Sono convinto che la differenza tra un’artista e una popstar sia, più che la tecnica, la capacità o l’estetica, il magnetismo. Quella capacità innata (che magari si può coltivare, ma che è parte di una certa natura) di convogliare l’attenzione a sé, di essere il sole in ogni stanza. E sono convinto, inoltre, che essere il sole sia un bel lavoro di merda, bellissimo, vitale, ma drammaticamente stressante. In Italia, dove l’industria del pop è ancora ferma ad un’epoca preistorica, c’è un’artista che mi ha confermato entrambe le convinzioni, il magnetismo e le difficoltà di convivere in una realtà dove vita privata e pubblico si fondono nella chiacchiera da bar. Quell’artista è Elodie.
Alla presentazione dei suoi infiniti impegni di febbraio (Due, il singolo di Sanremo, Ok. Respira, il nuovo disco in uscita il 10 febbraio e Sento ancora la vertigine, la docuserie per Prime Video in uscita il 20 febbraio), Elodie è seduta di fronte ad un plotone di giornalisti che vogliono sapere tutto: come nasce quello, come nasce questo, come vivi, come stai, dove stai, che idea hai dell’amore (qui la risposta è sibillina: «Ho capito che se non c’è rispetto non c’è amore») e soprattutto dicci dicci dicci qual è il tuo rapporto con Marracash oggi. Anche nella raffica e nell’imbarazzo Elodie rimane divina, in giacca e minigonna bianche, maglia a collo alto nera, collant e scarpe décolleté nere. Solo durante la proiezione di un estratto della serie sembra scivolare nella tensione del rivedersi. Si controlla le unghie, si alza, esce dalla stanza, torna a sedersi. Interpellata ripropone spesso la parola «disagio», mostrando una vulnerabilità molto umana, la stessa che si evince dall’anticipazione della serie che ci mostra Elodie come una donna insicura dei suoi mezzi e tremendamente fragile nelle scelte: un essere umano oltre il ruolo da popstar. O come si definisce lei, «una donna ambiziosa, ma cosciente dei propri limiti, con tanta rabbia e una bambina dentro da proteggere». O riportandola terra a terra, come a contrasto: «una Itala di Boris!».
«Il fatto che io sia identificata solo con il mio lavoro – e non come una persona che ha una vita oltre quello – ogni tanto mi toglie personalità, mi toglie vita. Diamo spesso troppa importanza al lavoro», mi racconta Elodie quando troviamo del tempo per parlare da soli. Si è tolta le scarpe, è un po’ più rilassata (il plotone è nell’altra stanza) e nel parlare mischia l’eleganza a cui ci ha abituati a passaggi più umani e autentici sottolineati dall’uso del dialetto romano: «Non mi identifico con il lavoro, se no poi diventerei una presuntuosa scollata dalla realtà e questa cosa non me la posso permettere. Faccio un lavoro dove attorno si creano dei miti, miti che servono per sentirci meglio; ma in realtà noi stiamo a cantà una canzone, a recità in un film. L’hai fatto? Brava, ma finisce lì». Però a lei i “brava” arrivano di certo più spesso che a noi comuni mortali, non aiutano ad autoconvincersi? «Sì, ma che te ne fai se non ci credi?».
