Se i giovanissimi hikikomori cercano riparo dal mondo esterno chiusi nella loro cameretta, il producer “generazione Dogo” Don Joe si rintana ogni giorno nel suo studio di registrazione – visto dal nostro collegamento Zoom assomiglia a una navicella spaziale – isolandosi così da tante tendenze effimere del rap game, come ci racconta in questa intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo singolo, Hikikomori appunto. E proprio dal pezzo in questione, rappato da Niky Savage e Emis Killa, partiamo.
«Ho preferito come sempre mettere insieme artisti di generazioni diverse, uno non old school ma d’esperienza come Emis più uno della nuova scuola come Niky. Avevano già collaborato insieme in un progetto di Villabanks, ma per me è una coppia abbastanza inedita. Musicalmente sono stato ispirato dal momento, visto che era a ridosso di Halloween, creando un’atmosfera un po’ creepy col piano, con un arpeggio ipnotico».
Cerchi razionalmente di differenziare i progetti per quella che è la tua produzione storica, i Club Dogo, dagli altri?
Sì. L’essenza dei Dogo sta nella produzione superclassica, mentre questa è molto moderna. Mi piace anche sperimentare, nella mia carriera ho prodotto cose che vanno dal reggaeton alla trap.
Hikkikomori e il precedente singolo Istinto animale nascono in prospettiva di un album?
No, sto facendo delle smash hit. L’idea di fare un disco oggi non mi sconfinfera troppo, perché è molto impegnativo per un produttore fare sempre combinazioni giuste.
Mi chiedevo anche se non avessi mai cercato, al di là dei Dogo, di trovare una piccola cerchia di giovani rapper che rappresentasse la tua idea di musica. Come ad esempio ha fatto Night Skinny con Kid Yugi, Nerissima Serpe, Papa V e altri.
Quello di Night Skinny è un disco abbastanza riuscito, ha creato una crew di artisti, ma l’idea di avere lo stesso rapper su quattro cinque tracce non mi convince. De gustibus, a tanti piace, ma preferisco lavori più diversificati.
Nell’affollatissima scena di oggi chi ti piace di più?
Mi piacerebbe collaborare di nuovo con Kid Yugi e apprezzo molto Tony Boy – ha una bella penna – e la combinazione Nerissima Serpe-Papa V.
Il tuo collega Jake La Furia ha detto che ultimamente c’è in giro troppa trap. Sei d’accordo?
È un fenomeno che sta piacendo alle nuove generazioni, non mi ascolto un disco intero di musica trap, quasi sempre è troppo ripetitivo a livello di sound e di tematiche dei testi, con poche idee. Però ci sono singoli che funzionano: faccio anche il dj, quindi delle volte cerco il banger da mettere nei locali, e alcuni pezzi trap servono a quello.
Che bilancio fai di questo ritorno live dei Dogo, dopo dieci Forum sold out e San Siro?
Non la definisco una reunion perché il gruppo non si è mai sciolto, siamo tornati a lavorare di nuovo insieme e ne è scaturita una bomba atomica che neanche noi siamo riusciti a gestire all’inizio. Di questa esperienza la cosa più bella che mi porto dietro è l’entusiasmo delle nuove generazioni: sono venuti ai live, hanno comprato il disco e hanno promosso il nostro ritorno. Tanta attenzione non ce la appettavamo: in 15 minuti erano andate via le prevendite delle prime tre date del Forum!
E la reazione ai concerti come è stata?
Io guardo tutto il pubblico anche quando sto suonando e mi è sembrato di capire che tanti sono andati a riascoltarsi i dischi vecchi e sono arrivati ai live che erano preparatissimi. C’era un affiatamento incredibile, mi ricordava il nostro sold out storico al Rolling Stone anni fa. Dal palco non sembrava essere cambiato nulla rispetto al 2000.
Eppure sia il rap che Milano sono molto cambiati dagli anni 2000. In Hikkikomori rappa Emis Killa che è stato coinvolto, seppur tangenzialmente, nello scandalo dei rapporti tra curve calcistiche e criminalità organizzata…
Non voglio parlare per lui, ma in realtà chi più chi meno in tanti stanno dentro questo mondo andando semplicemente allo stadio, senza nessun altro scopo. La generazione dei ventenni di oggi è legata a stereotipi filoamericani molto più di noi, ostenta violenza nelle canzoni, ma sono pochissimi quelli che poi effettivamente fanno casino, che sono davvero legati alla strada. Il resto è emulazione.
Stereotipi emulati come il dissing di cui negli scorsi mesi è stata protagonista l’altra voce di Hikkikomori, Niky Savage, insieme a Fedez e Tony Effe.
Questo farsi la guerra, «quello è amico tuo, non vengo», mi pare una minchiata. Non la vedrei così tanto grossa come la fanno certi giornali.
Però i giornali hanno parlato solo di quello, di Fedez, degli insulti alla Ferragni…
Quella è una generazione che secondo me possiamo eliminare tranquillamente, possiamo tranquillamente far finta che non ci sia mai stata. Mi dispiace perché sono persone che conosco, ma è stato proprio un brutto momento per la società italiana: lui, lei, gli altri influencer hanno avuto fin troppo spazio.
Hanno inquinato l’aria del rap?
Ma perché Ferragni e Fedez dobbiamo definirli rap? Un conto è Tony Effe, ma Fedez aveva preso un’altra tangente, e poi ha tentato di tornare in maniera un po’ goffa.
Alcuni miei colleghi giornalisti, ma anche alcuni tuoi colleghi producer, dicono che l’hip hop è arrivato a un inevitabile momento di flessione, di stanca. Sei d’accordo?
È un ciclo per tutti i generi e i sottogeneri, perché il rap ormai possiamo definirlo un genere anche in Italia: i sottogeneri dopo un po’ stancano, la drill non la fa più nessuno, e così la Jersey Club, e molta trap ha rotto il cazzo. Invece il rap classico non stanca mai, perché alla base c’è un’idea di come produrre, di come scrivere i testi, di cosa scrivere nei testi, che è l’idea stessa di hip hop.
Riesci a vedere con la palla di vetro tempestata di diamanti del rap cosa succederà da qua ai prossimi due o tre anni?
Seguo anche tanti producer piccoli e stanno prendendo la strada del sampling anche all’interno delle produzioni trap: usano sample jazz e soul, c’è il ritorno della vocina pitchata. C’è molta più musica e non solo boom boom, il casino a effetto. Forse perché quel casino ha rotto le palle. I fenomeni che vanno oggi portano tanta melodia, penso ad Anna, a Tony Boy.
Hai detto che i Dogo non si sono mai sciolti. Avete in programma nuovi progetti insieme?
No, per il momento no. Siamo ancora un po’ rintronati dal tour, alla fine siamo quasi tutti over 40 e qualcuno sta vicino ai 50, io ad esempio. Le cose bisogna ragionarle bene, non si può fare d’istinto come da ragazzi.