Abbiamo sentito i Coma_Cose mentre erano ancora a Milano, alle prese con l’ultima prova generale prima di partire alla volta di Sanremo e del loro primo Festival della canzone italiana. La canzone con cui sono in gara, Fiamme negli occhi, ha come tema centrale l’ammissione della propria debolezza, in amore, come paradossale punto di forza. Nel testo Fausto Zanardelli e Francesca Mesiano esemplificano il concetto grazie alla consueta Italsider di giochi di parole, di cui sono a turno CEO e CTO, in grado di stampare in 3D decine di immagini, calembour, metafore, freddure, a volte concatenate, a volte concentriche. La personificazione della California, che da sempre è il nome d’arte di Francesca, nel nuovo pezzo viene esplicitata: una terra grande, bella, ricca che però, all’occorrenza, può ondeggiare come una foglia. E questa occorrenza è l’emozione. Nella fattispecie, l’emozione di emozionarsi sul palco del teatro più noto e discusso della provincia d’Imperia e d’Italia.
Si può dire che questo pezzo sia il vostro outing da coppia anche romantica?
Fausto: Siamo stati attenti a bilanciare gli elementi del brano. Il testo, come dici tu, sicuramente è quello di una canzone d’amore, in cui due persone si promettono un sentimento reciproco nonostante gli alti e i bassi di una relazione. Vogliono condividere una passione comune. La musica, però, riesce a bilanciare l’emotività del testo. Così la canzone non arriva sdolcinata, ma ha un sapore malinconico, da falò estivo di cui sei l’ultimo partecipante rimasto ancora lì, con la chitarra.
Sarà un Festival senza pubblico in teatro. In questi giorni abbiamo letto e ascoltato polemiche su tutto e il contrario di tutto. Dalle polemiche perché Sanremo si fa senza pubblico, a quelle perché Sanremo si fa, anche senza pubblico. Le avete seguite? Secondo voi hanno contribuito a mantenere alto l’interesse verso la manifestazione oppure hanno in parte sciupato la festa?
Francesca: Ormai oggi la polemica si fa su tutto e dappertutto e non sembra andare mai bene niente. Noi riteniamo che sia essenziale ricominciare, ripartire da qualche parte. Siamo contenti che il Festival di Sanremo si faccia. Speriamo che possa essere un precedente per poi riprendere a suonare negli altri teatri, ai concerti, in altre manifestazioni culturali. In più questo è un momento in cui c’è bisogno di leggerezza e di intrattenimento. Per noi la musica serve un po’ anche a questo.
In questo anno di emergenza sanitaria ci sono state esperienze di musica dal vivo su piattaforme digitali che hanno catturato la vostra attenzione? Ci sono formule degne di essere ripercorse, se le limitazioni dovessero continuare?
Francesca: Secondo noi purtroppo no. Fruire la musica dal vivo (che è anche condivisione fisica di luoghi, momenti ed emozioni) attraverso un surrogato digitale come lo streaming lascia quasi sempre il tempo che trova. Ci sta che qualcosa si sia fatto: la musica doveva andare comunque avanti e alcuni tentativi sono stati interessanti.
Avete partecipato a Heroes, un esperimento, invece, ibrido.
Fausto: Heroes è stata una cosa bella. Un evento mediatico in grado di raccogliere moltissimi musicisti italiani, praticamente tutti, in una maratona lunghissima che, però, fai fatica a parametrizzare e che, probabilmente, è destinata a restare unica nel suo genere. È importante sottolineare l’importanza della raccolta fondi per i lavoratori della musica e per tutto un settore, quello dei live, che è fermo da un anno. Per noi che vi abbiamo partecipato è stata un’emozione incredibile, anche se non so quanto sia effettivamente stato possibile trasmettere in streaming tutto l’entusiasmo di chi era sul palco.
Come guardate Sanremo avendo alle spalle un percorso artistico rigoroso come il vostro, e pensiamo anche all’impegno nella scrittura dei testi? È un punto di arrivo, comincia una fase nuova oppure il Festival è un’onorificenza che il mondo “ufficiale” della musica vi appunta sul petto, prima di tornare a essere quelli che siete sempre stati?
