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Emis Killa: «Mi sento un venerato maestro, ma anche un po’ stronzo»

Sta per partire la serie di concerti sold out dedicati all’album che dieci anni fa ne ha lanciato la carriera, 'L’erba cattiva'. Qui il rapper si racconta tra sferzate, tenerezze di padre e polemiche social

Foto: Mattia Guolo

È passato da bella promessa a venerato maestro nell’arco di un decennio ed effettivamente si rispecchia in quello che sosteneva Alberto Arbasino, ma con un distinguo: «Sono anche un po’ stronzo». Il bello di avere a che fare con Emis Killa è proprio questo: dalla vita reale ai social e fino a una intervista, quella che leggerete di seguito, non cambia di una virgola. Schietto e sincero, con il rischio sempre dietro l’angolo di innescare furiose polemiche, che però affronta con il suo personale codice che viene dalla strada e in continuo aggiornamento in base alle esperienze che sta vivendo.

Sarebbe troppo facile definirlo un pilastro della scena rap. Lo è e sa di esserlo, per cui non serve ribadirlo. I pezzi che ha realizzato, i numeri raggiunti e l’amore del pubblico parlano per lui. Ma a dieci anni dal disco che lo ha lanciato nello showbiz, L’erba cattiva, c’è ancora qualcosa in grado di stupirlo. Come gli otto concerti per celebrare quell’album, tra Milano, Roma e Parma (dal 2 al 18 dicembre) andati sold out in brevissimo tempo, tra i quali sei date di seguito ai Magazzini Generali e «i primi cinque esauriti in un giorno». Così, poco prima del tour de force, ne abbiamo approfittato per scambiarci quattro chiacchiere – diventate molte di più – per capire come si prepara a questa celebrazione del suo esordio discografico e a che punto si trova del tortuoso percorso umano.

Ne è emerso un fitto dialogo, con momenti di dolcezza disarmante per la figlia – nonostante scherzi cattivissimi ma esilaranti – intervallati da una franchezza spiazzante, in particolare per chi avrebbe tutto da perdere nell’esporsi. Eppure, fedele a se stesso, non c’è argomento sul quale ha deciso di sottrarsi. La musica di oggi? «Mi sembra meno bella del passato». San Siro è un sogno, ma «io ragiono un passo alla volta, prima mi manca il Forum». Anche perché non ha scelto la via più semplice per arrivarci replicando quello che già ha funzionato, ma «continuando a cambiare». Persino rischiando di sbagliare: «Maracanã mi è costata tantissimo in termini di credibilità». Come sbagliano gli artisti che si mettono nei guai con la legge, senza volergli fare la morale: «Tanti rapper hanno storie difficili, ma devono capire che la musica è una benedizione. L’ho scritto in una lettera a Baby Gang in carcere».

Nello stesso tempo prosegue nel dire ciò che pensa «per non ingannare chi mi segue». Infatti gli attivisti del clima che imbrattano le opere d’arte «mi fanno girare i coglioni». Mentre su Riccione, che aveva accostato a Marsiglia in fatto di sicurezza, ha ammesso che «la sindaca non mi ha voluto incontrare, ma era la verità». E ancora, su Sanremo non cambia idea rispetto al tweet dove diceva «mi sa di vecchio» però accetterebbe la conduzione, solo che «non mi chiameranno mai, hanno paura che sia troppo bravo». E appare chiaro che, se l’Emis Killa di oggi non è più il «ragazzino invasato» degli inizi, dimostra di aver maturato una nuova sensibilità che si riverserà in nuovi progetti, infatti ci ha rivelato che sta già lavorando a un nuovo disco.

Per prepararmi a questa intervista ho dato un’occhiata ai tuoi social e mi sono accorto che, in pratica, soprattutto su Twitter ogni giorno dici come la pensi su qualsiasi argomento, scatenando spesso e volentieri polemiche feroci. Da cosa nasce questa tua esigenza?
È un fatto caratteriale. C’è chi fa finta di niente e chi, come me, deve dire per forza come la pensa. Sono contento di far sapere come la penso, talvolta anche il mio disprezzo su certe cose, perché non voglio ingannare chi mi segue.

