Da piccola voleva diventare pescivendola. Il suo guardaroba è una pila di vecchi abiti recuperati. Non fa shopping da non sa quanto. Nei suoi ascolti musicali la trap non occupa nemmeno un angolino misero misero. No, Emma Nolde non è un’aliena, ma a 19 anni smentisce ogni stereotipo sulla sua generazione e quando parla s’intuisce che vive in una bolla tutta sua: un mondo interiore ora diventato il suo album d’esordio, Toccaterra, viaggio profondo e viscerale in una giovinezza che protegge, ma confonde.
L’immagine di copertina, in cui la giovane cantautrice toscana sembra affiorare dal terreno con una serie di crepe sulla pelle, è eloquente. «Sono i tagli e le ferite che si raccolgono durante il percorso», spiega lei. «Però sono arrivata fin qui. Non illesa, ma ce l’ho fatta». Il disco racconta proprio questo, le difficoltà della crescita, quel sentirsi in bilico tipico di quella stagione della vita in cui non sei più adolescente, ma nemmeno adulto. Lo fa incrociando un’ampia gamma di sonorità: le otto tracce che lo compongono mettono in scena un cantautorato intimo, intenso, miscela di pop, folk, indie rock con echi della prima Elisa ed esplosioni percussive, riverberi e progressioni armoniche alla Bon Iver, non senza qualche tocco soul/r&b. «In effetti Elisa è stata un’importante fonte d’ispirazione», ammette Emma. «In particolare quella di Dancing, brano da Then Comes The Sun del 2001. Adesso fa un altro tipo di musica, ma quell’album e il successivo Lotus mi piacciono molto. Quanto a Bon Iver, è tra i miei preferiti assieme a James Blake, Radiohead, Mac Miller, Loyle Carner, Selah Sue, che come me utilizza parecchio lo spoken word».
Già, perché un’altra particolarità di Toccaterra è lo stile vocale, un alternarsi di cantato e parlato da cui Emma, qui affiancata dai produttori Renato D’Amico ed Andrea Pachetti, non ha voluto eliminare sporcature e imprecisioni. «Era un’esigenza imprescindibile: rispetto chi ama il bel canto, ma credo che nella sua ricerca di perfezione allontani l’ascoltatore, mentre io preferisco catturare e trasmettere l’emozione del momento». Per capire cosa intende si ascolti Sorrisi viola, con la sua voce che nell’avvicinarsi al ritornello si spezza come probabilmente si è spezzata lei di fronte alla forza di un amore non corrisposto per una persona più grande. “Se smettessi di essere ogni mia canzone, il motivo per cui ho rinunciato a tante cose, lo sentirei da sola quest’aroma d’assenzio, curerei da sola i lividi del silenzio”, recita il testo, sfogo e struggimento senza filtri in un’epoca che vorrebbe rendere patinata ogni superficie. Del resto, Emma nemmeno si trucca. «Non che giudichi chi lo fa, né sono contraria alla cura del proprio aspetto, anzi. Solo ogni tanto, quando vedo alcune mie coetanee con chili di fard e megatacchi senza che sia necessario, mi chiedo se quel modo di proporsi non sia una scia dei giochi che si fanno da bambini con gli abiti della mamma». Lei, in compenso, si è creata un intero guardaroba con i vestiti dei nonni. «Non faccio mai shopping, pazienza se i pantaloni del nonno anche se li faccio stringere mi stanno larghi, non è importante. Piuttosto avverto la missione di essere seria e di trasmettere spessore in una società in cui, specie quando si tratta di artiste donne, pare basti l’immagine. Perciò suono tanto, tanto, ma tanto. Non solo la chitarra, anche il pianoforte: è così che prendono forma le mie canzoni».
In tutto ciò Toccaterra è il traguardo finora più importante, diario in note di una ragazza che aspira alla libertà anche se da bambina sognava in piccolo: «Mai avuto chissà quali ambizioni, alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” rispondevo “la pescivendola”». A cambiare le cose una chitarra notata in una pizzeria: «Avevo 7 anni, rimasi conquistata dalla forma, ne volli subito una». Da allora la musica è stata al centro delle sue giornate. Originaria di San Miniato, in provincia di Pisa, alle spalle maturità scientifica, un periodo al conservatorio e tante lezioni private incentrate anche sul jazz, sono ormai cinque anni che Emma tiene concerti in giro per la Toscana: ha cominciato a 13 con un’amica a colpi di cover dei Coldplay e di Ed Sheeran, suo idolo pop; all’epoca già scriveva, ma in inglese. «Non volevo si capisse ciò che dicevo, ero molto chiusa. Il passaggio all’italiano risale a due anni fa, quando mi è venuta voglia di aprirmi, di esprimere davvero ciò che avevo dentro: che cosa ti racconti a fare se non puoi essere compreso?».
La musica le è servita per conoscersi e affrontare la disillusione: «Verso i 15 anni comincia l’età delle scelte e con le scelte compare l’agonia, d’un tratto ti rendi conto che non tutti la pensano come te e il castello della Disney che ti avevano disegnato in testa cade in frantumi». Nel suo disco di debutto c’è anche questo: la voglia di rintanarsi “in una stanza vuota nero ardesia e con un cesso grande più del pensiero”; il bisogno di “cercare la pace scappando dagli altri”; il timore di essere inadeguata che nella title track la spinge a riflettere sul suo metro e ottantasei di altezza che talvolta l’ha messa a disagio. «Sai, quando sei in gruppo spicchi sempre e finisce che ti senti scoperta, esposta; per fortuna ormai ho imparato a conviverci».
Resta l’insicurezza di un futuro ancora da costruire. «La mia paura più grande è di avere paura e quindi di farmi condizionare dagli altri, di non riuscire a essere vera. Troppe biografie sono rovinate dai compromessi, io vorrei continuare a essere me stessa indipendentemente da ciò che mi circonda. Mi toccherà dire tanti no, lo so, ma non è questo il problema. Il problema è essere abbastanza preparata da meritarmi la possibilità di pronunciarli, quei no. Altrimenti è solo presunzione».