L’ultima volta, qualche mese fa, avevo incontrato Emis Killa a casa sua in Brianza. Dopo esser passato a ritirare quattro pizze – oltre a noi c’erano anche la fidanzata di Emis e il suo amico e collega Jake La Furia – siamo finiti nel suo studio a parlare di cinema e di pitbull impizzati (le due cose hanno un nesso che non posso rivelare, anche se è legale). Mi aveva stupito nella discussione quanto fosse importante per Emis che la storia di un film avesse elementi reali, vivi e vissuti, che non fosse un inganno per chi guarda: tutto, anche i nomi dei personaggi, doveva essere credibile.
Questa ossessione per il racconto della vita vera l’ho ritrovata ascoltando il più cinematografico e introspettivo dei suoi dischi, l’ha chiamato Effetto notte, come il capolavoro di Truffaut. All’epoca sui manifesti in lingua inglese lo slogan pensato dai distributori era: “Un film per gente che ama il cinema”. E lo stesso vale per il nuovo di Emis Killa: un disco rap per la gente che ama il rap.
Un regalo anche a se stesso perché, come leggerete in questa intervista, nessuno ama il rap più di lui.
L’idea di associare ogni pezzo a un film è venuta a lavoro ultimato, ma non sembra un caso che i titoli scelti siano tutti dei classici senza tempo, da Il padrino a Lolita. Effetto notte nasce con l’ambizione di diventare un classico?
Sono un appassionato di cinema e i DVD che colleziono sono per la maggior parte film d’autore, anche un po’ datati. La scelta dei titoli è arrivata alla fine ma è come se si fosse chiuso un cerchio, perché il cinema ha ispirato moltissimo la mia scrittura. Effetto notte ha un’identità precisa, forse non in linea con il trend del momento: c’è molto contenuto, molta emotività, è fatto per chi ha voglia di ascoltare dando importanza al testo. Ho usato molti film che parlano di strada, di vita underground perché è quello che mi interessa.
Sono titoli di film, ma non di serie tv, lasciando intendere che questo album sia un capitolo unico e speciale della tua carriera, non serializzabile…
Non è un album seriale, ha un inizio e una fine, è un capitolo della mia carriera che penso debba rimanere isolato dal resto. È talmente pieno di emotività e introspezione che, in un secondo episodio, potrebbe anche rompere le palle. Ho anche tenuto una durata più corta dei miei standard, condensando tutto.
Con Effetto notte citi Truffaut, Marracash aveva citato Bergman con Persona: entrambi avete fatto un disco personale. È un passaggio dovuto quando un giovane rapper diventa più grande?
Sì, è un discorso di maturità sia artistica che individuale. Per quanto mi reputi ancora un artista giovane, mi strappo un sorriso da solo quando sento il me ventenne che parlava al passato, ed era un passato di soli tre o quattro anni prima. Quando sei adulto invece hai una credibilità diversa per raccontare certe cose, anche agli occhi degli altri adulti. Da piccolo scrivevo cose che non rinnego, anzi che ancora condivido, però c’era sempre dello scetticismo da parte del pubblico adulto, forse infastidito da un ragazzino che ha l’ambizione di insegnarti qualcosa. Nel mio ultimo mixtape, Keta Music Vol. 3, c’era un pezzo, Notte gialla, che era una cosa nuova per me: voce bassa spaccata dal sonno e un certo mood che mi ha ispirato per questo nuovo disco. Altre cose, che avevo già esplorato, le ho lasciate stare: tutto il discorso autocelebrativo, il rap delle jam freestyle, il mio periodo zarro con Blocco Records, la parentesi pop. Avevo bisogno di nuovi stimoli e questa volta sentivo la necessità di fare un disco che durasse, magari non d’impatto, senza la hit a tutti i costi: di solito in un album quando sento una cosa che mi colpisce è anche la prima che mi romperà i coglioni. I pezzi invece che hanno bisogno di due o tre ascolti in più sono quelli che mi porterò dietro per tanti anni.
Racconti alcuni episodi della tua vita, penso ad esempio ai problemi di tuo padre, che avevi già esplorato nei tuoi pezzi anni fa. Pensi che quel tipo di racconto sia arricchito oggi o sia addirittura cambiato?
Oggi racconto meglio quel malessere, e col tempo cambi modo di vedere le cose. Non muta il sentimento, si evolve.
C’è anche molta nostalgia per il passato, basta ascoltare McDrive per capirlo. Sei un nostalgico?
Non voglio fare il vecchio quando parlo con i giovani, ma sono dispiaciuto per loro perché non hanno avuto l’opportunità di respirare quella vibra della mia generazione. Quando andavamo sotto i portici a fare freestyle eravamo speciali e fortunati, e sì, c’è tanta nostalgia.
Forse perché oggi tutti vogliono fare rap, mentre ai tempi era una cosa per pochi, pochissimi…
Lì trovavo tutto quello che non potevo trovare altrove, oggi non è più così.
I ragazzini di oggi hanno ancora la fame che avevi tu?
Io ero innamorato, dedicavo la mia vita al rap, ai graffiti e alla breakdance. Un mese fa sono tornato al Muretto in San Babila e ho trovato 70 persone – all’epoca eravamo in 15 – con i telefoni e le casse bluetooth: è stato bellissimo, non volevo più venire via. Quindi sì, ci sono ancora ragazzi con la fame che avevo, ma – detto senza presunzione – un altro come me, così ossessionato, è difficile trovarlo.
