Delicatoni: morbidamente, elettronicamente, jazzamente vostri | Rolling Stone Italia
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Delicatoni: morbidamente, elettronicamente, jazzamente vostri

La band vicentina ha pubblicato ‘Delicatronic’, un disco tra elettronica jazzata e space pop che vuole far ballare (al Panorama Bar), innamorare, riflettere. La cura e la pazienza che devi mettere nelle che ti piacciono, le commistioni stilistiche, l’essere outsider, l’aggregazione: l’intervista

Delicatoni: morbidamente, elettronicamente, jazzamente vostri

I Delicatoni

Foto: Alessandro Timpanaro

I Delicatoni sono un mostro con tantissime teste: sono quattro, hanno gusti diversi, background altrettanto differenti e aspirazioni ancora da definire. Fanno musica per il motivo più vecchio del mondo: divertirsi, ma soprattutto stare insieme. Dopo quattro anni sulla scena italiana in cui hanno esplorato le sfumature del synth pop, del jazz, del soul attraverso due EP e un disco omonimo, hanno deciso di lasciare spazio alla loro anima disco e uptempo per farci ballare, e riflettere. Sul cosa voglia dire l’aggregazione oggi, l’amore inteso come cura e pazienza, e viaggiare dentro le emozioni universali della vita. Tutto questo è contenuto in Delicatronic, il loro nuovo album, in uscita oggi e che li vedrà in tour dal 31 gennaio al 3 marzo a Milano, Torino, Roma, Bologna e altre città della penisola.

Li abbiamo incontrati mentre andavano in aeroporto, ma invece di prendere una Rustichella in autogrill, ci siamo fermati a parlare di jazz, politica e club con i soffitti che sudano.

Nel disco c’è tanta elettronica, come non se ne sentiva da un po’ nei dischi indie italiani. Cosa avete ascoltato mentre preparavate Delicatronic?
Claudio: Ricordo quando siamo entrati nella Casa degli Artisti a Milano ed ho scoperto Connan Mockasin, che mi ha influenzato in particolare per un brano. In quel periodo abbiamo ascoltato tanto i Daft Punk, i Gorillaz.
Giorgio: Arthur Russell è stato un grande esempio per tante cose, ma anche gli Air, Damon Albarn e Pop X.

Avevate ognuno i suoi ascolti o c’era un mood comune?
Giorgio
: Come ascolti siamo tendenzialmente molto diversi l’uno dall’altro, però ci siamo consigliati a vicenda e ci fidiamo tra di noi.

Si percepisce una certa vena magica, potremmo dire quasi spirituale, tra i pezzi. Non tanto perché Delicatronic suoni come un disco psichedelico, ma perché il risultato finale sembra un paesaggio sonoro ludico in cui lasciarsi andare senza pensare troppo. Potremmo dire che più che su un genere avete voluto concentrarvi su una sensazione da lasciare a chi ascolta?
Claudio
: Direi che molto di questo disco è ispirato alla dance music o alla disco, a tutta quella musica che permette di creare degli spazi dove si accende il ballo. Abbiamo cercato di creare dei momenti più dilatati rispetto a prima, magari concentrandoci più sulla ritmica, sulla “ballabilità”.
Antonio: Effettivamente è vero, c’è una fuga dalla realtà anche perché questo album è stato fatto nella nostra stanza, ognuno in solitudine, ed è stato composto in un momento in cui avevamo bisogno di scappare dalla routine, o meglio di addolcirla con una soundtrack. Passo dopo passo, ad esempio, è un po’ vedere la città di sempre con gli occhi nuovi di un bambino.

