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Depeche Mode: «Siamo ancora la classe operaia»

Martin Gore e Andy Fletcher raccontano come stanno lavorando al nuovo album, quanto tempo dedicano ai social (poco) e cosa vuol dire fare elettronica da stadio, ieri e oggi
I Depeche Mode si sono formati nel 1980. "Spirit" sarà il loro 24esimo album in studio. Foto: Anton Corbijn

I Depeche Mode si sono formati nel 1980. "Spirit" sarà il loro 24esimo album in studio. Foto: Anton Corbijn

«Benvenuti, abbiamo appena finito di mangiare», dicono Martin Gore e Andy Fletcher, seduti in una calda stanza di un hotel di Milano. La città è stata scelta dalla band per dare un annuncio a sorpresa: c’è un nuovo album in arrivo, Spirit, nella prossima primavera. E, chiaramente, c’è anche un tour in ballo, che toccherà l’Italia in tre date a giugno.

Sono chiacchieroni e felici di essere in Italia. Lo dicono con sincerità, visto che definiscono Londra «un po’ noiosa ormai», anche perché ormai hanno cambiato abitudini: «siamo molto più sobri, non facciamo più festa come prima. Tutti dicono che il backstage party è sempre più importante del concerto. Diciamo che ora ci dedichiamo al 100% a quello che succede sul palco».

Sono passati quattro anni da Delta Machine, dopo il quale la band si è presa un periodo di respiro per godersi anche un po’ di libertà. Quando i pezzi hanno iniziato a maturare, ha chiamato James Ford (ovvero il produttore di Arctic Monkeys, Florence + the Machine, oltre ad essere metà di Simian Mobile Disco) a guidare la macchina verso Spirit.

Siamo classe operaia, in fondo. Dobbiamo avere un boss!

«Non è molto difficile per noi riprendere in mano il lavoro», dice Gore. «Quando finisce un tour ci separiamo sempre, viviamo in luoghi diversi del mondo, non ci parliamo neanche troppo l’uno con l’altro. Poi io ricomincio a scrivere, Dave ricomincia a scrivere e quando abbiamo abbastanza materiale facciamo un meeting. Questa volta abbiamo scelto James Ford che ci ha aiutato a stendere un calendario».

«James è molto bravo, lavora molto velocemente», prosegue Fletch. «Siamo noi che siamo lenti. Abbiamo ascoltato i suoi album e anche se sono di generi diversissimi hanno tutto un ottimo sound. È interessante il fatto che sia un produttore rock ma faccia parte di un duo elettronico». Ma davvero ai Depeche serve ancora un produttore? Non hanno imparato a fare da soli ormai? «Siamo classe operaia, in fondo. Dobbiamo avere un boss!», ride Fletch. Un’altra cosa che non faranno mai da soli è la parte visuale, visto il legame storico che li lega ad Anton Corbijn, che non esitano a definire un «genio».

L’argomento del giorno è il Nobel a Bob Dylan. «Sicuramente lui è felicissimo», scherza Fletcher. «Tutti i musicisti hanno avuto influenze da Dylan», più serio, Gore. «Qualsiasi genere è stato influenzato dal suo lavoro».

Il mega tour (per ora europeo, ma sicuramente ci saranno tappe anche in America e in altre zone del mondo) è un momento fondamentale per ogni band. È vero che i soldi arrivano principalmente da lì, che non si vendono più album eccetera eccetera? «Per molte band è così», ammette Fletch. «Ma noi siamo abbastanza famosi da vendere dischi in tutto il mondo. Album e tour sono due metà ugualmente importanti della nostra carriera. All’inizio, essendo una band elettronica, è stato importante far vedere al mondo che potevamo essere divertenti e coinvolgenti dal vivo». Soprattutto nell’est Europa, per la quale la band ha sempre avuto un occhio di riguardo. «Abbiamo girato per anni senza guadagnare niente», ricordano. «Ora ci prendiamo le nostre rivincite, siamo famosissimi da quelle parti, più di altre band».

L’inizio, per i Depeche Mode, vuol dire 36 anni fa. No streaming, quindi, ma anche no cellulari, no internet, no social. Com’è cambiato il mondo? «Siamo fortunati», dice Fletch. «I social ci aiutano a raggiungere i più giovani. Lo notiamo dal vivo, quando in prima fila ci sono i ragazzi e dietro quelli più adulti. È un grande risultato. Ma non ci sforziamo troppo… we don’t twitter…(tweet, lo corregge Gore, nda) ogni secondo». Ed è un grande risultato anche perché i giovani sono abituati ormai ad altro. Per fare un discorso da “anziani bacchettoni”, a dj armati di laptop che suonano davanti a folle incredibili. «Lo trovo strano!», dice Gore. «Un tizio con un laptop che occupa un palco intero, in un’arena o in uno stadio. Credo non capiscano quanto siano fortunati!».

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