Per gli Inude suonare è l’unico modo per non impazzire | Rolling Stone Italia
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Elettronica, solitudine e una canzone in cima a una montagna: intervista agli Inude

Dopo l’ottimo esordio ‘Clara Tesla’, la band torna con ‘We Share’, un pezzo elegante con atmosfere alla Bon Iver. Qui raccontano a che punto è il prossimo album, il lockdown, perché sono a disagio con i social

Elettronica, solitudine e una canzone in cima a una montagna: intervista agli Inude

Non deve essere facile conquistare il mondo dalla Puglia, durante una pandemia, con una connessione che traballa per una video-call. Ma per fortuna non sono questi i problemi che fermano il talento. Flavio, Francesco e Giacomo sono gli Inude, band davvero interessante capace di farsi notare con convincenti prestazioni come l’EP Love Is in the Eyes of the Animals e il disco d’esordio Clara Tesla. Un mix di elettronica, molto emotiva, che scorre tra Bon Iver e ultimi Radiohead (o forse, ancor meglio, Thom Yorke solista).

Esce oggi per Factory Flaws il nuovo singolo della band, We Share, un pezzo che conferma quanto di buono la band pugliese abbia finora dimostrato. Per dirla come si usa far nel settore: non sembra un brano italiano. Traduzione: è un pezzo figo, credibile, originale. Per l’occasione abbiamo sfidato le leggi del 3G e raggiunto i ragazzi per una chiacchierata sul brano e la situazione musicale in Italia.

We Share è la prima traccia estratta dal vostro disco in uscita nel 2021. Come è nata? Qual è il processo creativo per un brano degli Inude?
Flavio: Abbiamo tutti e tre le capacità per produrre. Quello che capita, spesso, è che ognuno si appunta a casa le proprie idee e poi le condivide con gli altri che, a loro volta, ci metteranno mano. È un processo istintivo, suoniamo insieme da 15 anni, ci conosciamo. Ognuno mette il suo. Gli Inude sono una serie di influenze distanti che vengono avvicinate dalla nostra amicizia.

Giacomo: La prima bozza di We Share è di Francesco. In seguito è passata a me, e infine a Flavio. È stata scritta durante il primo lockdown e quindi, a maggior ragione, è stato un gioco di rimbalzi.

Francesco: Volevo scrivere un brano molto intimo che parlasse di condivisione. We Share parla di una mia esperienza diretta con una persona che mi si è avvicinata, una persona molto chiusa, a cui sto cercando di mostrare la bellezza della condivisione.

We Share è un brano in cui echeggia il tema della solitudine, drammaticamente caro ai nostri giorni. Che rapporto avete con la solitudine?
Flavio
: Un buon rapporto direi. Viviamo sparpagliati nella campagna pugliese. A pensarci anche il primo disco è stato scritto, in solitudine, in cima ad una montagna. Gioia e dolore; ci aiuta a scrivere.

Giacomo: La solitudine è più idonea per tirar fuori qualcosa di proprio, di intimo, ma è la condivisione a rendere la nostra musica un lavoro di gruppo. La solitudine di cui parliamo in questo brano è quella sensazione per cui pensi di poter tener tutto dentro, gestendo tutto da solo.

Francesco: se non condividiamo, come esseri umani, moriamo.

Come riuscite a rendere Inude un sentimento che magari appartiene ad uno solo di voi?
Francesco
: Siamo persone molto empatiche. Ogni singola emozione del disco ce la siamo raccontata, parlandone apertamente senza paure o riserve. Solo così possiamo lavorarci assieme e riuscire, a turno, a completarci i testi a vicenda.

A che punto siete con la preparazione del vostro prossimo disco?
Giacomo: Siamo in chiusura. Sappiamo che conterrà undici brani. Abbiamo cercato di mantenere un’anima più home-made, registrando in casa con i nostri mezzi. È sicuramente un disco più suonato, più istintivo, più crudo.

Francesco: Con questo lavoro abbiamo imparato a gestire meglio i tempi di produzione, a seguir l’istinto, a non stare una settimana per decidere un singolo suono.