Io l’ho letto come un disco fondamentalmente sull’amore. L’amore per gli amici, l’amore per musica, l’amore romantico, l’amore per certi luoghi – fisici o mentali – che sono solo nostri. Volevo capire se per voi è stato un tema oppure no, quello dell’amore, o è una lettura a posteriori che sto dando io.
Giorgio
: Secondo me è una cosa che emerge molto dall’approccio che cerchiamo di avere sempre di più sia con i testi che con la musica, e di conseguenza anche nella vita. È questo approccio, appunto, delicato. Per noi nella delicatezza emerge l’amore che si ha verso le cose. Vuol dire essere calmi, attenti, non pre-giudicanti, pronti ad accogliere cose che non ci si aspettava, cercare la dimensione affettiva verso le esistenze in generale, invece che lo scontro. E quindi, più che sull’amore, è proprio un disco sulla delicatezza. Non volevamo puntare sull’amore in sé, ma sul processo con cui si arriva all’amore.
Claudio: Sì, per noi l’amore è relativo a tutto il processo. È una riflessione sul cosmo, sull’esistenza. C’è una forza che muove tutto questo progetto dall’interno, che può essere l’amore tra noi quattro, l’amore verso le persone con cui condividiamo la musica, la cura che mettiamo nelle cose e la pazienza nell’analisi. E nel momento in cui fai con un po’ di cura e pazienza le cose che ti piacciono, le fai con amore. Anche quando si parla di malessere nelle canzoni, evitiamo di contemplare la cosa brutta in sé e preferiamo concentrarci sulla contemplazione del processo e sulle sensazioni vissute. Per noi amore è anche saper valutare i tuoi tempi di reazione prima che si diventi un po’ problematici. Ci sono emozioni che si travestono da amore, ma alla fine si rivelano emozioni forti e basta.

Delicatoni - Passo Dopo Passo (Video Ufficiale)

Avete prodotto l’album lungo un arco di tempo importante, senza fretta, coinvolgendo tanti amici italiani e internazionali. Da cosa è nata questa esigenza di prendersi del tempo? Sentivate che il vostro percorso stava accelerando un po’ troppo?
Giorgio
: È stata una congiuntura non scelta. Di fatto ci siamo trovati nell’avere un sacco di tempo, perché ognuno voleva dare spazio alla propria vita, alla propria stabilità economica, alla propria formazione, ai propri affetti. Non è stato tutto tempo passato a lavorare al disco, ma ci sono stati lunghi periodi trascorsi a lavorare su se stessi e dopo ci siamo trovati facendo sessioni di almeno due settimane o di un mese intero in cui siamo stati tutto il giorno insieme. Ragionavamo su come far evolvere questo album tra vari ritardi e varie speranze, ma il tema economico spesso non ci ha permesso di fare musica tutti i giorni. È venuto fuori in modo molto spontaneo all’inizio, però poi c’è stato questo anno, anno e mezzo di tempo per affinarlo in cui sono successe un sacco di cose. Ad esempio tu parli di una sofferenza amorosa che emerge e paradossalmente è nata prima la canzone e dopo è arrivata la sofferenza, così come il desiderio di riunirsi con gli amici. Ed è incredibile come in quell’anno e mezzo siano successe tutte le cose di cui abbiamo parlato quasi con incoscienza.
Claudio: E poi è arrivata la concretezza dell’esistenza a farci vivere tutti quei sentimenti, quasi dovessimo maturare su un livello personale e spirituale per poterli tirare fuori. Mi rendo conto che è un discorso estremamente spirituale e cosmologico, però è andata così veramente. Anche La stessa cosa insieme parla proprio di un’unità quasi fantascientifica, quasi fosse tutto parte di un transformer. Eppure ci siamo trovati a paragonare la nostra vera vita a quella canzone: abbiamo tutti le stesse priorità nella vita, abbiamo tutte le stesse volontà, gli stessi desideri, siamo veramente la stessa cosa insieme?
Antonio: Sono state dei presagi tipo Nostradamus queste canzoni, le abbiamo scritte prima e vissute dopo. Magari facciamo una canzone su qualcuno che vince la lotteria.

O molto più probabilmente avete scritto delle canzoni su temi universali che prima o poi tutti si trovano a vivere.
Antonio
: Sì, è vero.

