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Deep Purple: «Andiamo avanti per i soldi? Ma certo, anche da giovani lo facevamo per i soldi»

La vera integrità è far musica dopo i 70 anni senza coprirsi di ridicolo. L’anima delle band (che esiste), il nuovo album ‘=1’, l’improvvisazione che faceva impazzire Pavarotti: parla Ian Gillan

Foto: Jim Rakete

Che i Deep Purple stiano vivendo uno dei momenti più significativi della loro recente carriera è ormai fuori discussione. La partnership con Bob Ezrin iniziata più di dieci anni fa con Now What?! li ha riportati con regolarità nella top 30 inglese, dando vita forse al miglior filotto di album di qualsiasi band nata negli anni ’60 ancora in attività (Stones inclusi). Qualcosa di impensabile all’inizio del nuovo millennio, quando Ian Gillan e soci venivano ormai considerati dinosauri che entravano in studio esclusivamente per avere la scusa per tornare on stage a suonare i vecchi classici.

È un risultato ancora più eccezionale se pensiamo che i Mark, le formazioni con cui ci siamo abituati a rappresentarli, con l’addio di Steve Morse e l’ingresso di Simon McBride siano arrivati addirittura a nove: un vero e proprio unicuum nella storia del rock. Chi pensava che il nuovo album =1 avrebbe risentito dell’assenza del chitarrista americano si sbagliava di grosso e il perché ce lo spiega proprio un Gillan decisamente eccitato per la nuova uscita.

Credo che diventare il chitarrista dei Deep Purple sia uno dei compiti più ingrati sulla faccia della terra per un musicista. Persino Joe Satriani e Steve Morse si sentivano dire «sì bravo, ma non sei Blackmore». Come vive tutto questo Simon?
Credo che per Simon sia un po’ più semplice, proprio perché il grosso del lavoro l’hanno fatto altri per lui (ride). Ritchie è quello che ha creato la maggior parte delle parti di chitarra che suoniamo ogni sera e quindi è naturale dover passare da questa cosa. È come una tassa. Simon però è entrato in punta di piedi e questo ha aiutato tutti: noi che ci siamo trovati di colpo a dover rinunciare a Steve per i suoi problemi familiari e il pubblico che ormai lo conosceva da trent’anni. Comunque anche lui sa perfettamente di non averla scampata, ora che ha suonato anche su un album avrà il suo bel peso da sostenere.

Anche perché credo che la differenza con Morse sia abbastanza marcata, quantomeno dal punto di vista del feeling, dell’approccio allo strumento.
Assolutamente. Steve era americano, quindi con un background diverso dal nostro. Veniva dal southern rock, dal progressive e dal jazz e la cosa ci costrinse a rivedere molti degli stilemi che ormai consideravamo nostri. Satriani ha detto che sarebbe stato più difficile sostituire lui che Blackmore e in qualche modo aveva ragione. Steve è quello che ci ha permesso di arrivare fino a qui, proprio perché ha rotto degli schemi ormai che sembravano immutabili, ci ha rimesso in vita proprio quando l’ennesimo addio di Ritchie sembrava condannarci all’oblio. Detto questo, ammetto che essere tornato a un tipo di songwriting meno complesso mi ha aiutato in fase di scrittura. Non parlo di complessità musicale, di tecnica o cose del genere, ma di come la musica arriva alla gente. Credo =1 sia più diretto, un po’ più simile a certe cose che componevamo un tempo.

Sì, si avverte una differenza, anche se poi il paradosso dei Deep Purple è che appena parte il primo accordo, qualunque sia lo strumento che lo produce, i dubbi su quale band stia suonando svaniscono. Com’è possibile? Esiste davvero l’anima di una band?
Esiste per forza. Pensa anche ai Black Sabbath (di cui Gillan è stato cantante per l’album Born Again, nda). Hanno cambiato mille formazioni, ma poi se passa un pezzo alla radio non puoi avere dubbi. E nessuno che sia passato dai Deep Purple ha mai scimmiottato il suo predecessore, cosa che aggiunge valore alla teoria dell’anima. È come una squadra di calcio che ha una grande tradizione nelle coppe europee: puoi stare certo che magari passerà qualche anno di magra, ma poi quel dna tornerà fuori. E nessuno può andare avanti con la stessa formazione per decenni.

