Sophie Allison ascolta un sacco di musica country. «Sento tutte queste canzoni su uomini e i loro furgoni», racconta da Tennessee la cantautrice dietro al nome Soccer Mommy. «Sono goffe, ma ti parlando, soprattutto se vieni dal Sud degli Stati Uniti». È l’immaginario che ha spinto Allison a scrivere Feel It All the Time, un pezzo che parla del suo pick-up. «È stata una sfida cantare del mio furgone senza farla sembrare la roba più sfigata del mondo».
Allison quella sfida l’ha vinta e Feel It All the Time compare nel suo terzo album, Sometimes, Forever, prodotto dal musicista avant garde Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never). «È importante mettersi costantemente alla prova, non voglio essere incasellata».
Per descrivere il tema dell’album, hai detto che la tristezza e la felicità non sono sentimenti permanenti. Ovvero?
Bisogna accettare che nella vita tutto va e viene, come le onde, nulla è duraturo. Ma, allo stesso tempo, molte cose sono per sempre. Per me è sempre stato difficile da accettare perché sono una molto concreta. Vorrei che per ogni cosa ci fosse una spiegazione chiara. Soprattutto quando si tratta di emozioni, ho sempre apprezzato la capacità di dire come mi sentissi e perché. Ma nella vita reale non è così, le cose vanno e vengono. Ecco perché ho scelto Sometimes, Forever come titolo. Non è un album a tema come Color Theory. Qui ci sono molti opposti che si attraggono, pensieri e sentimenti che si scontrano anche nella stessa canzone. E così che va la mia vita.
Puoi farmi un esempio?
In New Demo – è il nome che ho dato alla traccia quando l’ho caricata su Dropbox e non ne ho più trovato uno migliore – il ritornello dice “Vale la pena credere nella speranza, o è stupido? Sperare in qualcosa di meglio è sufficiente o è una menzogna che ci raccontiamo?”. È questa la battaglia di cui parlo. Volevo provare a creare un mondo apocalittico fittizio, ma ovviamente lo si può comparare a questo mondo qua. In Unholy Affliction invece l’idea era: non voglio essere parte di un sistema dove sono solamente un oggetto che funziona per le voglie e i bisogni di un potere più grande, eppure io stessa voglio il successo e la perfezione. È la lotta tra desiderio e moralità.
Ci sono immagini molto intense in questo disco, come il verso di Darkness Forever che allude al suicidio di Sylvia Plath. Come ci sei arrivata?
La canzone è nata quando ho avuto questo pensiero: posso capire perché l’hai fatto. A quel tempo mi sentivo sopraffatta e paranoica e la mia testa stava andando a fuoco. Il brano prende quello stato d’animo e lo ribalta nell’idea di dar fuoco alla tua casa e a te stessa per liberarti dai tuoi demoni. C’è anche un senso di magia nel disco. Io e Dan scherziamo molto sul fatto che ci sono le canzoni normali, quelle malvagie e quelle magiche. Ci sono fantasie oscure e un po’ di misticismo.
In Feel It All the Time canti “Ho 22 anni, quasi 23 e sono già logorata da tutto”. Come ti senti ora, che sei a metà dei tuoi vent’anni?
Da un punto di vista del songwriting, quella è una delle mie canzoni preferite. Nel testo comparo il mio corpo al mio furgone, che è del 2002, è piuttosto vecchio. Comparo la vita dell’uno e dell’altro puntando a sentirmi libera guidando il mio furgone con il finestrino giù, priva da ogni stress.
Prima della pandemia sei stata in tour con Liz Phair e Kacey Musgraves. Cosa hai imparato da quell’esperienza?
È stato divertente. Quando giri con artiste così brave devi solo pensare a fare il tuo lavoro. Con Liz Phair è stato il mio unico tour solista. Quando invece ero con Kacey, lei aveva appena vinto un Grammy e, wow, non capita spesso di vedere qualcuno come lei vincere un Grammy per il miglior album dell’anno.
Il chitarrista della tua band è anche il tuo ragazzo da molto tempo. Come ti trovi a suonare con lui?
Benissimo, non abbiamo mai suonato senza di lui. Viviamo assieme da cinque anni e stiamo insieme da sei. Siamo una di quelle coppie che sa divertirsi assieme, ma che è anche in grado di darsi il giusto spazio. Funzioniamo bene.
Hai brevemente studiato musica alla New York University. Hai imparato qualcosa che ti è servito per la tua carriera?
Sono stata all NYU per due anni, in uno dei quali già suonavo. Non c’è nulla di sbagliato nel loro programma, ma sono andata via senza molte informazioni in più rispetto a quelle che già avevo. L’unica cosa che ho imparato è che ovunque ti giri c’è qualcuno che vuole fregarti. Leggevamo i contratti discografici e vedevamo tutte le possibili fregature. Mi ha fatto capire che non volevo pagare qualcuno per far qualcosa di cui ero capace. Così ho pensato: sono qui con una borsa di studio, i miei genitori si prendono cura di me, non voglio che qualcuno finanzi la mia carriera.
Ti manca la scena DIY da cui arrivi e suonare in piccoli locali come il Silent Barn di New York?
Oddio, amavo il Silent Barn. Il mio primo vero live come Soccer Mommy è stato lì. Era divertente e eccitante. Le scene DIY si muovono grazie alla generosità della gente, funzionano come una comunità. È molto più divertente suonare in quell’ambiente, ma arrivi a un punto in cui non è più possibile, anche se vuoi. Certi locali in cui non c’è nemmneo la possibilità di separare artista e pubblico possono creare del disagio. Peccato però che non si possa suonare per sempre lì.
Il successo ha alzato le tue aspettative?
Non mi è piaciuto il successo, ma onestamente non ho nemmeno mai pensato potesse piacermi. Non ho mai fatto quei pensieri tipo «quando sarò famosa…». Non sono a mio agio con gli estranei, sono del segno dei gemelli. Preferisco stare nel mio, sto bene così. Posso ancora andare a godermi un concerto a Nashville, non sono quel tipo di celebrità che non può uscire di casa.
Che rapporto hai con i social?
Non ne ho. O meglio, il massimo che faccio è entrare su Instagram ogni tanto per controllare i messaggi e rispondere agli amici. Preferisco fare il solitario o i rebus piuttosto.
Hai qualche consiglio per i giovani musicisti che vogliono diventare delle star dell’indie?
Focalizzatevi sull’arte. Scrivete e suonate costantemente. Tutta la parte di comunicazione, tutta la parte di promo risparmiatevela finché non vi costringono a farla. È la parte peggiore.
Tradotto da Rolling Stone US.