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Come si dice in spagnolo «St. Vincent non smette mai di stupire»?

Annie Clark racconta perché ha deciso di tradurre il suo ultimo album ‘All Born Screaming’, ricantarlo e trasformarlo in ‘Todo nacen gritando’. «Lo spagnolo è una via di fuga verso la gioia»

Foto: David William Baum

La musica è una forma d’arte. Lo è anche la traduzione. St. Vincent lo ha imparato quando s’è trovata ad analizzare ogni singola parola del suo ultimo album All Born Screaming per produrne una versione in lingua spagnola.

Annie Clark è cresciuta nel Texas, ha studiato lingue, conosce le basi dello spagnolo. Da quando ha cominciato a girare il mondo in tour ha sentito un particolare affinità con la lingua e la cultura della Spagna e dell’America Latina. Sentendo i fan di quei Paesi cantare i suoi pezzi in inglese ha deciso di rendere loro omaggio approfondendo la conoscenza della loro lingua e rifacendo All Born Screaming.

Il risultato è Todo nacen gritando, che uscirà il 15 novembre ed è stato anticipato da Hombre Roto (ovvero Broken Man). Rifare tutte e dieci le canzoni del disco non è stato facile, spiega Clark. È il caso ad esempio di Reckless. «La traduzione della parola reckless (sconsiderato, incauto, temerario, ndr) non suonava bene in spagnolo, quindi abbiamo preferito usare la parola salvaje che vuol dire selvaggio. E così il significato del pezzo è cambiato in modo drastico».

Per trovare le parole giuste Clark s’è fatta aiutare dall’amico e filmmaker Alan Del Rio Ortiz. E alla fine del processo s’è trovata ad avere una comprensione maggiore della sua stessa musica.

Anzitutto, perché hai voluto riregistrare All Born Screaming in spagnolo?
Alcuni fra i migliori concerti della mia vita li ho fatto in Paesi di lingua spagnola e lì la gente canta i miei pezzi in un inglese impeccabile, anche se è probabilmente la loro seconda o terza lingua. Questa cosa mi colpisce ogni volta. E quindi volevo in qualche modo venire loro incontro. E poi onestamente c’era un’altra motivazione: volevo migliorare il mio spagnolo, una lingua che m’è sempre piaciuta.

È stata una bella sfida?
Una sfida, sì, ma anche un processo interessante e istruttivo. Ho ripensato tutto il disco e quindi ho rimesso mano alla produzione vocale. Ci sono talmente parti vocali, e le ho incise tutte io, che a metà del processo mi son chiesta chi me l’aveva fatto fare. Tipo: in che guaio mi sono ficcata? Ma ero a metà del lavoro, era troppo tardi per tornare indietro.

Mi dici qualcosa in più del tuo rapporto coi fan nei Paesi di lingua spagnola?
In Messico e nell’America Latina in generale la gente ama la musica e te lo dimostra apertamente. Una volta mentre facevo crowdsurfing in Messico ho dovuto lottare perché non mi togliessero le scarpe. Non che volessero rubarmele, ne volevano un pezzo, una cosa quasi religiosa, volevano un pezzo del mio corpo o qualcosa del genere. Ho lottato per tenermi le scarpe, non per altro, ma era l’unico paio che avevo adatte ad andare in scena. In Brasile in concerto davanti a un migliaio di persone riuscivo a malapena a sentire la mia voce da tanto cantavano tutti ogni singola parola delle canzoni. Mi sono dovuta fermare, mi è venuto da piangere. Per quelle persone che vivono dall’altra parte del mondo l’inglese è probabilmente la terza lingua, eppure conoscono tutte le parole e questo perché la musica è vita. E m’è successo qualcosa di simile in Colombia e in Argentina. Incredibile. E quindi questo disco è una specie di regalo per quei fan.

Parli in modo fluente?
Sto migliorando. (Fa una pausa) Direi che sono a un livello di terza media.

Non è male.
Non so, faccio ancora confusione coi tempi verbali. Non so come costruire certe frasi al futuro o al passato. Mi sa che mi esprimo come un robot che riesce a parlare solo di cose che accadono nel presente.