Per non ingannare chi ti segue però fai incazzare tante altre persone.
Può essere, ma la cosa peggiore che mi può succedere è quando mi conoscono dal vivo e mi dicono «sei diverso da quello che mi aspettavo». In positivo e in negativo. Io mi mostro nel bene e nel male come sono, così quando hai a che fare con me sai già cosa ti aspetta.

Il tutto può essere riassunto nel primo comandamento secondo Emis Killa: «Non chiedetemi mai selfie mentre sto mangiando al ristorante».
È proprio così. Ecco, vedi, se il selfie o l’autografo lo nega Alessandra Amoroso le rompono i coglioni, ma se lo faccio io no. Perché sanno già che non me lo devono chiedere.

Nonostante questo, ti stai preparando a festeggiare il decennale dell’album che ha lanciato la tua carriera nel rap game, L’erba cattiva, e da allora la tua crescita non si è mai fermata. Ma chi era Emis Killa in quel periodo?
Era un giovane invasato di rap, lo ascoltavo a manetta. Stavo risentendo qualche mia vecchia strofa e mi ha ricordato che ci credevo tantissimo, come è giusto a quell’età. Mi esaltavo con delle cose che oggi mi sembrano abbastanza normali. Una volta il fascino dell’America o della Francia mi appassionava, sognavo di far parte di quegli ambienti. Oggi che ci sono stato parecchie volte è cambiato il mio giudizio. A 33 anni non sono più quello di allora e, anche se sono sempre appassionato di musica, non me ne frega più un cazzo di certi immaginari.

A livello artistico, riascoltando quel disco, c’è qualcosa che ancora ti stupisce?
Se parliamo di tecnica, non penso che sia il mio miglior disco. Perché sento che è sempre l’ultimo, visto che credo di migliorare col tempo. Ma se pariamo di come un disco dovrebbe essere giudicato in proporzione a quando è uscito, allora probabilmente L’erba cattiva è stato il mio miglior album. È molto avanti, lungimirante, ai tempi non c’era quella apertura alle melodie. È un disco che aveva delle basi con armonie sulle quali correvano ritornelli cantati, piuttosto insolito per il tempo.

Cosa ti ha spinto a rischiare così tanto proprio nel primo disco?
È stato il disco giusto al momento giusto. La mia bravura non è stata solo nello scrivere determinate rime, c’è stata anche quella di fidarmi di Big Fish, il produttore, perché la metà del lavoro l’ha fatto lui. E probabilmente capire che era il momento ideale per sperimentare, per uscire dal rap classico. Così è diventato un album per tutti e non solo rivolto alla scena.

C’è un brano al quale sei particolarmente legato, anche se non ha avuto il successo che immaginavi?
In generale sono legato a tutti, perché è stato il mio periodo magico. Sono passato dall’essere un artista emergente a vendere davvero i dischi. Per cui lo ricordo con grande affetto. Ma un pezzo che forse poteva essere un singolo e non lo è stato è Giusto o sbagliato. Non è che sia andato male, però risentendolo mi sembra ancora forte.

Dopo 10 anni sei ancora stabilmente un punto di riferimento della scena rap. È più difficile emergere o rimanere ad alti livelli?
La seconda tutta la vita. Emergere non è facile, ma emerge anche tanta roba e con numeri incredibili che trovo mediocre. È il motivo per il quale tanti vanno e vengono. Rimanere è veramente difficile. La competizione si fa sentire, la concorrenza è più agguerrita e a livello personale reinventarsi non è facile. C’è chi se ne frega e fa sempre le stesse cose finché crepa, mentre io non ho mai voluto fermarmi nell’evoluzione. Ho sempre cambiato in ogni progetto, però così è ancora più dura.

Oggi come guardi alla scena musicale?
Se a 20 anni mi appassionavo a tante cose, oggi purtroppo no. Trovare buona musica, anche in giro per il mondo, diventa sempre più difficile. La sento molto omologata, dal pop al rap, hanno tutti le stesse componenti in comune. Secondo me la musica di oggi è meno bella di un tempo.

