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Dopo quarant’anni, è venuto il momento di scoprire gli Indochine

Nei Paesi francofoni sono delle star, in Italia una band di culto. Il cantante Nicola Sirkis racconta storia, drammi, avventure di una delle band francesi più famose della storia del pop. Come quando Serge Gainsbourg...

Foto: Harcourt

È il 1987. Sull’unico canale musicale italiano gira spesso il video di una giovane band francese. Il brano si intitola Les Tzars e le immagini mostrano una successione di personaggi politici, compresi un paio di dittatori, uno tedesco e l’altro di casa nostra. Il gruppo si chiama Indochine, ha già pubblicato quattro album e vanta un vasto seguito in Francia e nei Paesi francofoni, in Svezia e in Perù. Sembrano destinati a conquistare anche l’Italia e invece… nulla. La storia si ripete nel 2002 con l’album Paradize e il suo milione e mezzo di copie vendute. Nulla di nuovo. Neppure dopo una data a Milano nel 2015 e un singolo, lo scorso anno, con l’amica Asia Argento.

«Deve esserci qualcosa che non funziona, non so cosa dire. Secondo me c’erano i presupposti per avere successo anche in Italia, Paese che amo molto e dove mi piace viaggiare», ci racconta Nicola Sirkis, leader della band parigina, la cui storia inizia nel 1981 con il singolo L’aventurier che diventa subito una hit grazie alla sua chitarra in stile Shadows e il testo ispirato alle avventure di Bob Morane, eroe dei romanzi di Henri Vernes. Cambiano le formazioni, arrivano gli anni ’90 che non amano particolarmente i gruppi del decennio precedente, muore tragicamente Stephane Sirkis, chitarrista e fratello gemello di Nicola, ma gli Indochine resistono, anzi rinascono con Paradize. Lavorano con produttori come Gareth Jones (Depeche Mode, Nick Cave, Einstürzende Neubauten), girano video con Xavier Dolan, Richard Kern e Bouha Kazmi, collaborano con Brian Molko dei Placebo, Melissa Auf Der Maur o ancora Tom Smith degli Editors.

Quarant’anni sono praticamente una vita, racchiusa nei due volumi di Singles Collection 1981-2001 e 2001-2021. È questa, secondo te, la suddivisione giusta della storia degli Indochine?
Sì, c’è un primo atto che corrisponde alla nascita del gruppo, all’incoscienza e alla decadenza. È il periodo legato in gran parte alla formazione iniziale, fino a quando siamo poi rimasti io e mio fratello Stephane. Il secondo atto è invece quello della rinascita e di questi ultimi vent’anni che sono stati davvero incredibili, sia per il successo dei nostri dischi che per il vasto pubblico ai nostri concerti.

Cambieresti qualcosa di questi 40 anni?
Ho molti rimpianti e rimorsi, penso che averne aiuti anche ad andare avanti. Quello maggiore, ovviamente, è la scomparsa di mio fratello che non può vedere cosa sono oggi gli Indochine.

E di cosa sei maggiormente fiero di questi 40 anni?
Sono sicuramente contento di essere riuscito a cambiare la visione che la gente aveva degli Indochine. Non voglio dire di essere fiero delle mie canzoni, sarebbe presuntuoso, ma so di aver cambiato il parere di molte persone sulla band. Oggi gli Indochine sono rispettati.

Marguerite Duras, J. D. Salinger, Albert Cohen, i tuoi testi sono pieni di riferimenti letterari che non vengono mai abbastanza messi in rilievo dalla critica. Come giudichi l’evoluzione della tua scrittura in tutti questi anni?
Spero di essere migliorato (ride). Ho iniziato a essere molto contento dei miei testi a partire dal nostro quarto album 7000 Danses. In quel disco c’è la canzone Les Tzars di cui sono stato subito molto contento, sia per la scrittura che per il suo taglio politico. Quel disco e quel brano rappresentano davvero un notevole balzo in avanti della mia scrittura. Ancora oggi rimango sbalordito e sorpreso di come riesca a trovare temi per delle nuove canzoni. Ed è sempre più complicato. È nella letteratura che mi arricchisco e trovo ancora oggi molta della mia ispirazione. In un pezzo come Station 13, incluso nell’ultimo album (13, uscito nel 2018, nda), c’è molto di Rimbaud e di Una stagione all’inferno.

Nelle tue canzoni, da 3e sexe a College Boy, passando per Tomboy, hai spesso denunciato le discriminazioni di ogni tipo, soprattutto quelle sessuali e il bullismo. Anche se queste problematiche sono purtroppo sempre attuali, sei consapevole di aver un po’ smosso le cose?
Sono consapevole di aver potuto migliorare la quotidianità di alcune persone e non c’è un giorno in cui qualcuno non mi ringrazi per aver scritto quelle canzoni. In Francia, sono diventato un ambasciatore contro il bullismo nelle scuole, faccio dibattiti e incontri con studenti che sono stati vittime di questa piaga. Sì, sono cosciente di tutto questo ed è sempre molto bello incontrare una ragazza per strada che ti ringrazia per una canzone che l’ha aiutata a vivere al meglio la sua omosessualità e a essere fiera di se stessa.

