È stata una bella estate per Cristiano Godano. Tra un concerto dei Marlene Kuntz e una presentazione del suo nuovo libro Nuotando nell’aria pubblicato da La nave di Teseo, un’autobiografia anomala che racconta in prima persona le origini e i primi tre album della band cuneese, il cantante ha potuto constatare quanta attenzione ci sia nei suoi confronti e nella sua storia.
“In fondo in questi incontri parlavo e basta: mica si ballava per dimenticare! – ha scritto su Facebook – è stato tutto molto bello e stimolante: a partire dalle location, passando per l’ottima energia dei vari organizzatori, splendidi. E le molte e variegate facce che mi sono trovato davanti, ricordando i momenti schietti e accorati dei miei inviti a resistere al peggio di sé che sta dando il mondo, e tenendo a mente le molteplici riflessioni sull’arte marlenica e godanica (hem…) in cui mi sono avventurato, a volte sgusciandone liscio e veloce, altre impiegando il giusto tempo per trovare la via di uscita dal labirinto che avevo poco per volta creato con le trame dei pensieri”.
Di ritorno in Piemonte dal “Premio Le Maschere del Teatro Italiano” che è stato assegnato ai Marlene Kuntz in una cerimonia al Teatro Mercadante di Napoli per le “Migliori musiche” per lo spettacolo Il castello di Vogelod con la regia di Fabrizio Arcuri, Godano è stato protagonista questo weekend di due appuntamenti a Paraloup, borgata montana di Rittana, con un live unplugged (vari pezzi dei MK e una versione acustica di “Bella ciao”) più un dialogo con l’amico Diego De Silva per i cento anni della nascita di Nuto Revelli, e a Santo Stefano Belbo nella Chiesa dei SS. Giacomo e Cristoforo con una presentazione del suo libro al festival dedicato allo scrittore Cesate Pavese. Che guarda caso scrisse proprio una serie di racconti intitolata La bella estate. Quella che simbolicamente Cristiano ha chiuso poche ore fa con due omaggi alla cultura democratica e all’antifascismo.
Come descriveresti la figura di Nuto Revelli a chi non ha mai sentito parlare di lui?
Cercherei di far notare con la maggior precisione possibile cos’è la libertà, e cercherei subito dopo di far immaginare a chi non ne ha provato la restrizione, come il sottoscritto fortunatamente, cosa vuol poter dire esserne privato, e direi infine che Nuto Revelli fu un coraggioso combattente per la libertà, non solo per se stesso ma per tutti noi che fino a ora ne abbiamo goduto. Se mi trovassi di fronte persone che vorrebbero farmi credere che la democrazia vissuta finora è stata spesso sottilmente oppressiva e limitativa della libertà in forme subdole, gli direi che Revelli ha combattuto per sconfiggere un vero e proprio regime dittatoriale, che è sempre e comunque peggio di qualsiasi democrazia imperfetta.
La vostra Bella Ciao suonata in un posto come Paraloup, borgata di montagna che è stata un baluardo della Resistenza, che effetto ha avuto su di voi?
«Ci siamo commossi nel suonarla: è bastato pensare a cosa ha rappresentato davvero Paraloup, e dunque calarsi con l’immaginazione in un periodo di terrore e di lotta coraggiosa e impavida per sentirsi onorati nell’essere ospitati in quel posto a suonare un canto simbolicamente fortissimo.
Sono passati sette anni dalla pubblicazione di Canzone per un figlio che portaste a Sanremo al festival. Una canzone che parlava in fondo del futuro. Che idea hai oggi della felicità?
«Nel testo di quella canzone dico che la felicità è dentro di noi, e che la si può scoprire, godendone, quando si ha la fortuna di sentirsi a qualche titolo appagati di quello che si è fatto di positivo nella vita. Dunque le felicità come una consapevolezza spirituale, non come una collezione di cose possedute in un crescendo inutile e parossistico. Un valore figlio delle occasioni di far funzionare il cervello e riflettere su stessi. Di certo questo non garantisce che sia perenne: va e viene, come i suoi vari contrari, dolore, malinconia, afflizione, scoramento, disinganno, delusione. Questa idea di felicità è a tuttora, mi pare, l’unica che possiedo.
Ho la sensazione che quando canti Bella ciao o Into my arms di Nick Cave in acustico con la chitarra, tu consideri la musica sempre un atto politico, perché la bellezza e la libertà della musica rendono migliore la società. E’ così?
Se vogliamo parlare di “politica” in questo senso molto lato, quasi filosofeggiando un po’, è ovvio che ne convengo, poiché bellezza e libertà della musica tendenzialmente non possono far altro che del bene. La tua domanda si fa però più stringente se si ricorda che fino a non molti giorni fa la stessa presunta libertà della musica era messa in discussione da una frangia politica che fortunatamente per ora è tornata a essere comprimaria, e io spero per moltissimo tempo: grazie a essa venivano sdoganate intimidazioni tipo “pensa a suonare che ti viene meglio”, che più che essere un invito a godere della libertà di suonare, era un subdolo tentativo di zittire un musicista nel suo desiderio di esprimere opinioni di natura etico-civica. In contesti simili, che dal mio punto di vista sono l’anticamera di situazioni di regime, diventa ancora più “politico” esprimersi, anche e solo cantando, ma non certo cantando in modo stolidamente sorridente e artatamente spensierato, invitando a ballare per non pensare, adulando e blandendo il potere per il timore di indispettirlo.