Io e Drillionaire siamo d’accordo: chi ama il calcio si divide tra i fan dei numeri 10 e quelli dei numeri 7. Lui, al secolo Diego Vincenzo Vettraino, che il suo primo album da produttore lo ha intitolato 10 s’è capito da che parte sta. «Il numero 7 lo vedo come il giocatore al servizio della squadra, quello sul cui assist perfetto puoi contare, e che sì, magari ti fa anche gol, ma lavora soprattutto con lucidità e precisione». Poi però, tu che vuoi difendere la categoria, gli tiri fuori un nome come quello di Eric-The King-Cantona, leggendario 7 del Manchester United, e Diego si illumina. Non solo: ti fa il contropiede. «Cantona» mi dice in collegamento Zoom dall’hotel di Catania, seconda tappa siciliana del tour che sta facendo con Lazza «volevo coinvolgerlo per il trailer di 10. Sognavo che finisse con le luci dello stadio che si spegnevano e Cantona che annunciava l’uscita del disco. Sarebbe stato pazzesco. Solo che è stato impossibile contattarlo, lui fa una vita totalmente diversa ora. Però avevo pensato a lui perché è stato l’essenza del genio e sregolatezza che amo del calcio. Ordine e follia».
Doti che anche Drillio deve maneggiare con giusta misura dato che nelle undici tracce che compongono l’album ci sono praticamente tutti i nomi che negli ultimi anni si sono avvicendati al numero uno delle classifiche: da Sfera Ebbasta a Marracash, da Lazza a thasup, passando per Guè, Anna, Blanco, Mahmood. Game, set, match, per citare i riferimenti tennistici dentro a Yalla, la traccia che vede Marra e Guè palleggiare, come sanno fare solo loro, tra riferimenti di cultura pop freschissimi in barre che sembrano scritte un attimo prima della pubblicazione. E appena uscito 10 s’è preso tutto, come da pronostico. Un disco nato per fare successo, con dentro i migliori nomi della scena rap e trap, e campionamenti storici della musica italiana. 10 lavora di intensità ma ha i colpi dei fantasisti, penso fra tutti a quello di thasup e Shiva insieme, di nuovo, in Upper.
Ma la vita di questo progetto muscolare e sornione non si esaurirà qui, o almeno così lascia intendere Diego, che non può parlarne e quindi si limita a dire che ci saranno nuove vite, che potrebbero avere anche a che fare con i palchi che per ora sta calcando con l’amico Lazza.
C’è una relazione tra il tuo chiamarti Diego e la passione-ossessione per il numero 10?
Certo, questo rapporto col numero 10 ha radici profonde. E sfido chiunque a contestare che il vero 10 leggendario sia Diego Armando Maradona. Il fantasista per eccellenza. Tradotto in termini musicali, il viaggio che mi ha portato a scegliere questo numero è proprio l’idea di lasciare campo libero a tutta la creatività del mondo, in modo a volte anche anarchico e fuori dalle regole.
La scena calcistica italiana non sta vivendo il suo periodo migliore, vedi anche i risultati delle nazionali, quella musicale musicale invece come la vedi?
Quando c’è saturazione in un ambiente, quello ne soffre. Quando tutti vogliono fare il calciatore, il rapper o il produttore si arriva inevitabilmente a un momento in cui sembra che la bolla stia per scoppiare. Però per quanto riguarda la musica di casa nostra credo che stiamo diventando sempre più forti, sempre più competitivi. Il calcio italiano è in un momento delicato, ma una frase che si dice sempre, e che però è vera, è che qui siamo sempre tutti allenatori. E quanto ci piace criticare. Le chiacchiere da bar, quelle dove ci si lagna e basta di quel giocatore, del mister, del presidente, non sono la mia cosa: a me piace motivare e spingere le persone a dare il meglio.
Di te si sa pochissimo: mi racconti quando hai capito che la capacità di far dare il massimo alle persone la potevi applicare alla musica?
L’ho capito nel momento più brutto della mia carriera calcistica. Dopo tanti anni di duro lavoro e di sacrifici, ero arrivato in serie B, ma poco dopo mi sono fatto molto male al ginocchio. Da lì è stato impossibile ricominciare nella stessa categoria, con le stesse promesse e prospettive. Ero molto destabilizzato e mi sono rifugiato nella musica. Lì ho trovato delle cose che mi facevano stare bene, anche quando sembrava che fosse tutto finito, morto. Mi ci sono aggrappato letteralmente con le unghie e i denti, ho cominciato a informarmi su tutte le cose utili per fare musica in maniera competitiva e mi sono salvato.
La passione per il rap l’avevi già?
Sì, da sempre, la folgorazione definitiva l’ho avuta quando uscì 8 Mile. Lì più dei momenti delle battle di freestyle mi gasava tantissimo la parte delle produzioni dei beat, nello specifico la base che mettono nella battle finale mi galvanizzava a mille. E quando anni dopo è arrivato quel momento di down generale nella mia vita, sono tornato a quella fonte di energia per trovare le forze per rialzarmi.
La svolta quando è arrivata?
Fa abbastanza ridere questa cosa. Succede che a un certo punto, copiando dai producer americani, creo una pagina Facebook con un sacco di mie basi messe in vendita. Ma a delle cifre ridicole: potevi acquistare per 20 euro una base disponibile a tutti, e per 50 una in esclusiva. Dopo un po’ di tempo decido di mandare il link della pagina a Lazza, che mi risponde: «Te li compro tutti». Rido ancora quando ci penso. Quella è stata la scintilla; da lì abbiamo iniziato a lavorare insieme senza mollarci più.