Flavio: siamo passati da una settimana ad un paio di giorni, non male, siamo stati bravi!

Giacomo: Per questo disco abbiamo deciso di spingere di più all’estero come promozione stampa. La scelta di collaborare con Factory Flaws, come etichetta, va in questa direzione. Col senno di poi, nel disco precedente probabilmente avevamo ammorbidito il suono e le nostre idee per venire incontro al gusto italiano. Questa volta invece non abbiamo fatto compromessi e credo che questa sincerità possa essere apprezzata all’estero.

In un mercato saturo come quello italiano, come sopravvive un progetto di nicchia indipendente come il vostro?
Giacomo
: Il mercato è certamente saturo, ma credo che si possa sopravvivere con una cerchia di persone che sinceramente segue il tuo progetto e ti stimola a creare nuova musica. Guardando oltre i confini della nostra nazione, penso ci sia speranza di allargare questa cerchia. In questo momento sopravviviamo lavorando come fonici, autori, produttori. Ognuno di noi ha le proprie situazioni lavorative parallele. Sfruttando tutte le possibilità, si può costruire una base, non solidissima, ma che può far sopravvivere.

Francesco: Se guardi al panorama italiano, noi saremmo sempre un gruppo che guarda alla nicchia. Non ci campi, ma riesci quantomeno a tenere su la macchina economica di una band.

Flavio: Sul futuro è difficile fare previsioni ora. Noi siamo una band che punta molto sulla sfera del live e non so cosa potermi aspettare adesso. Se la musica è qualcosa che si può far girare attraverso i social, sono a disagio. Non è una cosa che fa per noi.

Francesco: Il mondo social dipende da quanto ci lavori e da quanto puoi investire; così diventa difficile per una realtà come la nostra.

Dovrebbe essere un momento, per le varie scene, per le varie nicchie, di cercare di unificarsi e supportarsi a vicenda per superare i limiti capitali di playlisting, social, algoritmi. Voi pensate ci sia condivisione e supporto tra i musicisti italiani?
Flavio: Te lo ammetto, sono molto scoraggiato. Non c’è molta condivisione nell’ambiente.

Giacomo: Giusto qualcosina, ma è poca cosa.

Flavio: Dovrebbe esserci un supporto in queste nicchie. Pensiamo a quel che è successo per l’indie che, grazie a questa macchina della condivisione, grazie all’unione, è riuscito ad esplodere nell’it-pop. L’Italia è un paese diviso, soprattutto nella mentalità.

Giacomo: Gli artisti sono egomani e fanno fatica a condividere i propri spazi.

Francesco: Giuro che non lo capisco: la situazione è paradossale e sembra che supportare sia diventata una mancanza di rispetto!

Fare musica è stressante e spesso questo stress non viene percepito all’esterno. Fare musica è un qualcosa di stupendo e magnifico che nasconde un lato oscuro di ansie, paranoie, panico. Risvolti che in questo momento storico eccezionale a possibilità ridotte si fanno vivi con più insistenza. In una situazione così complessa vi capita mai di domandarvi perché state ancora facendo musica?
Flavio: Noi facciamo musica per noi stessi. E mi sento paradossalmente più sereno anche se riconoscere questa cosa è pesante. Se in Italia fai questo genere di musica, l’unica conclusione a cui puoi arrivare è che la stai facendo per te. Ultimamente se guardi al mercato italiano vedi tante persone che non fanno musica per loro stessi, ma la fanno con una mission, con un obiettivo di risultati, come un’azienda. Ti ammetto che ci abbiamo anche provato in passato, a provare a ragionare così, ma l’idea non è durata più di un minuto. I gruppi come il nostro sono destinati a sciogliersi. Non vorrei che quel giorno arrivasse, ma sono molto sereno ad esserne consapevole. È una depressione consapevole! Però posso dire che sono fiero che facciamo musica per noi e non per una missione aziendale.

Giacomo: Ci risparmiamo di diventare pazzi.

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