Non c’è proprio niente che ti ha ispirato recentemente?
Capisco di essere ispirato quando ho voglia di andare in studio. Ora sto lavorando a nuovi progetti e non mi manca neanche tanto, infatti tra un po’ finirò di registrare un nuovo disco, però mi sono accorto di essermi dovuto guardare molto dentro per realizzarlo. E ispirandomi ad altra musica non riuscivo. Alla fine penso che per me il modo migliore per trovare spunti sia semplicemente vivere. L’ultimo disco che mi ha fleshato musicalmente è quello di Tove Lo, Dirt Femme, che non è manco una artista rap. Forse la sfumatura più interessante del nostro mondo ultimamente è stata la drill, ma non la vedo rivoluzionaria e chissà quanto durerà. E allora torno ad ascoltare i dischi del passato.

Intanto stai per tornare live per celebrare proprio L’erba cattiva e le otto date che hai lanciato, che passano da Parma, Milano e Roma sono tutte sold out. Ai Magazzini Generali di Milano addirittura sei concerti di fila. Ti aspettavi così tanta partecipazione?
Non me l’aspettavo perché, essendo il disco così vecchio, non immaginavo importasse ancora a tante persone. All’inizio l’idea era di fare due volte i Magazzini Generali, poi alla fine è andata così bene che, col senno di poi, avrei potuto farne dieci. I primi cinque sono andati sold out in un giorno. Ma forse sarebbe diventata una barzelletta, per cui mi sta bene così.

Rispetto al passato, in questi anni molti più artisti sono riusciti ad arrivare a San Siro. Ci hai mai pensato se riusciresti a riempirlo?
Pensato di farlo realmente no, non credo sia ancora il mio momento. Fantasticato invece sì, ma non è semplice. Ne parlavo qualche giorno fa con Clemente Zard, che è il mio punto di riferimento, e abbiamo convenuto che quel live è pericoloso. Alcuni fanno il botto, arrivano a San Siro però non hanno una costruzione solida alle spalle e rischiano di farsi male. Poi c’è modo e modo di fare un concerto. Io per un live in un posto così non devo impazzire, non voglio viverlo male e con l’ansia. Voglio arrivarci quasi a colpo sicuro. Al momento il mio obiettivo è un tour nei palazzetti, che è già una grandissima soddisfazione. Anche in questo caso organizzato come si deve. Non con i buchi tra il pubblico come è capitato ad altri miei colleghi. Io ragiono per un passo alla volta.

Con le parole sei spavaldo, ma nella gestione mi sembri particolarmente oculato.
Sì, anche se oggi c’è grande attenzione del pubblico sul nostro genere e questo ci permette di fare cose che non potevamo pensare fino a poco tempo fa. C’è stata l’incognita Covid, i prossimi concerti sono i primi che ho organizzato dopo la pandemia e sono andati molto bene, ma non so cosa succederà. Prossimamente mi auguro di essere in grado di andare al Forum di Assago. Non l’ho ancora fatto, così mi levo anche quella soddisfazione.

Non hai mai nascosto il tuo percorso difficile, sia familiare che di ragazzo che ha conosciuto la strada, ma quando vedi dei giovani artisti che ancora oggi, come per esempio Baby Gang, arrivano a dover affrontare il carcere, che effetto ti fa?
Ho la sensazione che c’è del talento sprecato. A Baby Gang l’ho detto di persona e gliel’ho scritto nella lettera che gli ho inviato in galera. Ci eravamo conosciuti e stavamo stringendo un bel rapporto. Cazzo, cerca di risolvere i tuoi problemi, concentrati sulla musica e pensa che è una benedizione, questo gli ho detto. Non penso che siano dei coglioni come dicono alcuni, anzi, mi dà fastidio leggere di gente che gode che li abbiano legati.

Su Twitter hai scritto: «Il gabbio non si augura a nessuno».
Ma certo, la gente ascolta i rapper americani e poi dice quelle cose, ma come cazzo state? Tutti i vecchi pionieri hanno avuto un trascorso difficile. Basta pensare a 50 Cent, diventato una icona pop dopo che si è fatto la galera ed essersi preso le pallottole in faccia. Anche loro non erano proprio degli agnellini. Se arrestano Travis Scott dicono tutti «wow che figo» e se beccano uno qua ci godono. Quella roba lì mi fa uscire di testa. E per la gente di piazza augurare la galera è peggio che augurare la morte. Quindi i ragazzini che lo fanno non hanno capito un cazzo della strada e della musica che ascoltano. Detto questo, auguro a quelli che fanno musica e hanno degli incidenti con la legge di capire quanto siano stati benedetti e che riescano finalmente a tirarsi indietro da determinate azioni.

