Ci eravamo lasciati lo scorso maggio a Linate, dove Emma era appena atterrata da Roma, per ripartire da lì verso le numerose tappe della promozione del suo disco, Essere Qui. Prima Lugano, poi un appuntamento davvero particolare: una data a Tokyo. «Il momento più emozionante? Quando sono passata dall’incrocio di Shibuya dove c’è la statua del cane Hachiko. Ma tutto è stato bellissimo, perché ero con mio padre, che non aveva mai preso un volo intercontinentale nella sua vita. Abbiamo riso tutto il tempo, e ci siamo tenuti la mano», racconta ora negli uffici della sua etichetta, la Universal. E cosa ha letto a bordo, visto che l’ultima volta si era spesa con noi in un endorsement per lo scrittore Marco Missiroli? «Ho appena finito Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese, bellissimo».
Se è di nuovo seduta di fronte a noi, è perché venerdì 16 novembre Essere Qui – Boom Edition, il suo nuovo progetto discografico che ripropone i brani del suo album uscito lo scorso gennaio, cui si aggiungono l’ultimo singolo Mondiale e i tre inediti Incredibile voglia di niente, Nucleare e Inutile Canzone, «un pezzo di sei minuti e mezzo scritto da me». Con il disco è disponibile anche un magazine che contiene otto capitoli scritti di suo pugno, ciascuno dedicato a un aspetto della vita dell’artista, e una serie di scatti fotografici firmati da Toni Thorimbert. Dal 15 febbraio al 1 marzo, inoltre, Emma Marrone sarà di nuovo in tour nei palazzetti.
Ci sediamo attorno a un tavolo e iniziamo a parlare di questa Boom Edition.
Torni con un nuovo lavoro a pochi mesi dal precedente. Perché?
Perché no? Perché avevo ancora tante cose da dire. E poi grazie al magazine avrò tutte le copertine che voglio, e non dovrò dividerle con nessuno… Perché Essere Qui è stato il disco più importante della mia carriera, e volevo rendergli omaggio. Ritengo che meritasse una nuova vita, e ora spero di essere riuscita a spiegarmi meglio.
Cosa aggiungono i quattro inediti?
Li avrei voluti mettere in Essere Qui, ma i dischi con più di 10 brani a quanto pare non funzionano più. Ora posso dire che il viaggio dell’album è terminato, e c’è tutto quello che ci doveva essere. Tra gli autori dei pezzi ci sono Colapesce, Matteo Mobrici dei Canova e Federico Nardelli, il meglio della scena indie. I confini tra i generi musicali sono sempre stati messi gli altri, quelli che hanno la puzza sotto il naso e a me non si avvicinano nemmeno, perché faccio pop. Che poi ora in radio c’è solo indie, si sono ribaltate le cose. Quindi forse la vera indie sono io, che sono trasversale e scrivo pezzi completamente diversi l’uno dall’altro.
E perché, invece, un magazine? Lo sai che non si fanno più i soldi con i giornali, vero…
Sono un’inguaribile romantica. Mi piace toccare gli oggetti: togliere la plastica dai dischi, sfogliare i giornali. Da piccola collezionavo i numeri di Tutto, che nel mio piccolo paese del Salento era l’unico modo per sapere cosa succedeva nel mondo della musica. Ora sai tutto degli artisti attraverso i social, un po’ si è persa questa cosa.
In definitiva, dobbiamo dire che Essere Qui non ha funzionato?
No, le cose non stanno così. Semplicemente non mi sono piegata a quello che va in questo momento. Un artista non può diventare una banderuola e seguire solo le correnti.
Perché hai venduto meno delle altre volte?
