Torna dopo sette anni con un disco e forse, visti gli argomenti che affronta, anche questo numero non è casuale. In molte culture il 7 indica la completezza: sette sono le virtù, sette i vizi capitali, sette gli attributi fondamentali di Allah, sette gli dèi della felicità nel buddhismo e nello shintoismo, sette i doni dello Spirito Santo nel cristianesimo (come i sacramenti), sette le divinità mitologiche della Cabala ebraica, sette i Rishi (i saggi) nell’induismo, e potremmo continuare a lungo. Se poi l’album in questione si intitola Anima Mundi, dal termine filosofico usato dai platonici per indicare la vitalità della natura nella sua totalità in un unico organismo vivente, tutto sembra incastrarsi.
Così Dolcenera sforna 13 brani (un numero legato a rinascita e cambiamento, ma qui chiudiamo con la numerologia) che nell’insieme rappresentano il suo progetto discografico più “sociale”. E su composizioni dalle mille influenze – dal cantautorato alla word music alla trap – scorrono temi come la crisi del sistema economico, le diseguaglianze, l’immigrazione e il rischio omologazione. Un disco coraggioso, fuori dagli schemi (e dagli algoritmi), che si muove tra apocalisse e speranza, come canta in Mondo Take-Away, dove però è impossibile provare sconforto grazie alla sua magnetica voce dalle venature soul e un innato atteggiamento rock.
Anticipato dal singolo Lo-Fi, che parte da una frase girl power per poi triturare i tic di chi usa i social credendosi “influente”, rappresenta le consapevolezze ultime di Dolcenera (per ora) senza ammiccare al mercato. Anche per questo, ha spiegato, non ha aspettative se non quella della condivisione con chi saprà apprezzarlo. E arrivata ai vent’anni di carriera, finalmente si sente un sex symbol («per la personalità») ma non ancora una star, perché la aiuta a rimanere connessa con l’anima del mondo come qualsiasi «essere umano».
Sono passati sette anni e torni con un disco, Anima Mundi, come mai proprio adesso?
Perché rappresenta la mia vitalità di questo periodo, la parte energetica che si alterna a quella cervellotica, più intellettuale, o che potrei definire anche un po’ segaiola. Sono dentro di me e nella musica che scrivo. È un album pieno di vita, un inno che nasce dalla constatazione di diverse problematiche. Dalla presa di coscienza del lato oscuro di questo mondo.
La critica sociale contenuta in questi brani è subito evidente già dal primo singolo uscito lo scorso 2 dicembre, Lo-Fi, quando canti “Chi mette in mostra i guai è commovente / chi posta dal bidet è influencer / sesso politica e trap / sesso politica e pop”.
In questo mondo tutte le anime sono collegate all’anima della terra insieme agli esseri viventi in una armonia che a volte sembra disarmonica. Nelle differenze dei vari esseri umani ci può stare che una realtà non la si accetti, ma dipende come lo fai, appunto. E certe cose possono non piacermi.
Per esempio?
Come una certa politica, gli estremismi a cui siamo arrivati negli ultimi anni, che dipendono anche dalla comunicazione attuale. Ci sono cose che mi fanno schifo, ma in ogni ambito dipende da come uno effettivamente si comporta. È una questione di stile e di motivazioni.
E gli influencer ti piacciono?
Sono frutto della nostra epoca tecnologico-digitale. Un’epoca che tende all’omologazione, dove se una cosa funziona tutti vogliono copiarla. In molti pensano di saper fare gli influencer, ma solo alcuni hanno quella dote lì. Quindi non puoi postare foto dal bidet e sentirti influente. Anche nei nuovi mestieri bisogna avere un talento per emergere. Non tutti sono Chiara Ferragni.
Si può dire che questo in generale è il tuo disco più politico?
Lo definirei il più sociale. L’ho scritto in un periodo di grande euforia, contiene moltissima allegria, e non mi era mai successo. Però contiene anche tanta consapevolezza da parte di una donna della mia età, che arrivata a 45 anni e con il mio carattere e il mio modo di sentire cervellotico va alla ricerca di grandi temi. Mi sono interessata alle grandi storie. Sarà l’età che avanza…
È arrivata la maturità.