Prendersi del tempo per produrre musica oggi secondo me è non solo necessario per gli artisti, ma anche per gli ascoltatori. Qualche settimana fa abbiamo parlato su Rolling Stone di questo report di Music Radar da cui è emerso un dato impressionante: è uscita più musica in un solo giorno del 2024 che in tutto l’anno 1989. Credo che anche come ascoltatori sia sempre più difficile riuscire a focalizzarsi tra migliaia di canzoni, dischi, artisti. Produrre meno e meglio è quasi un dovere nei loro confronti. Cosa ne pensate?
Antonio
: Bisogna aver cura e non aver fretta di nessun tipo. Non è un problema se pubblichi tanto, secondo me, però non deve essere un obiettivo. L’importante è che non ci sia ingordigia perché sennò cosa stiamo facendo? Si tratta di arte, no? Alla fine è una cosa così concreta e astratta allo stesso tempo, mentre la sovra-produzione, la sovra-pubblicazione arrivano dalla necessità di monetizzare in tutti i modi questo tipo di arte. Chi pubblica migliaia di singoli, che paura ha di fare un album? Fallo, tanto chi lo ascolta, lo ascolta e gli piacerà per sempre, quella è la verità.
Giorgio: E anche gli ascoltatori è vero che sono in pericolo. Io stesso mi accorgo che ogni tanto sono superfan di artisti e poi scopro che hanno pubblicato due album in più di quelli che conoscevo io e me li sono persi nel marasma più profondo dell’internet.

Io credo che il rischio sia quello di disperdere completamente l’attenzione tra le cose rilevanti e le cose non rivelanti. Che mai come oggi è una distinzione fondamentale. A proposito di rilevanza, come avete scelto a chi dare spazio tra i featuring in un disco che attinge da così tanti generi diversi?
Giorgio
: Quello è stato un processo più semplice perché in realtà tutti i featuring che ci sono all’interno dell’album sono con persone vicine a noi per un per un tema di affettività. Ad esempio Nice Elevator è figlio della migliore amica della madre di Smilian, Lamante è sempre della scena vicentina e ci conosciamo da anni, Coquinati è un amicone di Anto e poi lo è diventato di tutti noi. Sono persone che abbiamo coinvolto perché noi stessi ci ispiriamo a loro. La voce di Giorgia (Lamante), ad esempio, è stata messa in Oh no perché c’era bisogno di qualcuno che riuscisse a esprimere una sorta di disagio e di rabbia senza però che lo facessimo noi perché le nostre voci erano troppo aggressive: in quel momento la sua era perfetta perché era aggressiva, ma esterna.
Antonio: Preferiamo persone con cui c’è affinità. È già faticoso fare musica, produrla fino alla fine, perciò è a maggior ragione importante che sia bello per noi.

Parlando ancora di generi, credo sia un momento molto positivo per la musica indie jazz/pop-jazz in Italia: Il Mago del Gelato, 72-Hour Post Fight, Coca Puma. Ci sono tantissimi artisti che stanno esplorando con diverse sfumature questo genere. Voi come vi ci siete approcciati? Quali sono i nomi che vi stanno ispirando?
Giorgio
: Guardando i nomi che hai fatto, secondo me siamo tutti di ispirazione jazzistica perché ormai il jazz è diventato uno dei caratteri fondanti anche della cultura europea. Noi abbiamo degli spazi improvvisativi, ma nessuno di noi è realmente jazz. Il jazz ti permette di avere una pista per andare al di là del conosciuto. È più un approccio, una contaminazione.