Ok, però come funziona allora? Siete una band democratica? Da cosa parte tutto?
Una regola non scritta è quella di non parlare di certe cose, soprattutto di politica e religione. Una buona regola mutuata da ogni pub che si rispetti. Stiamo molto lontani uno dall’altro quando stacchiamo dai tour, siamo tutti molto diversi e non abbiamo mai forzato la cosa. L’unica cosa che non è mai cambiata è il nostro modo di comporre: continuiamo a trovarci in studio e iniziamo a jammare. Nessuno arriva mai con un pezzo pronto da proporre agli altri e chi è entrato nel tempo ha capito subito come funzionavano le cose e si è comportato di conseguenza. Jammiamo per giorni e registriamo tutto, poi quando troviamo qualcosa di intrigante lo isoliamo e ripartiamo da lì. Questo è il risultato di essere una band di musicisti puri. Io mi limito a cavalcare il pony.

Quindi anche i testi non nascono mai separatamente?
No, assolutamente. Ho sempre amato scrivere storie, fin da ragazzo, ma non riesco a comporre canzoni in solitudine, né tanto meno senza sapere di avere un progetto tra le mani. Piuttosto preferisco dormire nel tempo libero (ride). Chiaramente quello che scrivo oggi è attinente alla vita di un settantenne, che non significa parlare dell’abbassamento della vista o dei problemi di salute, ma è chiaro che le canzoni sulle macchine sportive e le belle donne oggi le trovo ridicole. Quando ero nel massimo momento di autoindulgenza rock‘n’roll mi sembravano il massimo. Si tratta di semplice evoluzione, non è rinnegare, è solo andare avanti e non essere ridicolo.

Una cosa che non cambia è il tuo utilizzo di giochi di parole, figure retoriche e allegorie che hanno sempre caratterizzato il tuo stile di scrittura. Quando nasce la tua passione per un certo utilizzo della lingua?
Credo sia nata insieme a me, perché mi hanno sempre raccontato di questa mia propensione all’utilizzo di termini e strutture meno convenzionali. Mi è sempre piaciuto il lato comico delle cose, quello grottesco se vogliamo. Non si tratta di meri esercizi di stile o di mezzucci per spingere alla risata, ma di raccontare le cose da un’altra angolazione. Hanno sempre parlato di me come di un cantante dotato e a lungo non hanno guardato a come scrivevo. Certo, come dicevo prima forse gli argomenti di alcune canzoni erano assolutamente trascurabili, ma anche lì cercavo di esprimere concetti basici con uno stile diverso. Col tempo ho affinato questo aspetto, forse qualche doppio senso è sparito, e spesso l’ho utilizzato anche per i titoli degli album: a volte ha funzionato, altre no, come per Bananas (ride). Comunque sono sempre stato convinto che si possa scrivere e ridere di tutto.

Siete diventati celebri anche per le vostre improvvisazioni. Oggi quell’aspetto è meno marcato, ma resta sempre un po’ di spazio per mostrare le vostre abilità. Tanto che è ancora difficile sentire dal vivo due volte un pezzo suonato allo stesso modo. È un vezzo o cosa?
Ho avuto la fortuna di conoscere per molti anni Luciano Pavarotti e di parlare a lungo con lui. Questa cosa di cui parli lo lasciava esterrefatto. Mi diceva: «Come potete suonare sei volte Smoke On the Water e non farla sembrare mai come l’originale o come l’esecuzione di pochi giorni prima?». Per lui era affascinante e inconcepibile allo stesso tempo, perché invece nel suo ambito la sfida era avvicinarsi più possibile alla perfezione. Diceva che l’avrebbero crocifisso se si fosse preso certe libertà. Sai, tutto dipende dalle serate. Ce n’erano alcune anche negli anni ’70 dove facevamo totalmente schifo, ci sta. Lì non stai variando sul tema, fai solo schifo (ride), però il rock‘n’roll te lo permette. Anzi talvolta la gente trova eccezionale anche quello. Se pensi che in Made in Japan Ritchie sbaglia il riff di Smoke On the Water e poi fa credere di averlo fatto apposta…