A proposito di giovanissimi, nel tuo disco c’è Neima Ezza, che hai definito «il maranza buono». Credi che i maranza ascoltino la tua musica?
Ci allontana solo il fattore anagrafico, da ragazzo io e i miei amici eravamo dei casinisti e non vedo troppo differenza con i maranza.
C’è molto racconto di strada, penso a un pezzo come Sonny.
Non ho mai avuto né la presunzione, né la voglia di trasmettere per forza un messaggio positivo. Scrivo quello che sento e che vivo.
Mi ricordo le critiche di Margherita Vicario all’epoca di 17, l’album con Jake La Furia. Vi accusava di sessismo per i testi. Dopo quell’episodio sei stato più attento a quello che scrivevi?
No, non direi, un testo come quello di Maserati ne è una conferma. Semplicemente questo è un disco più serio e avevo meno voglia di fare il cazzone. Mi spiace quando qualcuno scambia la leggerezza di spirito per odio. Quando vorrò tornare a fare il cazzone lo farò, sempre però senza malizia: non scrivo mai per offendere qualcuno, ma se ti esprimi senza filtri è normale che qualcuno si arrabbi. Sono però il primo a dirti che certi brani molto provocatori sono spesso sinonimo di immaturità artistica, vanno bene quando giochi col rap, ma questo non è un disco giocoso.
L’intensità emotiva del disco, che parla di te e della tua vita, è legato al fatto che tu non hai mai abbandonato i luoghi della tua infanzia e adolescenza? Vivi sempre nel paese della Brianza dove sei nato.
Assolutamente, conta tantissimo nella mia vita questo aspetto. Quando ascolto i dischi degli altri parlano di cose che non capisco, perché non le vivo. A un certo punto della mia carriera avevo lasciato la periferia ed ero andato a Milano. Poi sono tornato in Brianza da persona realizzata, con una casa, una donna, una figlia. Sono tornato alle mie radici. A Milano ho frequentato i club, i calciatori, i ristoranti stellati ma è una cosa dopo un po’ mi stufa. Sto bene al bar con i miei amici, in curva allo stadio. Sono stato anche criticato per questo, perché nonostante abbia fatto successo sono sempre in giro con gli scappati di casa e vivo come un normale cristiano… ma io sono così, ho bisogno di persone diverse da me, ma che condividono lo stesso passato.
Su Twitter hai fatto spesso molto rumore, tipo quando hai scritto che Riccione era pericolosa come Marsiglia. Oggi sei più cauto sui social?
Ho smesso di dire la mia sulle cazzate, ma la roba di Riccione non la rinnego. Ero lì per un dj set, e davanti all’hotel c’era una cricca di trenta sbarbi che cagavano il cazzo a tutte le persone che passavano, coppie, famiglie, donne. Ero sul balcone e pensavo a quando a Riccione stavo in spiaggia fino al mattino senza nessuno che rompesse le palle, adesso invece ti può capitare di sentirti a disagio. E l’ho detto.
Era diventata una faccenda politica: Salvini aveva condiviso il tuo post, sei passato per uno di destra.
Amo la Romagna, vorrei prendere una casa lì e il tweet di Salvini non mi è piaciuto, non volevo che strumentalizzassero le mie parole per farmi sembrare di destra. Non ho mai parlato di immigrati, ho solo detto che Riccione è diventato un posto pieno di rompicazzo.
La destra al governo ha mosso qualcosa nella scena rap? Se ne parla?
Il rap e i ragazzi si sono allontanati dalla politica, non gliene frega nulla.
Non ci sono tormentoni estivi nel disco. È un altro lavoro fare la hit del momento?
Esattamente, e non è il mio lavoro, ci ho provato. Sono stato in studio con Takagi & Ketra, che sono i king delle hit: abbiamo iniziato un pezzo, anche bello, ma non c’entrava col disco. Magari uscirà in un altro momento. Un po’ mi spaventano i tormentoni, con Maracanà ci sono passato: ti portano un altro pubblico, ma ti tolgono un po’ del tuo, perché quando diventi di tutti il fan si ingelosisce. Non dico che non voglio allargare il mio pubblico, però scelgo di essere meno mainstream per essere il rapper preferito di qualcuno.
Tornando alle suggestioni di Effetto notte, hai mai pensato di fare cinema? Recitare o scrivere un film?
Più che recitare, dove al massimo potrei fare un ruolo che sento vicino a me come lo zanza in Suburra, mi piacerebbe scrivere un film o una serie. Non è semplice, non so se “è un mestiere che si impara da grandi” per citare Carlito’s Way, ma chissà, magari in futuro…
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Foto: Simone Cossettini
Art Director: Alex Calcatelli per LeftLoft
Fashion Editor: Francesca Piovano
RS Producer: Maria Rosaria Cautilli
Talent Personal Stylist: Carlotta Borgogna
RS Stylist Assistant: Micaela Tana
Make-Up Artist: Maddalena Brando
Backstage Video: Federico Terradico
Photo Assistant: Fabio Firenze
Digital Image Technician: Martina Rossi
Location: Multiset Studio Bicocca