Tu ce l’hai fatta?
Sì, perché non parlo di contesto. Anch’io sono sempre in mezzo a dei disgraziati che fanno qualsiasi cosa. Ma cerco di tenermi ben lontano da determinate situazioni. Un conto è frequentare certi amici e certi luoghi, un altro è mettersi nella condizione di delinquere. O fai l’artista o fai il delinquente. Sennò ci rimette la tua musica, ed è un peccato.

Foto: Mattia Guolo

Tra le tante cose che scrivi su Twitter, ce ne sono alcune che mi piacerebbe chiarire con te.
Dai, sono pronto. Anche perché su Twitter riesco sempre a dare il peggio di me stesso.

Sugli attivisti del clima che imbrattano le opere d’arte nei musei hai scritto: «Li prenderei per le caviglie e li lancerei fuori dalla finestra». Sempre per via della moderazione…
Ma dai, cosa risolvono? Parto dal presupposto che, se il mondo è sempre più malato, inquinato, gli alimenti fanno male, c’è crisi e tutto sta marcendo, vuol dire che una parte di questo mondo è stupida. Altrimenti non ci saremmo neanche arrivati a questo punto. Quindi, tu attivista stai parlando a persone che quando alzi questa polemica si voltano dall’altra parte, come pretendi di farti ascoltare vestendoti come un fricchettone tirando la farina sulla macchina di Andy Warhol?

Le considerano provocazioni per risvegliare le coscienze sul riscaldamento globale.
Sai cosa dicono quelli che li vedono? Che quelli sono dei cretini, i classici tipi da centro sociale che non hanno un cazzo da fare nella vita e vanno a rompere i coglioni in questo modo. Non li invito ad andare a colpire direttamente chi ha delle responsabilità, perché in quel modo potrebbe diventare una protesta violenta e non andrebbe bene, ma perché toccare proprio l’arte?

In teoria hanno preso di mira opere che erano protette dai vetri, quindi senza conseguenze.
Sull’auto di Andy Warhol a Milano non c’era protezione. E poi in generale non lo sanno, quindi vanno lì proprio per fare dei danni. Perché rovinare qualcosa di non replicabile? Vuoi farti ascoltare? Vai a fare dei danni a qualcosa che non abbia un valore inestimabile. Non sono un critico d’arte, ma per me le opere sono parte dell’animo e della coscienza collettiva umana. Un quadro di Van Gogh è unico e andare a rovinarlo per farti ascoltare mi sembra stupido.

Ho capito, non ti vedremo mai fra gli attivisti del clima…
Ma no, mi fanno proprio girare i coglioni. Non ci capisco molto di ambiente e crisi climatica, però sono un grande appassionato di astronomia. Le cose si legano, mi piace pensare all’universo e al nostro pianeta. E se domani mi dicessero di non usare più l’auto, come tutti, perché così il mondo vive un milione di anni in più, lo farei volentieri. E a me piacciono da morire le auto. Sono super propositivo per salvare l’ambiente, solo non accetto che vengano messe in pericolo le opere d’arte.

Invece dopo la polemica che hai scatenato dicendo che «Riccione è diventata come Marsiglia», per la pericolosità di certe baby gang, hai poi avuto un dialogo con la sindaca Daniela Angelini che aveva promesso di passare per vie legali?
Claudio Cecchetto mi aveva invitato ai festeggiamenti dei 100 anni della città, ma poi purtroppo è successo un grave incidente che ha coinvolto alcune persone e sono stati rinviati. Comunque la sindaca non mi ha mai voluto incontrare. Ma se questa vuole fare il sindaco di una città per i giovani è bene che parli con i giovani, perché magari certe cose può non saperle. Non c’è stato verso, ma alla fine non me ne frega niente. Dopo di me hanno preso coraggio in molti e hanno fatto la stessa denuncia. Non è che avessi detto una roba nuova. C’era solo da dirmi «bravo Emis Killa, hai scoperto l’acqua calda perché è un bel po’ che è così». È inutile che se la raccontano.

