Cristiano De André: «Essere figlio di un genio mi ha fatto capire i miei limiti» | Rolling Stone Italia
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Cristiano De André: «Essere figlio di un genio mi ha fatto capire i miei limiti»

Scrivetela voi una canzone pensando: sarà all’altezza di quelle di mio padre Fabrizio De André? Da tempo Cristiano ha accettato il ruolo di cantante e arrangiatore delle canzoni del papà, come nel tour che parte oggi. «Ma ho per le mani una cosa che vorrei proporre a Sanremo»

Cristiano De André: «Essere figlio di un genio mi ha fatto capire i miei limiti»

Cristiano De André

Foto: Adolfo Ranise

L’appuntamento è su Skype. Cristiano De André sorride dalla sua casa in Sardegna, parla della sua nuova vita, di quanto gli piace vivere e respirare il mare. Oggi, 13 luglio, parte da Termoli il De André #DeAndré – Best of Live Tour, il concerto in cui reinterpreta i brani più celebri del padre Fabrizio per mantenerne vivo il ricordo e magari accendere delle lucine negli occhi dei ragazzi. La tournée andrà avanti per tutta l’estate con un finale a Brescia il 7 settembre.

Cristiano è un artista da conoscere, risentire, rivalutare. È vero, Fabrizio De André ha creato pezzi immortali, lucidi, taglienti, capaci di instillare dubbi e accendere (ancora oggi) dibattiti. Cristiano ha dato dimostrazione negli anni di non essere solo un “figlio di”, ma di avere una sensibilità compositiva e da vero musicista. Ne sono un esempio album come Canzoni con il naso lungo o Scaramante. È un uomo che ha preso a pugni la vita, a volte ha vinto, a volte è andato ko, ma si è sempre rialzato rimettendosi in gioco e pensando al futuro.

Torni con un tour in cui canti le canzoni di Fabrizio De André. Perché quei brani sono importanti ancora oggi?
Le sue parole riescono a renderti una persona migliore, cadono da una bacchetta magica come lucciole che avvolgono e illuminano, mostrano le ipocrisie e ci rendono più umani.

Quanta ipocrisia hai trovato nella tua vita?
Ovunque, di continuo, dalla politica al sociale. Anche in chi si riempie la bocca delle parole di mio padre e poi non le mette in pratica, una cosa che lo infastidiva nell’ultimo periodo.

Ah sì?
Diceva: «Io sono 30 anni che scrivo contro le guerre e in favore delle minoranze, dei diseredati, ma non è cambiato un cazzo». Come dargli torto? Le sue canzoni fanno sempre il pienone, ma non si può tornare a casa dopo averle ascoltate e non metterle in pratica. Cerchiamo sempre qualcuno che cambi le cose al posto nostro, ma dobbiamo essere anche noi, nel nostro piccolo, a fare qualcosa per migliorare il mondo. È un lato importante da non sottovalutare. Non si può essere solo dalla parte delle parole.

Qual è la sua canzone più attuale oggi?
La guerra di Piero. È il meccanismo assurdo e spietato della guerra. Il dubbio che questo ragazzo ha di sparare a un altro ragazzo con una divisa differente. Quello è il dubbio che dobbiamo farci venire e trovare un modo per togliere da noi stessi il gene del conflitto. C’è chi, tramite la meditazione, tenta di mandare energie positive e magari mi metterò anche io a farlo, bisogna trovare la voglia di stare dalla parte della pace. Chi medita pensando positivamente manda onde positive che mettono in armonia cervello e cuore. Siamo fatti di energia: se la convogliamo in un certo modo, la possiamo usare al meglio.

Dove trovi la tua armonia?
Da quando vivo in Sardegna, in mezzo alla natura, va molto meglio. Qui, di fronte alla Corsica, dove ci sono le bocche di Bonifacio, c’è movimento continuo: il mare tempestoso e poi calmo, le giornate cambiano i colori di un paesaggio che sembra uguale, ma è in continua evoluzione. Sono felice di essere andato via da Milano.

Motivo?
Rappresenta tutto quello che non mi interessa.

Cioè?
Parlare solo di soldi. È una città dove vige la legge del più furbo. Le grandi metropoli stanno implodendo senza evolvere in qualcosa di meglio, non si riconosce più la bellezza. Milano vive di una moda ormai frustrata, finita. Si cerca di far colpo, è un po’ lo specchio di questi tempi, del vuoto che ci circonda.

