Era il 2010, mancavano pochi mesi al lancio di una nuova app chiamata Instagram e Earl Sweatshirt debuttava con un video che sembrava venire fuori dal nulla e che lanciava la carriera di quei matti iconoclasti degli Odd Future. Il video di Earl aveva l’energia d’un film di Harmony Korine, con un più la sensibilità emotiva necessaria per far entrare il collettivo nel mainstream. Mica male per uno come Earl, vero nome Thebe Kgositsile, che all’epoca aveva appena 16 anni.
Ne è nata subito una grande popolarità e con essa un’ondata di polemiche online rivolte alla madre del rapper dopo che si è saputo che Earl era stato mandato in collegio nelle Samoa. «È lì che ho capito che alla gente piace gettarti merda addosso», dice il rapper che ora ha 27 anni ed è diventato padre. «Facevo interviste e persone che non avevo mai incontrato in vita mia dicevano: nah, non è da lui».
Con Sick!, il nuovo album in uscita il 14 gennaio, vuole aprire un nuovo capitolo nella sua carriera dopo un decennio di musica. «Ha a che vedere coi cicli di 10», dice in collegamento su Zoom. «C’è un numero limitato di cose che possono succedere tra 1 e 10. C’è bisogno di ripartire ogni volta, non so se mi spiego».
Come ti sei approcciato a questo nuovo disco?
Un po’ ero scettico. Mmm, sono anche scettico di me adesso che dico che ero scettico. Forse perché non è la parola giusta. Diciamo che avevo un obiettivo: trovarmi a metà strada con altra gente.
In che senso?
Non avevo intenzione di rifare sempre le stesse cose, perciò ho cancellato un disco di 19 tracce che avevo.
Perché era troppo simile a quel che avevi già fatto?
Esatto. Rappavo, rappavo e rappavo, in ogni maledetta canzone. Ma per me il punto è sempre valutare le cose in base alla verità, capisci no? Qualunque essa sia. Il disco a cui stavo lavorando aveva un’energia positiva, ma era un po’ grossolano. Sembrava una campagna elettorale, tipo per la carica di sindaco.
E quello nuovo? Perché è migliore?
Perché dentro c’è la mia vita. È roba tosta.
Per un pezzo non ti si è visto. Come riassumeresti i tuoi ultimi anni di vita?
Oh bro. Ora un figlio ed è intelligente e bello forte. Manco te lo spiego che significa essere padre. Mi ha fatto conoscere emozioni che neanche sapevo esistessero.
Il primo singolo tratto dal disco è 2010. Quando sei diventato padre ti sono venuti in mente i momenti in cui hanno attaccato tua madre?
Sì. Avere un figlio significa fare i conti con te stesso. Il tuo compito è proteggerlo e quindi cominci a essere più onesto con te stesso, ti tocca farlo. È roba grossa ed è un processo ancora in corso. Sto ancora imparando.
Mi ha colpito il fatto che 2010 si apre con la medesima urgenza di Earl. Cos’è cambiato dal 2010 a oggi a tuo modo di vedere?
Mi pare di avere finito quel che avevo iniziato. Some Rap Songs era tipo la fine di un capitolo, Feet of Clay era l’epilogo, davvero era la chiusura di un cerchio. La cosa di mia madre ha aperto una ferita. Era una cosa pubblica, dovevo chiuderla con un atto pubblico. Ecco perché ho fatto quell’intervista con mia madre. Niente di terapeutico, era una cosa simbolica, sai, stare lì al suo fianco di fronte a tutti, far capire che le voglio bene, far capire com’è la nostra relazione. Ha chiuso un capitolo doloroso aperto dalla gente che l’ha infangata.
Con quanto senso di colpa ci si confronta quando la propria vita familiare diventa di pubblico dominio?
Mi sono sentito in colpa finché non ho deciso di fare qualcosa per fermare quella merda. Parlo di un processo durato otto, nove cazzo di anni. L’ho fatto per avere qualcosa di cui essere orgoglioso, credo di avere lasciato un po’ di briciole da seguire per altri neri. È questo il senso di quel che ho fatto. I neri stanno capendo i limiti di un’estetica. Non voglio entrare nello specifico, ma se sei sveglio capisci quello che sto dicendo. Un’estetica è un’estetica finché non devi affrontare la vita vera.
Le tue riflessioni sulla paternità sono entrate nel disco?
Parecchio, anche se non c’è un pezzo dedicato a mio figlio. Non starò qui a mentirti, fratello. La mia età adulta è iniziata in modo strano. Da ragazzo, e quando me ne sono andato, ho dovuto lottare per me stesso, per avere una mia voce, ero il tipo di nero con problemi di autostima eccetera. Ho combattuto duramente per avere voce. Mi dovevo spingere da solo a dire anche solo: «Yo, ho fame». È stato un corso intensivo, ma ora quella roba non mi riguarda più. Voglio fare in modo che la persona che impara da me non impari un mucchio di stronzate. La pratica del sacrificio.
Non so se l’hai visto, ma su YouTube su sono varie compilation di tuoi pezzi inediti. Sembra quasi un culto sotterraneo.
Si tratta di libertà, bro. È ok avere canzoni che fai solo dal vivo. Le faccio e la gente lo sa. Si tratta di creare della magia, la tua magia, capisci? Se avessi pubblicato quei pezzi la gente avrebbe detto: «Mmm, il mix è così così, non mi piacciono le frequenze alte» o altre cose che ammazzano la magia. E invece adesso è: «Questa roba la senti solo in concerto». Magia. La gente lo capisce. Giuro su dio, amico, questa roba è tutto per me. È quello in cui faccio la differenza. Dico la magia. Io ci vivo per quello. Sono piccole cose che finiscono per fare tutta la differenza nel mondo.
Ho come l’impressione che tu abbia evitato intenzionalmente troppa fama. È stata una scelta di cui sei contento?
Assolutamente sì. C’è una parte di me che apprezza questo genere di cose, la scienza degli alti e dei bassi, come funzionano le cose. Ci dev’essere una disciplina che spiega le forze che ti portno velocemente in alto, il fatto che sotto ci sia tanto spazio e salendo ce ne sia sempre meno, in modo che tu possa facilmente cadere di sotto.
Sembra intuitivo.
È quel che dico, fratello, è la natura delle cose. Non puoi evitarlo. Perciò quando sali devi farlo in modo equilibrato. Che poi è il motivo per cui la gente che entra nel rap game a 28 o 30 anni è diversa da quelli più giovani, no? L’adult rap è tipo un genere a parte. Valee era un uomo fatto e finito quando si è imposto, uno col suo gusto preciso, eccetera. Parlo di uno che rappava di carburatori, capisci? È roba interessante, ha qualcosa da dire. Jay-Z è scoppiato a 28 anni. Molta gente sale alla ribalta con un carattere già formato. E vogliamo parlare della differenza tra i 27, 28 anni e i cazzo di 16 o 17 anni? Cazzo, è immensa.
Come vedi il tuo futuro? Come ti immagini fra 10 anni?
Wow. Sai cosa? Se va tutto per il verso giusto, fra 10 anni vivrò in una fattoria, perché la musica è figa, chiaro, ma sono uno che deve mettere le mani su qualcosa di concreto. Ne parlavo con una persona. L’idea è che la tecnologia finirà per riportare la gente alla terra. In città costa tutto troppo. Chi non ha la grana viene spinto ai margini. Mi pare che attorno a questo figlio di puttana qua davanti a te si creerà una qualche comunità.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.