E poi c’è il congiuntivo…
Eh sì. E verbi come “me encanta”. Ma sto migliorando. Due delle mie sorelle lo parlano fluentemente, quindi sono fiduciosa.

Il lavoro di traduzione ti ha permesso di capire qualcosa di più dell’inglese?
M’ha fatto apprezzare ancora di più chi deve imparare l’inglese, perché è una lingua insensata. Quante parole per una sola cosa. E zero regole, perché è una lingua bastarda. Tutte le lingue lo sono, ma l’inglese è tra le più folli per via di tutte le influenze che ha avuto e della sua storia.

Ad esempio alla fine di Hell Is Near canto “You give it all away / You give it all away because the whole world’s watching you”, ma in spagnolo sarebbero state troppe sillabe, quindi ho tenuto solo “Regalalo todo, regalalo todo por el mundo entero”. Così facendo, il significato è cambiato, c’è meno cinismo nel testo, c’è generosità, non c’è più nulla di minaccioso. Esprimendomi in inglese non sarei mai arrivata a questo nuovo significato. E quindi in molte occasioni ho dato precedenza al suono e alle emozioni che riuscivo a suscitare.

Quando canti in spagnolo senti le parole in modo diverso?
Quando uso l’inglese ho qualche problema in più perché conosco la lingua alla perfezione. Succede qualcosa di simile quando una canzone che ascolto magari suona benissimo, però c’è un passaggio del testo che è stucchevole e me la rovina. E allora è la fine della sospensione dell’incredulità, non ce la faccio proprio. Quando invece ascolto pezzi cantati in spagnolo o in portoghese, se suonano bene, non bado troppo alle parole, non penso «ah, quant’è risaputo questo passaggio». E quindi lo spagnolo è una specie di via di fuga verso la gioia, mentre con l’inglese non abbasso mai la guardia.

Hai detto che per All Born Screaming hai registrato letteralmente centinaia di tracce vocali. Hai fatto poi stesso per Todos nacen gritando?
(Ride) Se ho fatto centinaia di take è perché le ho mandate ad Alan chiedendogli se la pronuncia andava bene. È stato liberatorio perché a differenza dell’inglese non ero così presa dal significato. Una volta azzeccata la pronuncia, non ho avuto lo stesso tipo di blocco emotivo cantando perché… non lo so.

Forse perché avevi già vissuto quelle emozioni registrando l’originale.
Giusto. È stato più semplice affrontare le emozioni dopo averlo fatto con la versione in inglese, questa cosa ha senso.

Come hai lavorato con Alan sulle traduzioni?
Abbiamo cominciato con una traduzione letterale. Io ho cercato di capire se e come era cantabile, lui se c’erano modi più naturali di dire le cose. Lui è di Monterrey e quindi dall’accento all’uso di certi termini siamo andati verso il messicano. In So Many Planets, cioè Tantos planetas, canto “Hemorrhaging heartthrob with a six-pack of beer” che non poteva funzionare e quindi è diventato “Rompe corazones con unas cervezas”, più o meno “rubacuori con una birra”. In spagnolo si usano meno parole. “Alcemos lana de su trauma”, che vuol dire “faremo i soldi col suo trauma”, nella versione inglese è “We’ll make a killing from her trauma, oh, mama”. E tra l’altro mi sa che lana è slang messicano. Insomma, è diverso.

Canterai questi pezzi a Madrid e Barcellona a ottobre?
Sì, ma non farò tutti i pezzi del disco in spagnolo, anche perché non sarà ancora uscito e la gente non le conoscerà. Non mi preoccupo tanto per me quanto per i musicisti che devono imparare a fare i cori in spagnolo. Per fortuna in Hombre Roto i cori sono solo degli «ah», non serve traduzione.

Sei pronta a lanciare il disco fuori nel mondo?
A qualcuno piacerà, qualcuno riderà di me, e va bene così. Ma non cerco mica di sembrare madrelingua, è chiaro che non lo sono. Mi son detta: se esce fuori bene quanto Nena e 99 Luftballons allora è ok. Se siamo a quel livello, va tutto bene.

Da Rolling Stone US.

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