Il titolo del disco mi fa pensare a qualcosa di sarcastico.
In un certo senso sì. Il titolo mi è arrivato all’improvviso mentre dall’auto ferma nel traffico mi sono messo a osservare quello che avevo intorno e mi è sembrato davvero tutto privo di senso. In primis quello che stavo facendo io. Eravamo tutti diretti verso lo stesso posto, con gli stessi mezzi e tutti convinti probabilmente di farlo meglio di tutti gli altri. Mi sono sentito stupido come tutti quelli che mi circondavano e ho pensato che solo nella stupidità siamo davvero uguali. Questo appiattimento generale, dove le peculiarità degli altri non riescono più ad emergere, dove siamo uniformati e dipendenti da tutto, tranne che dalle cose che hanno un valore mi ha messo un po’ di tristezza, ma mi ha anche dato lo spunto da cui partono molti dei testi del disco. Ecco, i Deep Purple sono un po’ un antidoto per me, perché ho spesso l’occasione di mettermi in disparte e poterli sentire suonare, ognuno con le proprie origini musicali, spesso opposte tra loro. Il titolo è un po’ il contrario di quello che per me rappresentano i Deep Purple.

I tuoi album solisti sono stati a lungo difficili da trovare, prima di una massiccia opera di ripubblicazione nei primi anni 2000. Oggi siamo più o meno allo stesso punto. Stai scrivendo qualcosa di nuovo o hai intenzione comunque di renderli di nuovo acquistabili?
Il problema maggiore è legato alle diverse etichette che li pubblicarono, quindi un lavoro omogeneo sarà molto difficile da realizzare, ma sto cercando da tempo di metterne insieme il maggior numero possibile per dare un senso a un’opera di recupero. Me ne sto occupando personalmente perché voglio che abbia una logica e non risulti solo un’operazione economica, quindi ci metterò il tempo che mi serve. No, non ho più scritto nulla per me, proprio perché, come ti dicevo, non riesco a lavorare da solo, senza una band e un progetto definito. Ma non mi manca fare dischi a mio nome.

Visto che hai parlato di soldi, quando si pensa a band come voi o gli Stones i più cinici dicono che andate avanti più che altro per questioni economiche.
I più cinici sanno probabilmente che chiunque lo fa per soldi. Anche da giovani lo facevamo per i soldi. Chi non fa un mestiere per soldi? Chi lo fa sperando di guadagnare meno possibile? Il vero problema non è farlo per guadagnare, ma stare attenti a non perdere la propria integrità. Quando perdi quella, allora puoi davvero dire di farlo solo per lucro. Ci sono band che non si divertono da anni e vanno avanti, così come ci sono politici cui del proprio Paese non frega un cazzo e vengono comunque pagati. Noi a lungo abbiamo suonato in location diverse dalla O2 Arena, i nostri dischi sembravano non interessare più nemmeno ai vecchi fan. Se ora le cose vanno diversamente credo solo sia perché non ci siamo mai adattati a nulla. E abbiamo mantenuto l’integrità di cui parlavo poco fa.

Il primo grande successo appena entrato nei Deep Purple, l’hai ottenuto col ruolo in Jesus Christ Superstar. Hai un lato spirituale?
Sì, certo che ce l’ho, ma non ha a che fare con dogmi o cose del genere. La mia religione si basa sulla natura, che è il sistema più complesso ed evoluto che ci sia da sempre sulla terra e il mio profeta è Charles Darwin. Pensiamo che a breve non saremo più in grado di tornare indietro, arrivando a distruggere il mondo a causa dei nostri comportamenti scellerati. Ma non abbiamo capito nulla. Sarà sempre la natura a fotterci, a riprendersi gli spazi. Basta questo a rimettermi in pace col mondo.

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