C’è una soluzione?
Cantare le canzoni di mio padre è una manna dal cielo. Per il venticinquennale dalla sua scomparsa porto in giro il meglio che ho prodotto su di lui e avrei voluto fosse lui a cantare. Lo dico da musicista: era un progetto che volevamo fare.

In che senso?
Mi aveva detto di prendere dei pezzi suoi e reinterpretarli a modo mio in giro. È una cosa alla quale avrebbe tenuto, ma poi l’ho fatto da solo. Ma molti brani su cui ho messo mano li canterebbe volentieri.

Foto press

Come ti sembra il mondo della discografia odierno?
Di musica ne sento veramente poca. Sento cose preconfenzionate per avere successo, provocano emozioni immediate, ma sono poco durature. Una sorta di linguaggio molto commerciale dove tutto finisce lì. Non c’è spessore perché non ci sono una generazione e un momento storico che permettono di parlare con un linguaggio non superficiale e poco profondo.

Qualcuno che ti piace della nuova generazione di cantanti?
Senza far torto a nessuno c’è ancora chi porta avanti la voglia di raccontare e raccontarsi, ma valuto il momento di decadenza che stiamo vivendo. Forse l’unico modo è sperare che passi velocemente.

Ma passerà?
Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma non potevamo aspettarci qualcosa di diverso per come sono andati politicamente gli ultimi 40 anni.

Non fai dischi con brani inediti dal 2013, l’anno dell’album Come in cielo così in guerra. Da anni porti solo i pezzi di tuo padre in tour. Non pensi che questo percorso abbia, in qualche modo, appannato la tua carriera di autore?
In qualche modo sì, ma essendo figlio di un genio sono arrivato a rendermi conto dei miei limiti. Interpretare le canzoni di mio padre forse è meglio che tirare fuori cose mie. Cantare lui fa bene al cuore di tante gente e anche al mio. Ci sono sensazioni alte, mi sento bene ed è anche un modo per sentirlo vicino.

In che modo lo senti vicino?
È come se una parte della sua voce mi appartenesse, come se fosse sul palco con me. Le persone sorridono, si commuovono, sono felici. È bellezza.

Ma la tua carriera, quella di Cristiano? Che mi dici?
Ho fatto anche dischi miei, sono andati come sono andati, bene, meno bene, ma tornerò con qualcosa di mio nel 2025 o nel 2026. Mi era passata la voglia di fare cose mie.

Perché?
È difficile raccontare questi tempi in una determinata maniera, non riesco a trovare le parole giuste. Forse anche mio padre avrebbe difficoltà.

Sei stato a Sanremo l’ultima volta dieci anni fa. Mai provato a tornare in gara al festival?
No. In quello del 2014 si portavano due pezzi. Presentai Il cielo è vuoto e Invisibili, con cui ho vinto il Premio della critica. Mi piacerebbe partecipare a Sanremo con un nuovo progetto. Anche se spero che il festival cambi e si apra un po’ di più alla musica con la emme maiuscola, quella d’autore. In questi ultimi anni c’era poca apertura da questo punto di vista.

Hai visto il festival quest’anno?
Non lo vedo da qualche tempo: non rappresenta più quello che mi piacerebbe vedere.

Addirittura…
Ho sentito che alcune cose sono risultate migliori di altre, ma quest’anno proprio non l’ho visto. Però, da figlio d’arte a figlia d’arte, sono contento per Angelina Mango, lei è molto carina e simpatica.

È difficile essere figli di un genio?
Comporta il fatto che si debba abbandonare il complesso di Edipo perché vince sempre il genio (ride). Non ci si può equiparare con uno come Fabrizio De André. E lui me lo aveva ventilato.

Cioè?
A me piaceva fare musica, suonare la chitarra e lui mi diceva: «Guarda che se fai il musicista vieni schiacciato dal tuo stesso cognome, è difficile. Perché non fai il veterinario, vieni in campagna da me e fai qualcos’altro?». Si prospettava una vita dolorosa.

E tu?
Ho preferito soffrire, invece che mettere le mani in una mucca per fare nascere un vitello.

Difficoltà maggiore?
La gente che ogni cosa che faccio la paragona a mio padre. È come se qualcuno mi dicesse: «Ma cosa stai scrivendo?». Per accettare quello che compongo ci metto più tempo e questo mi ha creato problemi nel lasciarmi andare quando scrivo. Mi viene meglio il ruolo di musicista e arrangiatore, prendere un pezzo e dargli un altro vestito. Ma questo non cancella il fatto che ho tra le mani qualcosa di mio che mi piacerebbe proporre a Sanremo.

