel modello che hanno in testa le due squadre di calcio, gli spettacoli sembrano relegati al minimo sindacale. Ancora una volta il settore viene considerato di serie C. Se le cose stanno così, il mio timore è che anche se la pandemia si risolvesse prima del 2022, quando partirà il tour di Bruce Springsteen Milano potrebbe non essere in grado di ospitare gli spettacoli del più grande performer in circolazione e un tour che forse sarà il suo atto conclusivo con la E Street Band.
Da come parli, sembri avere una visione ben più ampia di un semplice promoter. Visto che a breve ci saranno le elezioni a Milano, se dovesse arrivare una chiamata accetteresti?
Non credo alla degenerazione della politica, ma ho sempre visto nel mio modo di lavorare e di essere un atteggiamento enormemente politico. Perché mi occupo della mia attività cercando di pensare al benessere altrui come dovere e come diritto. Per questo, mi sento senza ombra di dubbio di avere le capacità per ricoprire un ruolo istituzionale, solo che per come sono fatto, cioè una persona libera, non me lo proporranno mai (Trotta è stato candidato alle elezioni milanesi del 2011 nella lista civica di Milly Moratti, ndr). Non a caso uno dei miei assessori alla Cultura preferiti a Milano, insieme a Luigi Corbani, è stato Philippe Daverio, che ha testimoniato come si possa entrare nelle istituzioni rimanendo sé stessi.