Io sono stata la prima artista a uscire nel momento del cambio delle classifiche (dal 1 gennaio 2018, pochi giorni prima dell’uscita di Essere Qui, la FIMI ha cambiato i parametri secondo cui redige le sue classifiche di vendita, ndr), e dopo 15 giorni si gridava al flop. Da lì in poi è successo a tutti i miei colleghi o quasi, ma nessuno dice più nulla, perché è diventata una cosa normale. E poi hanno già avuto il loro capro espiatorio. Ma non mi sembra che il pop in generale goda di queste grandi posizioni su Spotify o altre piattaforme. La musica sta cambiando, non è un problema solo mio. E se ne stanno accorgendo tutti, pian piano. Io, però, continuo ad amare il mio disco: è suonato alla grande, e tutti i musicisti più fighi d’Italia me l’hanno riconosciuto. Non devo più dimostrare nulla, ho avuto sul palco due membri dei Jamiroquai. Le cose che non funzionano sono altre.
In Stai zitto, Salmo – facendo incazzare un bel po’ Biagio Antonacci – racconta proprio dei giovani rapper che si sono presi le classifiche, mentre gli “scureggioni del pop” rosicano.
Anzitutto adoro Salmo, mi fa impazzire. “Scureggioni” non è male come definizione, è giusto che ognuno usi il suo linguaggio e dica ciò che gli pare. Per uno che si chiama Carlo Coraggio ormai siamo “il vecchio pop”. Io so solo che sono 10 anni che faccio musica, sempre a modo mio. Non devo arrivare prima a tutti i costi, voglio solo essere felice. Quindi stare 15 o 20 posizioni sotto i rapper non è un problema.
Se avessi fatto due featuring mirati o usato qualche altra malizia, avresti venduto di più?
Non c’è dubbio. Non prendiamoci per il culo: se invece di uscire con L’isola – un brano elettro, una roba strana – come primo singolo, avessi scelto Mi parli piano, sarei stata prima sei settimane. Ma per me Essere Qui è un’altra cosa, dice altre cose di me. Non volevo presentarmi con la classica canzone di Emma Marrone, un cuscinone di sicurezza per partire bene. Per me la musica deve svegliare le coscienze: non dobbiamo avere paura del cambiamento, dello straniero. Leggete Schopenhauer, cazzo.
Stai già lavorando al nuovo tour?
Ora siamo alle prese con la scenografia. Ci sarà sempre l’Exit, il mio club, di cui ora sono diventata resident. La scaletta sarà un po’ più lunga, e mi sentirò libera di esprimermi come sempre.
Troverai il tempo per farti vedere ad Amici?
Non c’è nessuna tv in vista prossimamente, non c’è spazio. Se Maria dovesse chiamarmi per il serale, chiaramente, sarei a disposizione.
Bono a che data parteciperà?
(Ride) Lui mi ha scritto una lettera bellissima, dicendo “ci vediamo presto”. Speriamo, io lo aspetto.
Spieghiamola. Durante l’ultimo tour, a Milano, Bono ti ha ringraziato per il tuo impegno sul tema dei diritti delle donne. Dovessi dirne uno, qual è il problema delle donne in Italia oggi?
Io penso che alla base di tutto ci sia il fatto che in Italia non c’è abbastanza rispetto per le donne, soprattutto verso quelle che hanno carattere. Vengono temute, e quindi schiacciate.
C’era un messaggio dietro alla tua recente campagna pubblicitaria per un noto brand di intimo?
C’era eccome, e sono stata ben felice di farmi fotografare in intimo a quasi 35 anni. Sono pronta al tracollo estetico, a quando non mi reggerà più la pompa. Quindi le foto andavano fatte prima che svanisse la bellezza di una gioventù sana. Le donne sono state felici di vedere una fisicità normale, e non una magrezza ostentata e quasi malata. Credo che il marchio abbia fatto un’ottima mossa a scegliermi.
Ma non hai provato imbarazzo?
Vabbé, ma mica erano fili nel culo o push-upponi imbarazzanti. E poi quando lavoro io non mi vergogno mai. Paradossalmente sono più in difficoltà se mi devo spogliare davanti a un uomo, anche il mio fidanzato – che non ho! -, ma quando lavoro è come se mi dissociassi dal mio corpo.
Quest’estate, criticando la copertina di un giornale che si domandava se tu fossi “lesbica”, hai scritto che l’Italia “sta andando verso il medioevo”. Da allora le cose sono peggiorate ancora?