Quando sei giovane vedi solo il tuo orticello e ti senti invincibile. Poi arriva il momento in cui non sei più un adolescente e il senso di onnipotenza scompare, per cui anche il tuo percorso diventa imprescindibilmente connesso con certi temi macro-sociali. Già in passato nelle mie canzoni si vedevano i segni di questa trasformazione. Quando ho iniziato a pensare al mutuo e ho scritto Ci vediamo a casa, che parla delle difficoltà nel 2011 di avere un mutuo dalle banche. Oppure della violenza sulle donne che ho affrontato nel secondo album, così come la pedofilia nel terzo. Però Anima Mundi è sicuramente un disco ancora più sociale rispetto agli altri.
In Piena di vita canti: “È dura la vita / dai tutto e per tutto e poi non ricevi quanto ti spetta”. Pensi di aver avuto dalla musica tutto ciò che ti spettava?
No, ma devo essere grata di aver avuto una vita fortunata. Va bene così, perché ho una grande spinta creativa, il corpo mi accompagna e ho la faccia di una ragazzina. Infondo mi sento 27 anni e probabilmente li ho, per cui posso ancora dare e ricevere tanto.
Ti senti un sex symbol?
Dentro di me non mi rendo conto, ma se mi guardo dall’esterno lo sono. Come personalità penso di averlo dimostrato. Anche se quello che sono stata esteriormente, dai tagli di capelli al modo di vestirmi, lo devo alla musica. Perché ho cercato di essere in linea con quello che scrivevo.
Come va invece il tuo rapporto con gli algoritmi?
Di merda! Perché io voglio essere sorpresa. Dalla musica agli sport, ho provato di tutto perché voglio avere passioni nuove. E invece l’algoritmo mi propone sempre le stesse cose e quindi va contro il mio modo di essere. L’altro giorno ho notato su Netflix la funzione “sorprendimi”. L’ho provata e cosa fa? Prova a propormi cose nuove, ma non mi ha sorpresa neanche un po’. Gli algoritmi non sono realistici. Mi capita di guardare qualcosa che mi piace, provo qualcosa di simile e non c’è un cazzo che mi piace! Per cui è assolutamente fallibile. Io ascolto ancora la radio…
Qui sei un po’ boomer.
Può essere, ma io voglio qualcosa che non mi aspetto e che non trovo dal mio profilo sulle piattaforme. Infatti Spotify cerco di ingannarlo in ogni modo, ormai non sa più cosa propormi.
Secondo te i giovani musicisti sono un po’ schiavi degli algoritmi?
Ho visto la pubblicità di un’auto che diceva: «Ciao, sono il tuo algoritmo». Eh no, dai! Ma conosco diversi ragazzi che vanno a cercarsi cose non previste. C’è la volontà in alcuni di non fermarsi all’ovvio e mi fa ben sperare che l’umanità sia divisa tra chi subisce passivamente e chi cerca.
A un discografico che consiglio daresti?
Di provare a mediare tra le linee guida che gli arrivano dalla casa madre e che impongono guadagni facili con prodotti che assomigliano ad altri di successo, quindi che inducono all’omologazione, e la nostra coscienza storico-musicale. I discografici se lo devono ricordare cos’è successo nella musica, invece spesso se ne dimenticano. La musica ha avuto degli slanci quando è emerso qualcuno che prima non c’era e che quindi ha cambiato la moda. Ne ho parlato con uno di loro.
E cosa ti ha detto?
Gli ho chiesto quando in passato ci sono stati momenti che somigliavano a quello attuale e lui mi ha risposto negli anni ’70, quando tutti gli artisti di successo, tra band e solisti, sono stati spazzati via dai cantautori che hanno fatto tabula rasa di tutto quello che c’era prima. La memoria storica è importante, perché ti aiuta a vivere meglio il presente senza i paraocchi.
Se iniziasse oggi, una come Dolcenera potrebbe avere la stessa carriera?
