Il Primavera Sound Festival non è sempre stato il Primavera Sound Festival. Come ogni impresa, ha avuto un inizio incerto, laborioso, in un periodo (i primi Duemila) che non sembrava promettere bene per l’elettronica e più in generale per i festival.
Eppure, in 15 edizioni, l’evento è passato da un’affluenza di 8.000 persone nel 2001 a quasi 200.000 nello scorso anno, e si è consacrato come uno dei festival elettronici/alt-rock più importanti d’Europa. 8 palchi principali e un line-up tra cui compaiono i nomi di Patti Smith, Alt-J, The Strokes, Tyler The Creator.
Alberto Guijarro Rey è uno di quelli che questo successo l’ha costruito.
Come siete riusciti a crescere nonostante la crisi?
In 15 anni ce la siamo vista brutta diverse volte. Fino al 2007/8 avevamo molti concorrenti in Spagna e nella stessa Barcellona e si era creata una situazione insostenibile, perché gli artisti, richiesti da più festival, avevano aumentato spaventosamente i cachet. Non sapevamo più come pagarli e molti festival sono falliti per i debiti. Noi no. Pensavamo che sarebbe stato tutto più facile, ma due anni dopo è iniziata la crisi economica. Fortuna che avevamo già iniziato a essere più internazionali, ad avere rapporti con magazine grossi come Pitchfork e questo ci ha assicurato visibilità e partecipazione da parte del pubblico estero. L’abbiamo schivata così, la crisi.
La presentazione del programma 2015, a mo’ di videogioco:
Perché avete puntato sull’elettronica fin dall’inizio degli anni Duemila, quando non era di certo l’età d’oro del genere?
Ho iniziato nel 1991 facendo il promoter di eventi di elettronica in un grande club di Barcellona, la Sala Apolo. Siamo stati i primi a portare dei DJ internazionali in città. Il mio partner era un promoter di band indie/pop rock, perciò abbiamo cominciato a organizzare eventi misti nel club, per cui prima facevamo suonare la band e dopo iniziava il DJ set di elettronica. Ci siamo fatti un nome, sai. Per tutti gli anni ’90, festival come il Benicassim o il Doctor Music Festival ci hanno chiesto di gestire la parte elettronica del loro programa. Però a noi non bastava, volevamo un cartellone misto, sia elettronico che indie, così nel 2001 è nato il nostro Primavera Sound.
Com’è la vita di un organizzatore di grandi festival?
È una professione rischiosa, molto rischiosa. Mille biglietti in più o in meno a volte fanno la differenza per avere il budget che tiene in piedi l’evento. Però non so come descriverti il sospiro di sollievo che tiro quando vedo la gente godersi il festival.
In quanti siete nell’organizzazione del Primavera?
Siamo davvero tanti. Attualmente abbiamo un centro operativo in cui lavorano 27 persone tutto l’anno. Il numero aumenta a 40 nei tre mesi che anticipano il festival, mentre nei tre giorni dell’evento sono necessarie circa 3.000 persone.
Mi hanno chiesto di organizzare un Primavera Sound a Roma, ma è ancora troppo presto.
Sei tu a scegliere chi suonerà?
No, di quello si occupa il mio partner.
Però saprai che criteri usa.
I criteri non sono mai cambiati dai tempi in cui gestivamo il club. Prima di tutto l’artista deve appartenere alla scena indie/pop rock o elettronica. Poi vogliamo sempre introdurre nuovi sound e stupire il pubblico, tenendo sempre a mente che molta gente si aspetta la solita band indie. Teniamo molto a proporre musica sperimentale, senza però escludere artisti di culto che hanno influenzato generi e altri producer. Sto pensando a Patti Smith o Roedelius, un ottantenne che suonerà nell’edizione di quest’anno. Non è molto conosciuto ma con la sua proto-elettronica negli anni ’60 ha influenzato i Kraftwerk, il kraut rock e quindi la musica di oggi.
Quanto è importante oggi il Primavera per Barcellona?
Tantissimo, economicamente e culturalmente. In termini di introiti, la città riceve circa 90 milioni di euro grazie al festival, di cui 60 direttamente dai partecipanti che usufruiscono di hotel, ristoranti e trasporti. Anche dal punto di vista culturale il festival è fondamentale, pensa soltanto alla visibilità di cui godono etichette e band locali al di fuori del Primavera.
I politici ci aiutano perché facciamo fare soldi. Ma quelli di destra te lo dicono senza giri di parole sulla cultura.
Perché in Spagna ci sono così tanti festival? Sto pensando al Rototom Sunsplash, un festival italiano molto popolare che 5 anni fa, oppresso dalla legge e dalle istituzioni, si è trasferito in Spagna.
Dipende molto dalla regione. La Catalogna è stata la prima a dare importanza ai festival. L’assessorato alla cultura locale ha cominciato con il supportare il Sónar e il Primavera, perché aveva capito l’importanza economica e culturale di questi eventi. Il passaparola poi si è diffuso tra i politici di ogni regione. A quelli di destra frega solo dei soldi e lo stesso vale per quelli di sinistra, l’unica differenza è che i primi ti parlano direttamente di soldi senza falsi giri di parole sulla cultura. [scoppiamo a ridere] Perciò ormai ogni città spagnola, grande o piccola che sia, vuole il suo festival. Il risultato è che ad oggi ce ne sono centinaia.
Se qualcuno ti proponesse di organizzare un festival in Italia, cosa risponderesti?
Ah, ma qualcuno l’ha già fatto! Mi hanno chiesto di organizzare qualcosa a Roma, volevano utilizzare il nome di Primavera Sound come stiamo facendo a Porto con l’Optimus Primavera Sound, ma attualmente è impossibile pensare di gestire un evento delle dimensioni del Primavera anche all’estero. Magari offriremo la nostra esperienza ad altre città in futuro, però di certo non con il nome di Primavera Sound.
Sceglieresti l’Italia?
Perché no? O meglio, dipende dai vostri politici.
Però questi eventi sono visti ancora come un impiccio più che una fonte di introiti.
Però la zona di Milano mi sembra piuttosto aperta ai festival, no? Che fazione governa a Milano?
Tecnicamente, la sinistra.
Ecco, allora sembra un buon posto dove cominciare, no? Se riusciste a convincere qualche politico, l’idea potrebbe spargersi, magari anche con il supporto dei media. Proprio come è successo in Spagna.
Meglio cambiare argomento. L’episodio più divertente in 15 anni di Primavera?
Qualche anno fa ci sono state tre invasioni di palco. Fino a qui niente di strano, se non fosse che una di queste è capitata mentre il sindaco di Barcellona stava assistendo allo spettacolo di fianco a me nell’auditorium. Ero imbarazzatissimo ma lui si girò e mi urlò: «Figata! Entrerà nella storia della città». Quello è il tipo di politico che mi piace. Penso che il video ci sia ancora su YouTube. Nella stessa edizione del festival qualcuno salì sul palco e si mise a sfilare come in passerella davanti alla band. La moda delle invasioni è iniziata quell’anno. Forse la colpa era della Jagermeister che dava troppi shottini gratis al pubblico.
E l’artista più matto con cui hai avuto a che fare?
Lemmy dei Motörhead, senza alcun dubbio. Quell’uomo è fuori di testa.