A questo proposito, in Dietro la porta, con cui partecipasti al festival nel 1993, classificandoti secondo canti che “Ci sono notti che non vorrei cancellare mai”. Cosa non cancelleresti mai di te?
Il mio essere determinato da Capricorno e ascendete Capricorno. E poi la mia gentilezza. Non sono rancoroso anche se ho avuto momenti di difficili con persone che mi hanno fatto molto male. Non ho mai provato odio e risentimento verso qualcuno. Sono buono e molti me lo riconoscono. Ho molta stima di me: mi sono rialzato da tante situazioni dure. Da un anno e mezzo neanche fumo più: sono passato da tre pacchetti al giorno a nulla. Mio padre ne fumava cinque, ma ho preferito non seguirlo, da un po’ di anni sono innamorato della vita e preferisco vivere.

Il momento più buio?
Quando non riuscivo a far quadrare le cose, non sapevo se fosse giusto quello che volevo. La confusione mi ha allontanato da me stesso e dagli altri facendomi rifugiare nell’alcol e in altre sostanze. Ho rischiato la pelle. Poi ho fatto chiarezza con me stesso e me ne sono tirato fuori.

Spesso tirano sempre fuori la storia del tuo passato e della droga, non ti sei un po’ stancato?
Sono sui palchi da quando ho 17 anni e suonavo con i Tempi Duri. Oggi vivo degnamente di quello che so fare. E sono soddisfatto. Sì, mi scoccia se ne parli, perché a me non interessa più. Sono salutista, faccio grandi camminate e sono pure ingrassato dopo aver smesso di fumare. Mi do da fare e questo sarà un grande tour. Mi divertirò.

Con i genitori. Foto press

Che padre sei stato?
Impreparato. Sono diventato genitore molto giovane, a 22 anni.

Cosa ti rendeva impreparato?
Tutte le controversie di quegli anni: dovevo capire chi ero e cosa volevo dalla vita e questi pensieri rendono un padre incapace. Col tempo ho imparato di più e forse con mia figlia Alice, la più giovane, sono stato migliore. Con gli altri miei figli c’è stata una separazione di mezzo ed è stato tutto più difficile. Ma sono sempre stato altruista e a loro non ho mai fatto mai mancare niente.

Il problema principale in cosa risiedeva?
È stato difficile trovare un’armonia tra me e la mia ex moglie per non mettere in mezzo i figli che, invece, sono stati coinvolti da rapporti inguaribili.

Ora hai risolto?
Ho un buonissimo rapporto con mia figlia Alice. Con gli altri è altalenante per tante ragioni. Adesso è tutto molto più pacato.

Proprio per le tue questioni famigliari a volte sei stato tuo malgrado al centro di trasmissioni tv. Qual è il tuo rapporto con il piccolo schermo?
La televisione non la guardo più, non mi interessa perché non c’è niente di vero. Vedo volentieri solo Rai 5. Per un periodo ho guardato Di Martedì o Piazza Pulita per i dibattiti interessanti. Però anche quelli mi hanno stufato un po’. Preferisco leggere, pescare e fare tutte le cose possibili al mare.

Il mare cos’è per te?
Il viaggio, l’ignoto, l’avventura, il sogno. Vivo al mare e mi piace, c’è un movimento continuo. Il mare ce l’ho sempre avuto vicino. Il mareti dà la libertà che la città ti toglie.

L’insegnamento più importante di Fabrizio De André?
Quando mi ha detto «Cerca di essere una persona buona, gentile, rispettosa e scrivi quando hai davvero qualcosa da dire».

Se avessi la possibilità di rivederlo cosa gli diresti?
Torniamo a lavorare insieme, come eravamo rimasti, con la passione di sempre.

Qual è stata la delusione più cocente della tua vita?
Quella con i Tempi Duri, la band di cui facevo parte.

Cosa è successo?
Ci hanno talmente confusi da farci sciogliere. Stavamo andando bene e ci credevo talmente tanto che è stata una delusione enorme separarci: saremmo potuti essere uno dei gruppi più importanti d’Italia. Invece abbiamo ascoltato un discografico da una parte, poi un discografico dall’altra. Volevano me da solista e hanno rotto la magia.

Se incontrassi il te stesso di qualche anno fa, il Cristiano che si buttava giù, cosa gli diresti?
Lo abbraccerei e gli direi «ti voglio bene».