Forse un altro tipo di Dolcenera sì, quella attuale non credo. I ragazzi di oggi hanno la sensazione che tutto durerà poco, infatti vivono in una realtà usa e getta. E loro ne sono ben consapevoli. Tutto ciò li limita nell’avere un sogno e un po’ mi dispiace.
Quindi è anche difficile rischiare.
Sì, anche se qualcuno c’è che fa la differenza, come i Måneskin. A Sanremo sono andati con quel pezzo, Zitti e buoni, e non hanno rischiato, di più. Sono stati totalmente folli. Sembra che abbiano detto: se dobbiamo morire vogliamo farlo come diciamo noi. E hanno fatto bene!
I Måneskin ti piacciono?
Mi piace la cazzutaggine con cui hanno fatto certe scelte.
Se domani ti chiamassero per collaborare cosa gli proporresti?
Li farei virare sul prog. Non hanno le tastiere, ma potrei pensarci io. In America è un genere che gli abbiamo insegnato noi italiani, per cui è qualcosa che potrebbe ancora funzionare, soprattutto conoscendo la Pfm o il Banco del Mutuo Soccorso che hanno fatto la storia.
È da un po’ che nella lista dei big di Sanremo non vediamo Dolcenera.
Adesso non ci penso. Cinque volte in vent’anni fa capire il mio rapporto con Sanremo.
Ti senti femminista?
Bisogna ancora essere femministe nel mondo attuale, ma anelo il momento in cui non sarà più necessario esserlo, perché vorrà dire che non ce ne sarà più bisogno. Se ascoltate con attenzione come parte Lo-Fi dico: “Che detto da una donna non vale molto, ma da una donna che ti mette al mondo…”. Punto! Se non è femminista questo… La canzone poteva anche finire lì.
Una donna dovrebbe farsi chiamare il presidente o la presidente?
Cerco di andare più alla sostanza, questi giochini li lascio ad altri. Per me è la presidente. Non è importante che sia così, ma è normale. Se una è femmina è femmina!
In definitiva, cosa ti aspetti da Anima Mundi?
Guarda, mi ero un po’ disaffezionata agli album. Infatti questo disco contiene sette singoli già usciti. Negli ultimi anni c’è la tendenza a uscire solo con i singoli visto che non frega niente a nessuno degli album sull’onda di Spotify. Poi è cambiata di nuovo la realtà, forse anche le linee guida, ma non è che mi sia adeguata, ho semplicemente pensato di dare un compimento a un percorso personale. Non mi aspetto niente da Anima Mundi, visto che l’idea di un pensiero filosofico, che era dei cantautori, in me è stato disilluso. Spero che alcune persone lo apprezzino, mentre altre no.
Così tanto entusiasmo nel realizzarlo e così poche aspettative dopo l’uscita?
Perché il discorso che si compie in un album e la filosofia che lo compone vanno contro questa realtà dove i discorsi complessi vengono messi da parte. Se sei costretto a scrivere un tweet di 140 caratteri non puoi esprimere un concetto su cui pensare, sennò induci la persona a leggerlo, rileggerlo, analizzarlo e intanto è passato del tempo e magari non l’ha neanche condiviso. La comunicazione di oggi è veloce ed estremista. Non bisogna riflettere, passano le cazzate qualunquiste, generaliste e sensazionalistiche. Ecco perché non mi aspetto niente. Ma so che ognuno di noi attira attorno a sé persone con le quali può condividere tante cose, per questo non sarò mai amica di un estremista. E l’unica prospettiva che mi rende felice è che molte persone possano avere la mia stessa visione, soprattutto le donne, e condividerla con loro.
C’è qualcosa che ti hanno già detto i tuoi fan dopo l’uscita del primo singolo?
Sì, qualche giorno fa messaggiavo con una mia fan su Instagram, che non mi piace neanche chiamare fan, e con lei parlavo del titolo del disco Anima Mundi. Le ho detto che cercavo ancora questa condivisione col mondo e lei mi ha risposto: «Ma non la vedi? C’è già e l’hai creata tu». Sono rimasta spiazzata. E allora perché mi sento così sospesa nell’universo e ancora la cerco?
Perché sei un’artista?
O forse perché sono più un essere umano che una star.