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Come il pubblico cambia un disco. L’intervista a La Rappresentante di Lista

"Bu Bu Sad" nasce da un rinnovato rapporto con il pubblico. Che ha riscritto le loro canzoni
La Rappresentante di Lista nella sua formazione live. Foto Davide Patania via Facebook

La Rappresentante di Lista nella sua formazione live. Foto Davide Patania via Facebook

Abbiamo beccato Veronica Lucchesi in uno dei suoi momenti preferiti, ovvero pochi minuti prima di un concerto. La Rappresentante di Lista, il progetto che lei ha messo in piedi con Dario Mangiaracina, sta vivendo una seconda giovinezza. Regalata dalla musica dal vivo. Dopo la release di Bu Bu Sad del 2015, quest’anno hanno deciso di fare una versione live dello stesso disco. Perché? L’abbiamo chiesto a loro.

Com’è nata questa idea?
Quando abbiamo scritto Bu Bu Sad eravamo in una formazione ridotta, sempre io e Dario. Quindi una volta che abbiamo creato il gruppo, abbiamo aperto ad altre persone, abbiamo avuto modo di reinterpretare i pezzi, sono usciti trasformati. Hanno preso dei nuovi significati. E dal vivo, quando le porti davanti a un pubblico, prendono vita propria. Era necessario fermare questa fase dei nostri pezzi. Ha un significato molto profondo per noi, presentarle in questo modo.

E cosa vi ha regalato il pubblico?
Ci hanno suggerito un punto di vista totalmente diverso. Il disco non è stato subito recepito da quelli del settore, quindi ha avuto un’onda lunga che ci ha regalato degli ascolti incredibili negli ultimi mesi. Credo che il pubblico giochi ogni volta un ruolo fondamentale: quando sei di fronte a qualcuno che ti ascolta si crea qualcosa di unico, di molto importante. È una sorta di rito a cui partecipiamo tutti quanti.

Quello che mi dicevi prima, questo fatto della restitutizione, è qualcosa che c’è anche nel teatro. Quanto ha influito nel vostro percorso musicale quest’altra arte?
Principalmente, ci ha fornito degli strumenti di lavoro che abbiamo applicato alla musica, mi viene da pensare alla scrittura: tante volte ci capita di immaginarci un brano e alla fine è proprio come comporre un film, la sceneggiatura di qualcosa.

Come state vivendo questo nuovo fermento della musica indipendente italiana?
Indubbiamente ci siamo resi conto che c’è un grandissimo fermento, molto positivo. Anche i più giovani sentono la necessità di gridare delle cose più che cantarle sottovoce, composte. C’è come un vulcano che ha la necessità di esplodere, c’è tanta fantasia nella composizione. C’è una piccola rivoluzione in atto. Ci aspettano bei tempi per la musica italiana: quello che è uscito da due anni a questa parte mi fa ben sperare. Mi viene in mente Iosonouncane ma anche i Manitoba, una band di Firenze, che fanno veramente musica di qualità. Ci mettono una cura diversa: quando sali sul palco hai una grandissima responsabilità. Magari le persone ti prendono come spunto, anche per la loro vita personale.

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