Se Calcutta e Tommaso Paradiso sono la generazione dell’itpop, e Niccolò Contessa ne è il cugino maggiore, Dente è uno dei padri. Gusto rétro, suggestioni battistiane, giochi di parole come rime, impianto cantautorale, canzoni d’amore ironiche e tristissime: nei suoi pezzi di (già) dieci anni fa c’erano i semi – ma anche i primi sviluppi – della musica indipendente italiana di oggi.
Ma se nel 2009, con L’amore non è bello, il nostro si era imposto come rinnovatore, fra circoli Arci e radio indipendenti, proprio sul più bello è un po’ sparito. Dal 2016, infatti, il cantautore emiliano si è defilato dal contesto, messo fuori dal giro, complice anche un album (Canzoni per metà) più ostico e meno cristallino dei suoi standard. Intanto, i nuovi – i figli, diciamo – ne hanno raccolto l’eredità, iniziando a macinare numeri prima impensabili, a riempire palazzetti, a riscoprirsi popolari.
Ma adesso Dente è tornato, con due singoli (Adieu e Anche se non voglio) e un tour in partenza il 29 novembre, in attesa del disco previsto per il prossimo anno. Ha cambiato sonorità, e non fa più giochi di parole. Non si guarda indietro, non è vintage e anzi cerca di essere il più attuale possibile, per trovare il suo posto nel 2019. Rimanendo – mi assicura – comunque sé stesso.
Che fine avevi fatto? Nel 2016 è uscito il tuo ultimo disco, Canzoni per metà, di cui non si è parlato molto, poi sei un po’ sparito…
In realtà mi sono dato molto da fare. Il tour di Canzoni per metà è finito nell’ottobre del 2017, mentre nel 2018 ho portato in giro uno show – che è andato molto bene – con Guido Catalano, un poeta molto affine al mio stile di scrittura. Però sì: mediaticamente, diciamo, sono stato un po’ assente. Il punto è che Canzoni per metà è stato un disco coraggioso, con tutte canzoni senza ritornello. Un esperimento, ecco. Volevo qualcosa volutamente controcorrente, per capire se dei pezzi in forma non canonica potessero avere successo, in un momento in cui la scena stava andando nella direzione opposta.
E cosa hai scoperto?
Che avevano ragione gli altri! (ride, ndr) Insomma: non era il momento giusto per pubblicarlo.
Anche perché, dicevamo, sei mancato tre anni, ma sembra passata una vita per ciò che è successo nel frattempo.
Guarda, io questo boom di popolarità intorno all’indie italiano lo vedo in maniera positiva: finalmente il pop ha avuto un ricambio, e in radio si è sdoganata la bella musica. Non posso che esserne contento.
Ma sulla tua pelle come hai vissuto i cambiamenti di scenario?
Come uno che con Canzone per metà si è defilato. L’idea era suonare le canzoni di impulso, come venivano: non per forza in modo piacione, con un ritornello, delle strofe e tutto il resto. Ci ho riflettuto, e ora so che avrei dovuto pensarlo diversamente, evitando certi errori. Nel frattempo, comunque, davanti al boom dell’itpop mi è venuta fretta di tornare. Per fortuna, chi mi segue mi ha consigliato di aspettare: per mettere meglio a fuoco le idee e far calmare le acque intorno.
Ti sei chiesto quale sia il ruolo di Dente nel 2019, insomma.
In tanti mi hanno detto: “Va’, e riprenditi il tuo posto”. Perché, sempre secondo molti, senza di me i cantautori di oggi e, in generale, la svolta dell’itpop non ci sarebbero.
Anche secondo me.
Non so se sia vero o no. Però non mi va di fare la figura di quello che ha aperto la breccia e poi è rimasto sull’uscio a guardare gli altri prosperare. Non mi va, non mi è mai piaciuto. Quindi ho deciso di tornare, facendo anche i conti con ciò che nel frattempo è cresciuto intorno. Non temo il cambio della guardia: voglio restare il solito, e rimanere in piedi a suonare la mia musica.
Che idea ti sei fatto dei nuovi?
Li ho ascoltati, tantissimo, anche per curiosità. Qualcosa mi piace molto, altre mi sembrano il risultato di un exploit che ha toccato il suo apice e ora è in calando. Cioè: è rassicurante sentire qualcosa che suona molto simile a ciò che già esiste, ma alla lunga in molti tendono a somigliarsi troppo, e a stancare. In ogni caso, gran parte delle mie nuove canzoni non sarebbe come sono senza di loro. Mi spiego: se io ho influenzato l’itpop, anche l’itpop ha influenzato me. Ed è avvenuto in maniera naturale: quando scrivi è normale sentire l’eco dei tuoi ascolti ricorrenti. Quindi sì: nei brani nuovi qua e là ci si troverà un passaggio à la Calcutta, uno à la Coez e così via.