A me vengono in mente nomi europei come Alabaster De Plume e Nala Sinephro che dal jazz prendono più l’attitudine che l’output finale. Ma anche se guardiamo la musica pop in senso ampio, il far suonare insieme diverse velocità, diversi ritmi, diversi generi è molto contemporaneo oggi. Non so se c’è una scena a cui guardate nello specifico.
Claudio
: Tu dici una cosa molto interessante quando parli della commistione perché effettivamente il jazz è l’esempio perfetto di genere che nasce proprio da questo, armonia europea e sezione ritmica africana. Quel tipo di processo è quello che sta succedendo in tutti i generi, a partire dal crossover negli anni ’90, però adesso quello che sta succedendo veramente è che non esistono più barriere e il jazz più di tutti rappresenta l’assenza di barriere.
Antonio: Devo ammettere che per anni ho ascoltato la cloud music tipo Drake, Partynextdoor perché volevo imparare a usare Ableton, a fare delle drum, poi a un certo punto ho cominciato a ascoltare meglio quello che dicevano e ho detto: mamma mia, che persone di merda. Però sono sempre rimasto molto colpito da come gli americani fanno suonare le cose.
Giorgio: Anche Chet Faker è una cosa che in passato mi ha formato o Nicolás Jaar, ti direi tutta la scena dal 2010 al 2020. Miles Davis diceva che il primo ascoltatore è il musicista. Anche noi stessi siamo abituati ad essere in quattro, ma abbiamo anche una versione in sette, con tutti i collaboratori siamo una ventina e alla fine probabilmente la nostra influenza va dal Giappone di Sakamoto fino alla Francia degli Air fino ai nostri amici di cui ci fidiamo. Anche questa moltitudine è essere jazz.
Antonio: In Italia l’ascoltatore inizia ad apprezzare questo genere non tanto per il jazz in sé, quello col sassofono diciamo, ma per l’abitudine ad apprezzare la musica hip hop che ha avuto grande successo negli ultimi anni.

Il titolo contiene un po’ un omaggio a Cosmo o semplicemente esprimeva bene l’anima l’elettronica del disco?
Claudio
: Il nome Delicatronic è venuto da un episodio carino in cui la persona che l’ha pensato non credo neanche conoscesse Cosmotronic. Anni fa parlavamo di quali canzoni sarebbero andate a finire nel nostro primo disco. Ce n’erano alcune un po’ più uptempo, ballabili, più energiche e le abbiamo lasciate fuori per concentrarci su un disco più delicato, molto “manifesto”, per poi inserire quelle uptempo in un altro disco. Poi Smilian dice «oh, allora lo chiamiamo Delicatronic».
Giorgio: Io ricordo che sapevo cosa fosse Cosmotronic e in generale la scena alto torinese. Non associavo questo nome a Cosmo, me ne sono reso conto dopo. Non è un omaggio, però non abbiamo cambiato il titolo perché rispettiamo Cosmo.
Antonio: Esatto. Cosmo, ti vogliamo molto bene, però non era un omaggio. Alcuni di noi la musica italiana l’hanno cominciato ad ascoltare l’anno scorso, io se canto in italiano mi ricordo Lucio Battisti, Lucio Dalla, Ornella Vanoni, Mina. A volte essere degli outsider anche nelle reference ci rende un po’ naïf.

Delicatoni, Nice Elevator - La Stessa Cosa Insieme (feat. Nice Elevator)

Leggendo la vostra bio, avete dichiarato che il motivo più nobile che vi spinge a fare musica è l’aggregazione e l’ho trovato molto bello. Quali altre forme di aggregazione esistono oggi in Italia secondo voi?
Giorgio
: L’alcol. L’autodistruzione in generale, che fatta assieme è meno triste, ma anche l’autodistruzione nel momento in cui non vedi un futuro perché sembra più minaccioso del passato e allora l’autodistruzione diventa un momento per ridere. È una risposta cruda, ma io vivo in Veneto quindi ci potete capire.
Claudio: Lo sport secondo me. E poi l’arte e il teatro. È un’ottima domanda. I karaoke anche vedo che stanno tornando e il cinema è di nuovo in voga. Vedo anche tanta gente dedicarsi all’arrampicata e recuperare il rapporto con la natura. Io ho iniziato un po’ prima del Covid, però ho notato che molte persone durante quel periodo hanno cominciato a uscire fuori, a riappropriarsi di spazi verdi e spesso noto gruppi di persone che vanno a farsi delle scampagnate in posti a caso per stare un po’ assieme. Anche la scuola è una forma di aggregazione. È una domanda fantastica perché se ci penso i motivi di aggregazione non sono poi così tanti. La scuola è anche un buon modo di imparare qualcosa.
Antonio: Le aule studio anche secondo me sono una cosa che aggrega molto gli universitari. E poi penso ai festival, sono magia pura. Un altro motivo di aggregazione è quando le persone iniziano finalmente ad andare in terapia e ne parlano assieme. Il metaverso in cui viviamo tutti è un luogo ai aggregazione, ma anche i social, i forum. Anche adesso alla fine siamo in una stanza di Google Meet.