Non smettono mai di peggiorare, si va di male in peggio. Di quell’articolo mi faceva schifo la caccia alle streghe; non che mi avessero chiamata “lesbica”, visto che la gente me lo urla per strada di continuo. Ma quel linguaggio, la persistenza di certi tabù… ecco, questo mi fa schifo. Quando comprate il pane dal panettiere, gli chiedete chi si scopa la sera? No, e perché volete saperlo di una cantante? Io rispetto chi lo vuole dire, e chi se lo tiene per sé. Per quanto mi riguarda se fossi lesbica lo direi subito, perché fortunatamente ho un padre e una madre che non sono omofobi, né tantomeno razzisti.
I diritti degli omosessuali sono negati oggi in Italia?
Siamo un Paese in cui se gli omosessuali fossero esentati dal pagare le tasse, tutti correrebbero a fare coming out. Ma visto che hanno gli stessi doveri di tutti, sarebbe davvero il caso che avessero gli stessi diritti degli altri, che non fossero considerati dei malati oppure persone non in grado di crescere dei figli. L’amore fa la differenza, non i generi. Chissà quando lo capiremo.
La prima volta che ho fatto la tua conoscenza era nel 2011 e tu stavi sul palco di “Se non ora quando”, la manifestazione per i diritti delle donne. Michele Santoro, ricordo, era colpito dalla tua figura, una delle poche cantanti pop impegnate. Da quel momento è nata l’etichetta di Emma artista politicizzata, che non se ne è mai andata del tutto.
Io non sono politicizzata, solo che non concepisco l’idea per cui gli artisti dovrebbero vivere su una navicella spaziale e disinteressarsi del proprio Paese. Se poi sei bionda e hai vinto Amici non puoi proprio avere un pensiero – e invece se vinci X Factor sei un figo. Il limite è sempre negli occhi di chi guarda. Io sono così dalle scuole medie, mi espongo perché ciò che succede in Italia mi riguarda. Pago le tasse, per cui penso di poter dire la mia.
E noi apprezziamo molto, sia chiaro. Ma non c’è il rischio che sia controproducente nei confronti di un’audience tendenzialmente giovane, e spoliticizzata?
Quando sono uscita da Amici, tutti i critici dicevano che ero l’ennesima artista che fa musica leggera per ragazzini. Quando sono cresciuta, poi, la mia musica è diventata più intensa e il mio pubblico ha smesso di essere di soli giovani e giovanissimi. Ma quello che faccio continua a non andare bene.
Come la fai, la sbagli. La regola è sempre questa.
Esatto. Il punto è che quando i ragazzini seguivano me e mi facevano stare prima in classifica per settimane e settimane, io facevo musica di merda, che faceva i numeri solo per gli adolescenti che non capiscono un cazzo di musica. Ora che i ragazzini fanno schizzare i rapper in vetta, viva i ragazzini. Io, invece, continuo a fare musica di merda. E allora ditelo, però. Ditelo… E, soprattutto, ridatemi i ragazzini (Ride).
I tuoi conterranei salentini ti hanno chiesto di schierarti sulla Tap ?
Non rispondo alle domande politiche, se no non vendo neanche questo disco (Ride). Il fatto che è ho una conoscenza troppo superficiale del tema – visto che negli ultimi mesi la mia testa è stata concentrata su altro -, per poter dare una risposta che valga la pena ascoltare.
Insisti sempre sulla necessità di fare scelte nella vita, in ogni campo. Da cosa nasce questa tua “fissazione”?
Deriva dall’educazione che ho ricevuto dai miei genitori. Sento sempre dire “ha sbagliato”, “doveva fare così o cosà”. Per me non esistono scelte giuste o sbagliate, ma solo la libertà di fare ciò che si ritiene giusto. Se no si diventa la copia della copia di quello che ci vogliono fare diventare.
Hai ancora la tua Renault 5 dell’84, di cui parli in Boom?
Magari… L’hanno dovuta abbattere (Ride). Ho pianto tanto, quando l’hanno portata nel cimitero delle macchine. Funzionavano solo la prima e la seconda, la sapevo guidare solo io. Ora, invece, ho una Smart nera, usata.