A proposito di convergenze: pensi che i tuoi dischi passati, in quanto precursori, oggi possano parlare ai nuovi ascoltatori?
Eh, bella domanda: me la sono posta anch’io. Per aspetti tipo i testi credo di sì: i miei pezzi storici possono arrivare anche ai giovanissimi che hanno appena scoperto l’itpop. Lo scoglio più grande – diciamo l’unico – è la produzione: un disco come Almanacco del giorno prima (2014) suona volutamente vintage, quasi come un esercizio di stile. Invece le produzioni dell’itpop non hanno gusto rétro, anzi sono molto attuali e concentrate sulla contemporaneità. Per questo, ora che sono ripartito, la prima cosa che ho fatto è stata invertire la rotta sulla produzione.
Eh, raccontami un attimo come hai lavorato.
La gestazione è stata lunga, perché ho faticato a trovare la strada giusta. Volevo delle canzoni che suonassero come uscite nel 2020. All’inizio ho provato a produrmi da me, ma il risultato era la solita roba rétro e allora ho capito che dovevo passare per le mani di altri. Quindi mi sono affidato a Federico Laini, il bassista dei Plastic Made Sofa, la band che mi accompagna in tour da tre anni. Lui lavora con i loop e la dance, ed è stata quella la chiave: nelle nuove canzoni sono sempre io, ma con un vestito nuovo. Per dire: ho tolto la chitarra acustica, per sostituirla con quella elettrica.
Che infatti manca in Adieu e Anche se non voglio.
Sì, è una svolta importante, perché mi ha sempre caratterizzato anche come personaggio. Ma mi sono detto: togliamo uno dei pilastri, e vediamo se la casa resta in piedi. Molte canzoni, come Adieu, le ho scritte al pianoforte – una novità che mi è rimasta dal tour con Catalano.
E poi mancano i giochi di parole, in entrambi i pezzi.
E in tutto il disco ce ne saranno al massimo un paio, pensa! Una scelta in controtendenza: in un momento in cui tutti ne scrivono, io mi tiro indietro. Perché mi sembra che miei siano sempre stati giustificati: nascondevano un doppio significato, un detto-non detto. Ora quelli che sento in giro mi paiono gratuiti, superflui: piuttosto, se voglio riempirmi di giochi di parole, vedo un film con Nino Frassica, che è un maestro di quest’arte. Per il resto, è cambiato anche il modo di raccontare l’amore: ho 43 anni, se scrivessi come a 25 non sarei credibile. Adieu e Anche se non voglio non sono pezzi d’amore, per dirti. Ah, e dopo una vita sentimentale travagliata ho smesso di soffrire! (ride, ndr).
E questa è una notizia. L’altra, per tornare a concetti più terreni, è che sei tornato con due singoli e un tour, ma senza che l’album sia ancora uscito.
Un’idea folle, lo so. Ma ormai i tempi della promozione sono cambiati: con lo streaming il disco ce l’hai da subito, non servono degli estratti successivi che ti convincano a comprarlo. La vera promozione, ormai, si svolge prima dell’uscita, ed è molto più libera – così come il nostro lavoro. In questa logica, un tour senza il disco fuori può starci eccome.
Ai concerti che dobbiamo aspettarci?
Diverse novità: in primis, come ti dicevo, ho sostituito la chitarra acustica con quella elettrica. Questo restyling influenzerà i pezzi vecchi in maniera radicale, secondo questa chiave, diciamo, più ‘attuale’. Gli altri, invece, li suonerò al pianoforte. Ah, e ci saranno anche altre due anteprime del disco nuovo.
A proposito: ma si è capito quando esce?
Guarda, ormai non lo so più neanche io! (ride, ndr) Comunque è pronto. E sarà un disco diverso da Canzoni per metà, molto più canonico: con le canzoni nella forma tradizionale, in cui le ho sempre scritte. Dopo il 2016 è sembrato che io abbia sempre e solo scritto pezzi strani, quando in realtà per dieci anni avevo composto brani classici, coi ritornelli. Ma sai com’è, no? Il pubblico si dimentica presto.