Fausto: In primis la canzone con cui partecipiamo a Sanremo è stata pensata come autenticamente nostra. È prodotta con i Mamakass, con cui produciamo tutte le nostre cose. È assolutamente una canzone dei Coma_Cose che, se non fosse andata a Sanremo, sarebbe uscita sulle piattaforme digitali e magari in radio. È una canzone che è arrivata e ci siamo detti: sai che starebbe bene a Sanremo? Ci abbiamo provato e adesso siamo qua: buona la prima.
Non ci sentiamo stravolti. Siamo consci però che questo contenitore possa in parte distorcere quello che è l’operato artistico di una band. Ma Coma_Cose è un progetto che non ha precedenti. È un progetto strano, con dei punti di forza e delle fragilità che lo rendono unico. Sentiamo l’apparato carambolesco in cui ci troviamo in questi giorni come una delle tappe di un viaggio che non ha un copione. Non è che, siccome siamo quelli che vengono dal basso, non possiamo fare Sanremo. Per noi è un discorso di coerenza: laddove c’è la possibilità di fare la propria musica, senza essere stravolti, noi ci siamo e pensiamo che questo faccia parte del lavoro del musicista.
Francesca: Effettivamente poi è in atto un cambiamento, ma è un cambiamento che è insito nel nostro progetto, che va al di là del Festival di Sanremo ed è proprio fisiologico. Noi cambiamo sempre, con la nostra musica. E in questo prossimo disco, nello specifico, sentirete dei Coma_Cose diversi rispetto a quelli precedenti.
Fausto: Se dei Coma_Cose vi piace la componente testuale, così come quella che prova a scavare nell’io, in questo disco troverete delle novità che non sono paragonabili al passato: è, nel complesso, molto più profondo. Il brano di Sanremo invece è leggero, anche per una nostra voglia di metterci in gioco così, con della leggerezza. Non ci siamo detti: chi ci conoscerà così, chissà cosa si perde. Penso che un artista alla fine lo guardi in faccia e riesci a cogliere la sua poetica anche da una risata.
Come guardavate Sanremo da ragazzi?
Fausto: Da bambino lo guardavo parecchio. Dai vent’anni in su, meno. Ho un ricordo da molto piccolo – avrò avuto 5 o 6 anni – dei Righeira con Innamoratissimo. Mi piacevano e mi colpivano perché erano folli: saltavano da una parte all’altra del palco, c’erano delle banane (tricologiche, nda) colorate. Ricordo anche, qualche anno dopo, Jovanotti con Vasco e tanti altri, con pezzi a mano a mano sempre più importanti. Ma il momento più affettivamente importante resta quello legato all’infanzia.
Francesca: Era qualcosa che anch’io guardavo da piccola, con la mia famiglia e che poi, durante l’adolescenza, ho in parte abbandonato. Provo un affetto nostalgico nei confronti di Sanremo. Nel 1999, bambina, rimasi completamente ammaliata da Anna Oxa che, interpretando Senza pietà, vinse l’edizione di quell’anno.
Quando avete cominciato a compiere i primi passi professionali nel mondo della musica, Sanremo vi sembrava una cosa bella che non avreste mai fatto, o vi ci immaginavate, un giorno?
Fausto: Ovviamente all’epoca Sanremo non era nelle nostre mire, anche perché il progetto nasceva con una matrice punk e, se vuoi, di rottura, di sfogo e di viaggio introspettivo condiviso. Quello che ci capitava era di fantasticare, ogni tanto: pensa te, arrivare a Sanremo con la canzone che vogliamo noi, senza compromessi, senza imposizioni. Ci veniva da sorridere, perché eravamo certi che, se mai ci fossimo arrivati, avremmo dovuto subire chissà quali influenze e pressioni. Invece, quando questa cosa si è realizzata, niente di tutto ciò è avvenuto. È per questo che ora siamo così galvanizzati: abbiamo preso coscienza, da una parte, del fatto che c’è qualcuno che sta apprezzando il nostro lavoro e, dall’altra, che siamo liberi nell’esprimerci. E la libertà è la cosa più importante. A queste condizioni, perché non cantare a Sanremo?
