Realismo magico in Adriatico è un disco di canzoni bellissime, tanto semplici e pop quanto magiche e liriche. È pensato, scritto, suonato e prodotto con grandissima cura, artigianale e poetica. Quindi no, l’indie o it-pop non è morto, si iniziava a parlare di lui al passato «quando c’erano Calcutta, Giorgio Poi e Colombre» ed eccolo qui, affiorato dalle profondità del mare discografico come il mostro marino creato dalla fantasia di Dino Buzzati da cui il marchigiano Giovanni Imparato prende il nome Colombre. E pronto a rimanere nelle orecchie e nella memoria di chi lo ascolta.
Parlare con lui è rigenerante, sarà che ultimamente ho intervistato troppi trapper ventenni con l’orizzonte stretto, ma la sua visione della musica e dell’arte è nitida come certe giornate in riva all’Adriatico, quando si vede la sponda opposta, un’infinito finito come lo sono le canzoni belle. Ci sentiamo mentre si sta preparando a un viaggio da nord a sud lungo la costa adriatica, più un dovuto omaggio al mondo che lo ha ispirato che un tour promozionale in cui vi potrà capitare di vederlo suonare nei prossimi giorni in qualche concerto improvvisato, tra le strade di qualche città di mare. Cercatelo.
Che tipo di ricerca sonora hai fatto per questo disco?
Molto libera. Pulviscolo era un disco registrato in presa diretta in cinque giorni, in movimento. Corallo è stato registrato in diversi step, è più ancorato alle fondamenta, a una pre produzione. Ero stato in tour con Calcutta e avevo imparato cosa volesse dire suonare con undici persone sul palco. Poi co-producendo il disco di Chiello ho imparato da mondi lontani al mio cose che mi hanno arricchito. Ho allargato il mio orizzonte poetico lavorando con Alan Sorrenti, un uomo di 70 anni che racconta visioni di libertà. E alla fine tutte queste esperienze sono entrate nel disco.
I testi dell’album sembrano una fuga intorno alla realtà non dalla realtà…
Sì, sono nella realtà, ma provo a vederla anche da fuori, perché il mondo è sempre più misterioso e magico di come di solito lo vediamo. Quando ho scritto le canzoni ho notato che partivano tutte da un mio vissuto e poi fuggivano verso l’inquietudine, il mistero. Come quando vai montagna, c’è il sentiero tracciato che ti porta al rifugio e poi c’è la strada che scegli tu, in mezzo ai rovi dove farsi largo col machete, magari è una scorciatoia o semplicemente un nuovo sentiero.
Come è entrato il mare Adriatico in questa nuova produzione?
È il simbolo di una realtà marginale, di provincia, ma potentissima. È un mare basso, di cui nei giorni limpidi posso vedere la fine, la costa della Croazia, ma ha anche delle correnti strane e misteriose che fanno esplodere tempeste improvvise che ribaltano la calma apparente. E così le mie canzoni come il mare Adriatico sembrano pop, ma hanno degli elementi stranianti sia nel testo che negli arrangiamenti che ti fanno percepire anche inquietudine e mistero.
Quando fai un disco cerchi di catturare un concetto, in questo caso è lo sdoppiamento e lo sfasamento che esiste tra la realtà per com’è, e la realtà per come viene percepita. La realtà è sempre magica, e la magia sempre reale. Musicalmente il tentativo è quello di giocare, facendo ricerca e sperimentando, su territori che già esistono… del resto dopo i Beatles e i Beach Boys che devi fare?
Le canzoni sembrano essere senza tempo, con pochi riferimenti all’oggi: è una scelta contro l’obsolescenza programmata di certo pop?
L’ambizione è scrivere canzoni che galleggino bene nell’aria. Se parli dell’animo umano e della realtà dalla tua personale prospettiva, con onestà, c’è la possibilità che durino di più.