Hai ricevuto anche diverse critiche. Ce n’è qualcuna che ti ha colpito?
L’insieme delle critiche con tono paterno da gente dell’ambiente, che poi sono tutti quelli che a Riccione ci vanno per fare le serate d’estate. Non ho risposto per non fare ancora più polemica. Solo a Simona Ventura, che mi ha menzionato su Twitter scrivendo: «Caro Emis Killa io la penso diversamente da te… invece di lanciare invettive, cosa proponi?!». Le ho risposto a modo mio: tu cosa c’entri? Mica ho parlato di te, tra l’altro ho detto una cosa vera. Ma sai perché l’ho scritto?

Dimmi.
Avevo l’hotel sul lungomare di fronte all’evento di Radio Deejay, al quale sono stato spesso ospite. Io Riccione la amo da sempre, ho un sacco di conoscenze. Avevo dei giorni di pausa tra un dj set e l’altro e mi sono fermato lì. Cazzo, una sera ero a fumarmi una sigaretta sul balcone e sotto c’era una cricca di ragazzini che rompevano i coglioni a qualsiasi persona che passava. In quei casi se sei uno debole ti tocca soccombere a quell’atteggiamento. Quindi di cosa si indigna la gente, è un dato di fatto. Secondo i dati sulla microcriminalità mi pare che Rimini fosse fra i primi tre con Milano e Bologna, per cui hanno poco da fare i fenomeni.

Invece non ti sei espresso sui social sulla questione della nomina del consigliere per la musica del ministro della Cultura. Sembrava dovesse andare a Morgan e poi è stata scelta Beatrice Venezi. Però, pensandoci, chi meglio dei rapper ha saputo unire musica e business?
Sì, anche perché io penso che i rapper di alto livello da un po’ di anni siano persone intelligenti. Però non so quanti vogliano ricoprire un ruolo del genere. Non perché non siano in grado, non so quanta voglia potrebbero avere di rinunciare alla carriera. E se non sei un rapper di successo vuol dire che non ne capisci del settore. Non perché sei stupido, ma perché non hai vissuto certe cose.

Se ti chiamasse il ministro o il consigliere per la musica per una consulenza accetteresti?
Quello lo farei sicuramente.

Invece su Twitter hai detto chiaramente cosa non faresti: «Sanremo mi sa di vecchio, non so se ci andrei mai». Forse però hai lasciato qualche spiraglio.
Preferirei condurlo. Ma tanto non mi chiameranno mai, hanno paura che sia troppo bravo. Non ce la faccio proprio ad andarci in gara. Io sono un po’ Benjamin Button al contrario. Quando ero giovane avevo molta più voglia di sperimentare e giocare con la musica. Crescendo meno, mi sono preso male nel periodo di Maracanã, che in termini di credibilità nel rap mi costò tantissimo. Non sai quanto ci ho messo a riprendermi. Quindi oggi cammino, come si suol dire, con il culo al muro. Mi rendo conto che poi ho continuato a lavorare bene e nel rap sono molto rispettato, sia dai colleghi che dai fan. Se vado a Sanremo cosa porto? Non lo so, forse sono io che non sono adatto.

C’è poi un argomento che torna spesso nei tuoi tweet ed è il rapporto con tua figlia. A che punto sei come genitore?
Che mi piace così tanto che ne vorrei altri due di figli. È una figata che mi fa stare bene. È come rivivere una seconda infanzia, ma dall’altra parte. Io l’infanzia ce l’ho avuta un po’ travagliata e con un sacco di problemi. Adesso che con mia figlia facciamo l’albero di Natale tutto addobbato, che la casa è calda e non fredda come ce l’avevo io da piccolo, che guardiamo i cartoni animati a letto insieme è bellissimo. Sono tutti momenti che a me sono mancati.

Effettivamente da quello che scrivi sembri molto presente come padre nella sua vita.
Ho capito che dando il meglio da genitore anche tu vivi bene quei momenti. È appagante. Per dirti, l’altro giorno siamo andati a vedere i Me contro Te al Forum. Non li conoscevo, però mia figlia ha il loro zaino e così l’ho accompagnata a vederli. Non è il mio genere, però nel vederla così divertita mi sono divertito pure io. È una roba che non si può spiegare. Non voglio cadere nelle solite banalità, ma è vero che quando non hai figli non puoi capire. E mi fa ricordare tutte le volte che mio padre mi diceva: «Quando avrai dei figli capirai». Minchia se aveva ragione!