I linguaggi di nuovi generi e sottogeneri ormai prendono piede a Sanremo. Il rap all’Ariston è adeguamento d’ufficio all’attualità, da parte delle cose eterne e apparentemente immutabili (motivo per cui poi riescono a essere eterne), oppure siamo realmente davanti a uno dei possibili mezzi di conquista delle istituzioni culturali da parte di chi porta con sé una carica innovativa?
Fausto: Per me è un rendersi conto di quello che c’è là fuori. In passato non è stato così. La musica che va su quel palco diventa finalmente rappresentativa anche di quello che c’è fuori da quel palco. Ma c’è da dire un’altra cosa. È vero che adesso c’è un parterre di artisti – chiamiamoli così – indipendenti. Però è anche vero che la musica indipendente è il nuovo pop. I due mondi si stanno reciprocamente avvicinando. Dunque Sanremo va verso l’indie, ma è anche l’indie che va verso il pop. O meglio: cambia il modo di fruire la musica e cambiano anche i rapporti di forza tra generi che non possono essere più imposti dall’alto ma vengono fuori da nuovi gusti, come quelli espressi, ad esempio, dai social.
Quando è cambiato Sanremo?
Fausto: Penso alla seconda edizione condotta da Baglioni, con Zen Circus, Motta, Ex-Otago. Quello fu un Sanremo che cambiò davvero i giochi, perché la compagine di artisti che veniva da un certo tipo di percorso smise di essere una mosca bianca, la quota rock alternativo o la quota indie, come era stato per gli Afterhours o Marta sui Tubi. Oggi siamo arrivati alla maggioranza.
Avete qualche rammarico?
Fausto: Certamente l’assenza dei mega-ospiti stranieri, come Gorbačëv o Mike Tyson.
Francesca: O i Placebo.
Fausto: E i Queen. Sarebbe stato un sogno esserci, anche solo per vedere questi personaggi dal vivo. Ma dovremo aspettare almeno la prossima edizione perché questo tipo di esperienza si possa replicare.
La cover che avete in programma insieme con Alberto Radius, è un omaggio a Lucio Battisti, con cui i Coma_Cose hanno un legame ormai storico, a partire da Anima lattina, passando per la vostra Io vorrei non vorrei ma se vuoi che ascoltammo in un programma televisivo condotto da Enrico Ruggeri. Per Sanremo avete pensato a una versione sperimentale de Il mio canto libero. Ci potete rivelare qualcosa in più?
Francesca: I nostri produttori, i Mamakass, hanno fatto un intervento sulla sonorità della canzone, aggiungendo delle parti elettroniche per sintetizzatori. Al netto di questo abbiamo deciso comunque di mantenere intatta la natura del brano. Chi ricanta una canzone del genere deve fare attenzione. Non abbiamo aggiunto, infatti, parti di testo. La scelta di avere con noi sul palco Alberto Radius, che ha lavorato alla scrittura musicale del disco originale è volta proprio al tentativo di omaggiare Battisti nel modo più alto possibile. Quello che abbiamo aggiunto di nostro è una diversa atmosfera.
Cosa pensate di poter imparare da Sanremo?
Fausto: Ci piacciono le sfide e ci piace anche regalare al pubblico delle emozioni che non sono fatte di plastica o di ripetitività. Sarebbe troppo facile rivolgerci a una fanbase con una formuletta che sappiamo approvata in partenza. Ci inaridirebbe, renderebbe tutto macchinoso e non sarebbe neanche interessante. Sicuramente non saremo a nostro agio, sicuramente non sarà facile, ma questa cosa ci avvince e cercheremo di trarre il massimo dall’esperienza di vita che costituisce. Emotivamente è come se Sanremo per noi fosse un biglietto gratis per diverse giornate intere di bungee jumping.
Cosa invece, modestia a parte, pensate che il vostro approccio possa trasmettere al resto al Festival?
Fausto: Temo che una canzone non sia sufficiente per fare arrivare a tutti quello che è il nostro background. Certamente Fiamme negli occhi è un assaggio di un certo modo di scrivere e speriamo che questo assaggio faccia venire a qualcuno voglia di approfondirci. Pensiamo, senza troppa modestia, di essere originali e ci auguriamo che il nostro approccio possa rappresentare un’alternativa. Potremo piacere o non piacere, ma è solo così ce la giochiamo davvero.