Parlando del lavoro di produttore, una volta Dardust ha detto che il proprio ego è la parte più difficile da maneggiare e per farlo bisogna essere, senza sbruffoneria, low profile: sei d’accordo?
Dipende. Se vai da DJ Khaled non ti direbbe mai una cosa del genere. Credo che ognuno debba avere una personale strategia per orchestrare tutto al meglio. Io personalmente, anche quando giocavo, se incappavo in un direttore sportivo troppo arrogante, che alzava troppo la voce, non lo ascoltavo. Ma lo stesso succedeva se mi trovavo di fronte ad una persona debole e senza carisma. Di conseguenza, al di là dei ragionamenti, la cosa migliore che puoi fare è startene zitto ed essere un leader dando l’esempio. Su di me ha mille volte più impatto vedere una persona fare le cose, mettercisi con dedizione, più che ascoltare un grande oratore.
Chi sono per te dei leader nel mondo della musica?
Sfera. Sfera è uno che non parla quasi mai, non fa chissà quante interviste, ma è sempre in studio, è sempre primo, fa sempre platini. Raga, è un esempio. Quel tipo di approccio mi ispira moltissimo. La stessa cosa vale Lazza e Marracash: gli artisti che ho nel mio disco sono dei numeri 10 per questo.
Tu che il disco lo firmi, hai messo dei limiti o dei paletti per quanto riguarda i testi o carta bianca per tutti?
Sui testi non mi sento di andare a snaturare le persone, anche perché la musica ti prende quando ti arriva nelle orecchie il flusso vero di chi l’ha scritta. Questa naturalezza se la interrompi o la modifichi troppo, si sente, e la gente lo percepisce. Come gli artisti si fidano tanto del mio ruolo, che è fare produzione, scegliere i suoni, fare mix e master, io faccio altrettanto, perché il loro mestiere di certo lo sanno fare molto meglio di me.
Qual è il consiglio migliore che hai ricevuto?
Il migliore che ho ricevuto è stato da parte di Charlie Charles. Quando ho smesso di giocare a calcio per fare musica, nel mentre lavoravo come meccanico. Era a cavallo tra il 2018 e il 2019. Avevo investito quel poco che mi era rimasto nel mio studio, ma per sostenere il progetto alla mattina mi alzavo alle 5 per andare in cantiere, tornavo al pomeriggio e, stanco morto, andavo in studio per creare le basi che avrei dato la sera stessa agli artisti. Charlie un giorno mi ha preso e mi ha detto: «Tu devi mollare il lavoro e fare musica tutto il giorno, tutti i giorni». Ma io avevo paura. La musica all’inizio ti spaventa perché, sai, non è che hai uno stipendio fisso com’ero stato abituato fino a quel momento. Devi lavorare tanto e dopo tanto tempo inizi a vedere i primi soldi. Non è stato facile, ma, di nuovo, è stato un discorso di fiducia: se me lo ha detto Charlie, che ha fatto quello che ha fatto, allora gli devo credere.
E quello che hai dato?
Penso di averlo dato a Tony Effe, spero possa essere d’accordo con me. Con Tony stiamo costruendo un percorso, il suo è uno dei progetti di cui sono più fiero perché se è vero che dai social può sembrare una persona, non so come dire… forte, molto sicura di sé, in realtà è un ragazzo che ascolta molto, che si sa mettere in gioco e anche in discussione e che quando deve lavorare ai dischi ti dà retta quando gli dici di provare ad aprirsi e ad uscire dalla propria zona di comfort.
Quanto è dura per artisti così grossi accettare dei consigli?
Parecchio. Ma anche darli, eh, perché poi se le cose non funzionano, ovviamente se la prendono con te. Devi essere molto convinto dei consigli che dai, e non è semplice.
Mi racconti come mai hai deciso di far rifare a Sfera 50 Special, tu che sei più giovane della generazione che ha vissuto il successo dei Lunapop?
Il fatto che in Italia i produttori quando devono campionare un pezzo, pescano dall’estero, mentre all’estero usano la loro roba e spaccano. Noi in Italia non abbiamo nulla da invidiare a nessuno, se peschi dal passato c’è un mare infinito di canzoni incredibili e di artisti giganteschi che se vai a campionare con gusto e cura, ti danno indietro oro. Deve finire sta cosa di giocare a fare l’americano. Sicuramente mi cimenterò ancora in ’sta cosa, voglio in qualche modo rendere giustizia a dei capolavori del passato che magari i pischelli di oggi non conoscono.
Satisfaction di Benny Benassi in 10 è diventata Fashion, con Anna, Lazza e Tony Effe.
Ragazzi, ma di cosa stiamo parlando: quando uscì Satisfaction, e io ero praticamente ancora un bambino, rimasi ipnotizzato. La figata di queste idee, poi, è che devi andare a chiedere il permesso a questi artisti prima di poter usare la loro musica. Io con Benny Benassi ci ho parlato, oggi ci sentiamo e mi rende fiero che si sia preso strabene per la traccia. Con Cesare Cremonini siamo andati a parlare di persona prima di avere l’ok per 50 Special, e Cesare Cremonini è un’icona della musica italiana, non era detto che avrebbe accettato. Invece sì e a chi critica dico: andateci voi da Cremonini a farvi dire di sì. Provateci voi. Queste sono le vere figate.
Per le future collaborazioni, invece, guardi oltreoceano?
Sarei bugiardo a dire di no. Ma quella è un’altra storia, e, come per il tour di 10, ho la bocca cucita. Ancora per un po’.
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