Rifaresti il video di College Boy, girato da Xavier Dolan, e con il quale avete fatto molto discutere, anche a livello politico, per le immagini molto forti?
Sì, assolutamente. Quel video è incredibile ed è un peccato che la casa discografica in Italia non abbia fatto nulla all’epoca. Ma questo discorso vale anche per il singolo con Asia Argento (Gloria, nda) che secondo me poteva diventare un grosso successo. Asia, un anno fa, era la persona più amata e odiata d’Italia. Lei divide gli animi, paga caro il fatto di dire sempre quello che pensa. Avevamo una bella canzone e un video magnifico, ma la casa discografica non era probabilmente molto convinta. Ecco, tornando ai rimpianti, mi dispiace davvero non aver avuto successo in Italia. Amo il vostro Paese, amo visitarlo e sto infatti pensando di andare appena possibile sul lago di Como.

Hai mantenuto i contatti con Asia?
Sì, ci sentiamo spesso e ci vediamo anche. Quel duetto poteva davvero funzionare. Era da tanto tempo che volevo lavorare con lei.

A proposito di registi e visto che parliamo di best of, quale ricordo hai di Serge Gainsbourg e del video di Tes Yeux Noirs da lui girato nel 1986?
Un bel ricordo. Eravamo onorati del fatto che volesse lavorare con noi. Avevo adorato il suo film Je t’aime moi non plus e pensavo che fosse perfetto per la nostra canzone. Purtroppo non ha fatto assolutamente nulla di quello che speravo, realizzando il video più brutto degli Indochine, anche se rimane uno dei momenti più belli della mia esistenza: una settimana con lui, a cercare di farlo fumare meno, a comprargli dei chewing gum alla nicotina. Peccato solo per il risultato finale.

Cosa non ti piace di quel video?
Non capisco il perché di tutti quei bambini sui binari, di noi sul treno… Volevo una roba alla Je t’aime moi non plus, con una Jane Birkin dai capelli corti, un po’ androgina. Quando l’avevo rivisto due anni dopo, mi disse che aveva sbagliato e che era dispiaciuto. Aveva due versioni, questa e quella per la stampa in cui diceva che lo aveva fatto per i soldi.

La rinascita degli Indochine arriva con Paradize dove apri le porte del gruppo alle collaborazioni esterne. Ci sono quindi le scrittrice Ann Scott e Camille Laurens, musicisti francesi molto amati come Jean-Louis Murat, Gérard Manset e Mickey 3D. Eri l’unico membro della formazione iniziale e pensavi forse che fosse necessario avere un po’ di gente attorno a te?
Era necessario anche se non avrei mai creduto di avere contributi da tutte le persone da te citate. È veramente il disco della rinascita, con il coinvolgimento di artisti che mi appassionano. C’è anche l’arrivo di Oli De Sat, nuovo compagno di avventura negli Indochine. La cosa assurda è che dopo il grande successo di Paradize, le case discografiche hanno iniziato a proporci alcuni loro artisti per scriverci delle canzoni, cosa che sappiamo fare benissimo (sorride, nda).

Praticamente l’opposto di quanto accaduto nel 1990 con il brano Punishment Park che vedeva il featuring di una misteriosa Juliette…
Binoche (ride). È proprio questa la cosa incredibile. L’avevo adorata nel film Rosso sangue di Leos Carax ed era fantastico che accettasse di cantare in quel brano. Una volta registrato, il suo agente disse che forse non era buono per la sua carriera cantare con gli Indochine e quindi ci chiese di mettere solo il nome tra le note di copertina.

Foto: Eric Fougere/Corbis via Getty Images

Il prossimo anno festeggerete con un nuovo tour molto particolare…
Sì, sarà una bella celebrazione di questi 40 anni. Il palco sarà al centro dello stadio e tutto il pubblico avrà quindi una visione fantastica da ogni posizione. Un concerto deve essere un momento di comunione e non può avere come sugli aerei posti di prima e seconda classe. Per questo siamo sempre molto attenti anche ai prezzi dei biglietti. Per questo tour ci saranno inoltre un centinaio di posti per data in omaggio per chi ha lavorato durante il lockdown, dal personale medico fino ai lavoratori dei supermercati e a chi raccoglieva la spazzatura. È il minimo che possiamo fare per chi ci ha aiutato di più in quei mesi.

E dopo i 40 anni cosa ci sarà?
Non so se ci saranno i 50 anni ma di certo abbiamo voglia di fare un altro disco.

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