Qual è l’ultima volta che hai pianto?
Questa fa ridere. Avevo giocato al remake di Final Fantasy 10, un gioco della mia adolescenza tra i miei preferiti. Le colonne sonore sono veramente belle, così ho creato una playlist e uno dei brani è davvero stupendo. Una sera stavo tornando a Milano, ero nel traffico, ho messo quello e, che ne so, le vibrazioni mi avranno reso emotivo, mi sono messo a piangere. Mi ha davvero commosso.

E l’ultima volta che hai fatto piangere qualcun altro?
Probabilmente mia figlia per qualche stronzata. Sai, a volte quando era più piccola non coglieva il mio modo di scherzare. Eravamo in una sala piena di amici e dicevo: «Chi la vuole questa bambina?». All’inizio rideva, poi si metteva a piangere. Oppure le dicevo: «Guarda che vengo all’asilo e faccio cambio con una delle tue amiche più simpatiche». Restava un po’ stupita e poi piangeva. O quando le ho detto: «Che buona questa bambina» e alla mia compagna: «Amore, apri il forno». È un modo di scherzare, ma adesso ha capito l’ironia e si diverte anche lei.

Se facessi vedere queste scene sui social avresti una marea di critiche, un po’ come Fedez e Chiara Ferragni. Anche se loro i bambini non fingono di metterli nel forno…
Sai qual è il problema della gente? Che non si sa fare i cazzi propri. Punto. Alcune cose sono criticabili, certo, come se un genitore prende a legnate il figlio, allora anch’io mi indigno. Ma se si scherza no, dai. Allora ti dirò una cosa un po’ cruenta.

In stile Emis Killa.
Prima di avere una figlia non me ne fregava un cazzo dei bambini.

Ma come?
Detto così è orribile, va spiegato. Nel senso che, se c’era stato un terremoto con decine di morti, tra i quali alcuni bambini, mi spiaceva in generale per tutti, non facevo differenze. Invece adesso, ti giuro, sono diventato sensibilissimo. Se leggo una notizia dove ci sono di mezzo dei bambini mi cambia la giornata in peggio, mi prendo malissimo e non la voglio proprio sapere. Come quando in mezzo alla gente mi chiedono una foto, se ci sono dei bambini gli do sempre la priorità.

Usi molto i social, ma rispetto ad altri del mondo dello spettacolo tua figlia non l’hai mai esposta. È stata una scelta ragionata?
Almeno all’inizio sì, anche se poi diventerà inevitabile. Andiamo spesso in giro insieme e prima o poi una sua foto uscirà. Ma finché riesco a tutelarla preferisco così. Perché i social sono un mondo tossico, ogni volta che vado nelle notifiche c’è qualche cattiveria. Io ci sono abituato, sono stato uno dei primi ad avere tanti hater nel mio ambiente e ancora mi girano le palle a volte. Anche la mia compagna all’inizio ci ha sofferto, c’era qualcuno che scriveva stupidate e lei si arrabbiava. Per me è la normalità, faccio finta che siano dei bot, visto che poi dal vivo non ti dicono niente. I bambini devono essere tenuti lontani dai social, non sai mai che occhi gli tiri addosso. Non giudico chi non ragiona come me, ognuno è libero di fare come vuole. Ma a me non farebbe sentire bene esporla.

Meglio aspettare che possa decidere da sola?
Esatto, proprio così. Magari mia figlia mi cresce fricchettona, amante della natura e anti-social e mi dice: «Perché cazzo hai messo le mie foto sui social?».

E poi te la ritrovi attivista del clima che va a imbrattare i quadri…
Eh, chi lo sa? E io come un coglione, visto che è mia figlia, la capirò e la amerò anche in quel caso. Ma perché devo scegliere io, solo perché è mia figlia? Io credo che i bambini siano figli dell’universo, non sono di nostra proprietà. Non sono come la macchina che ci faccio quello che voglio, bisogna rispettare la loro volontà e su certe cose attendere quando potranno decidere.

Alberto Arbasino sosteneva questo paradigma: «In Italia c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di bella promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro». Emis Killa in che fase si sente?
Il periodo della bella promessa è passato. Oggi mi sento un venerato maestro un po’ stronzo.

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