Sei contento del mestiere che hai scelto? Forse un cantautore come te se la sarebbe goduta meglio in un altro periodo storico, senza l’ansia delle visualizzazioni e delle classifiche streaming.
Quando metti qualcosa sul mercato, non puoi più tornare indietro. So che escono cinquanta cose a settimana ma voglio buttar fuori qualcosa solo quando sono convinto, non voglio avere l’ansia di essere dimenticato. Se credo che le canzoni abbiano la dignità di essere pubblicate, le pubblico. Voglio pensare che possano essere storicizzate in un futuro, che tra un po’ di anni qualcuno possa dire «wow, che figata». Ad esempio, mentre producevo il disco di Chiello gli ho fatto ascoltare Piero Ciampi e Rocco, che ha 21 anni e viene da un altro mondo, è impazzito, perché in quelle canzoni c’era un sentimento umano che va al di là del tempo. Nel mio piccolo cerco proprio quello. Ho conosciuto Chiello perché mi ha contattato dicendo che la FSK ascoltava il mio disco in furgone e ora sono ad Arezzo a produrre il suo nuovo album. So che il mercato va da un’altra parte ma sono fiero di quello che faccio.
Spesso la generazione di cantautori di cui fai parte – insieme a Calcutta, Giorgio Poi e altri – è stata accusata di essere poco politica, di privilegiare il racconto dei sentimenti e della sfera più intima delle persone.
I tempi sono cambiati, la canzone politica di sicuro non va più di moda, il focus spesso forse sta più sulle proprie rivoluzioni interiori. Certo, la poetica delle piccole cose – un po’ alla Gozzano – a un certo punto potrebbe invecchiare, quindi capisco la critica… Ma la politica nasce anche dall’incontro di persone che parlano delle loro cose e comunque scrivere con onestà, qualsiasi sia l’oggetto del discorso, è a monte un atto politico. E comunque non tutti si sottraggono a un discorso più esplicitamente politico, secondo me… pensa all’ultimo disco di Iosonouncane, che è maledettamente politico, mi fa sentire le grida delle persone che sono in mare e stanno affogando.
Il tuo linguaggio artistico è politico?
Mi piace indagare l’animo umano, e credo che questa sia una cosa politica, come ti dicevo. Poi dipende cosa intendi per politica, che per me non è solo una distinzione tra destra e sinistra. E dipende da cosa intendi per modo di esprimersi politicamente – Greta Thunberg che si siede da sola a terra per protestare: la politica sta ovunque e ognuno ha il suo modo per esprimerla.
Come ti trovi con Bomba Dischi? L’etichetta ha rappresentato e rappresenta un tentativo di fare musica italiana di qualità.
Sono contento, c’è stima reciproca. Sono puri, veri, come Pasolini quando giocava a calcio con i ragazzi per strada, mi sembra così il loro approccio alla musica. E sanno dare il giusto peso alle cose.
Nell’album c’è una canzone con Maria Antonietta, che è anche la tua compagna nella vita. Come è stato lavorare insieme a Io e te certamente?
Vivere e fare musica con la mia compagna è come un bellissimo mare: c’è la bassa marea e c’è la tempesta. Se lei scrive una canzone, la prima persona che la sente sono io, e viceversa: quello è un momento di intimità e fragilità assoluta. Io e te certamente l’ha scritta Letizia (Maria Antonietta) e io ho iniziato ad arrangiarla. Poi mi sono messo per caso a cantarla con lei, ed è successa una magia, abbiamo sentito che il pezzo aveva preso un altro sentimento, un altro valore: la prima strofa è uguale alla seconda, una la canta lei e una io, un rapporto simbiotico e paritario dove nessuno dei sue sovrasta l’altro, non è un featuring, è qualcosa di più. Abbiamo salvato varie registrazioni: la prima si chiamava Tu sei il mio gioco, la seconda Gli illusi di sempre e l’ultima Io e te certamente, come se ci fosse stata un’evoluzione naturale.