Vi facevo questa domanda perché siamo passati negli ultimi 50 anni dall’aggregarci intorno alla vita pubblica (la politica, la famiglia, la piazza) a una aggregazione intorno agli interessi privati, che sia il cinema, il padel o i videogiochi. Forse uno dei poteri che ha la musica oggi è di essere uno degli ultimi mezzi di aggregazione pubblica e condivisa che abbiamo: festival, concerti in piazza rendono la musica non soltanto un ascolto personale, in cuffia o in cameretta, ma un ascolto collettivo, di tutti, sono tornati ad avere un ruolo sociale. Secondo me in questo la musica ha ancora una virtù gigante.
Antonio
: Sì, sono d’accordo. Ad esempio nella politica c’è una perdita di fiducia talmente grande che ha finito per essere una cosa a cui non credi di poter realmente contribuire. Non credi di avere realmente la possibilità concreta di cambiare le cose, per cui ti aggreghi intorno ad altro. I social hanno portato la possibilità di incontrare persone che sono lontane fisicamente, ma con cui condividi degli interessi. Il bambino, l’adolescente di paese ha trovato un mezzo per poter raggiungere queste persone, ma sempre stringendosi sull’interesse privato.
Claudio: Hai fatto una domanda che mi resterà in testa. Veramente è strano non vedere così tanti motivi di aggregazione pubblica. Le manifestazioni anche sono un bel motivo di aggregazione. Però non trovi che abbiano perso di potenza?

Dipende molto da dove si vive. A Milano ce ne sono tante, la gente è molto partecipativa. Ci sono ottimi numeri. È chiaro che la manifestazione ti aggrega intorno a un problema. È una forma di lotta o di coscienza verso qualcosa che vuoi cambiare. Forse mancano forme di aggregazione intorno a temi belli, positivi, e a parte il calcio – con tutte le sue problematiche – la musica secondo me è l’unico altro grande interesse che oggi in Italia può davvero permettere alle persone di tornare in luoghi pubblici a stare insieme.
Ma vi faccio l’ultima domanda. In che tipo di locali porterete Delicatronic? Club, festival, sale concerti? Esiste una location ideale per voi dove ascoltare questo disco?
Giorgio
: Il mio sogno è fare tipo una Boiler Room con la gente attaccata a cui dover dire «fratello, non rovesciarmi il gin tonic sulla drum machine, ti prego». Però con quel sorriso tipo un po’ beffardo. Club, soffitto basso, una roba di quelle che mia mamma ha paura se le dico che vado lì, dove tutto sembra punk, con i drogati, dove ci si passa la saliva.
Antonio: O anche un posto carino come il Panorama Bar, che è la parte più chill del Berghain. Anche tipo nei jazz club di Tokyo mi piacerebbe.
Giorgio: Mi immagino anche quei clubboni super fighi, un po’ di lusso, con i Delicatoni vestiti da Dio che suonano e fanno questa musica elettronica, space, goffa, ma goffa tipo buffa e delicata. Sicuramente non è su un palco lontani da qualcuno. Ma ci siamo noi che tocchiamo le persone, le persone che ci toccano. Per la prima volta nella mia vita, se mi invitano a un festival quasi spero che sia su un palchetto più piccolo dalle 2 alle 4 di mattina.

Avete dato tutti risposte legate alla notte. Nessuno ha immaginato una situazione diurna. Io invece per esempio l’ho vissuto molto più come un disco diurno che notturno, magari da tardo pomeriggio. Però è bello che ci possano essere diversi momenti, diversi modi di viverlo, a seconda del lato che ti arriva di più.
Giorgio
: Se ci pensi anche gli strumenti elettronici che usiamo vivono al buio, noi dobbiamo scoperchiarli perché vedano la luce. E hanno queste lucette artificiali come la notte nelle città. È così che vediamo il disco.

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