Come svelato nella docuserie, Elodie non doveva presentarsi a Sanremo (la sua terza apparizione dopo l’esordio in gara con Andromeda del 2020, e l’ospitata del 2021) con Due, una canzone che parla della differente percezione di una relazione tra chi quella relazione la vive da dentro e chi la commenta dall’esterno, un leitmotiv nella carriera dell’artista, bensì con un brano differente: «Quando è arrivato il pezzo in studio non lo sapevo cantà: “come faccio a fare la cantante, come ci riesco?”», mi racconta. «È che arrivo prevenuta e non mi sento all’altezza. Ho una voce dentro che mi dice “non ce la fai, non ce la fai, non ce la fai”. E io mi incazzo. Per quello sono sempre arrabbiata, sono arrabbiata con me. Il mio lato emotivo e il mio lato razionale non lavorano bene assieme. E sono sempre lì a fare da bilancia tra tutti i meccanismi di difesa e la verità. Perché poi vado fuori, mi convinco di cose su cui invece potrei lavorare». E, parlando a se stessa, aggiunge: «Non sei Whitney Houston, accettalo sorè». Conclude poi il concetto rimanendo in tema di grandi voci: «Fai che domani mi colpisce un fulmine e divento Mina. E fai che sono consapevole di essere e di avere dentro Mina. Ti giuro che anche se diventassi lei avrei le stesse paranoie. Non cambierei comunque, c’avrei da ridire pure lì».
Come in tutto il suo nuovo album, Ok. Respira (un disco molto spinto verso il ballo ispirato a Confessions on a Dance Floor di Madonna in cui hanno collaborato artisti come Mahmood, Elisa, Dardust, Joan Thiele, Petrella), anche Due è un brano impregnato di empowering femminile, cantato da una donna orgogliosa di essere tale: «Nei miei nuovi brani c’è un senso di grande indipendenza. Sono una donna “stronza”, una donna che non ha paura di essere. Vorrei passasse il messaggio dell’accettazione di sé. Cantando testi leggeri a volta basta mettere delle virgole o sottolineare delle parole per dargli un valore. Parlo sempre di amore – è quello l’argomento madre – però lo faccio con sfacciataggine: se mi sta bene, mi sta bene, se decido che non è più aria non è più aria, punto». Un brano da esecutrice, e non da autrice, perché «pensa se mi metto a scrivere canzoni e fanno schifo?». Ancora umano disagio.
A Sanremo, alla serata cover in duetto con BigMama, Elodie porterà American Woman, il brano dei The Guess Who reso celebre da Lenny Kravitz, una scelta in antitesi con Due, una canzone pienamente pop: «Volevo un brano di un’altra potenza, che potesse raccontare anche la mia vena rock. Io e BigMama siamo due donne di età diversa, con diversi modi di vivere la femminilità e il nostro essere donna, ma entrambe abbiamo la stessa faccia come il culo. Diciamo le cose come stanno».
La conversazione torna così sulla difficoltà di tener privato e pubblico distinti, una separazione pressoché impossibile per pubblico e giornalisti dopo la sua relazione con Marracash (che torna ovunque nella sua musica, da Due a Apocalisse, un brano dell’album chiaro riferimento al rapporto con il rapper di Barona): «È difficile farcela, ci sono dei momenti in cui sono più serena e altri invece in cui mi dico proprio “ho sbagliato”. A volte avrei dovuta essere più ermetica, però per come sono fatta io è impossibile. Non ho molti filtri. Da una parte è un bene, ma ho sicuramente sempre tutto fuori (tranne la rabbia, quello è un sentimento che tengo sempre dentro). Posso difendere il mio, ma non posso decidere come gli altri mi vedono o mi pensano. Posso solo accettarlo, e per farlo bisogna essere maturi, che non è proprio la mia qualità (ride, nda)».
L’ultima domanda non può che tornare sulla questione sovraesposizione. «Ho paura di rompere il cazzo? Certo, ma ovvio! Ci penso sempre, ma ho anche sempre paura di sparire. La mia forza è che lavoro con un team di cui mi fido. Se mi dicono di fare qualcosa però cerco almeno di non essere pesante a chi piaccio. È come una storia d’amore. Se ci sei sempre, e te ne prendi cura, è perché ci tieni. Ho voglia di fare e so che a volte sbaglierò, fa parte di ogni carriera. Però, ecco, al posto di Sanremo magari il prossimo anno faccio qualcos’altro…». E intanto, giusto per non farsi mancare nulla, ha annunciato il suo primo palazzetto, il 12 maggio a Milano.