C’è il rapper di successo di nuovo conio: vestito da eserciti di stylist, con l’agenda impegnatissima, il ritornello cantabilissimo, e che ti parla e risponde a modo quasi unicamente se c’è una media partnership di mezzo (per il resto con cortesia ti dice che purtroppo non si può fare, è già impegnato e fa fare al suo management tutto il lavoro sporco, il fare brutto). C’è il rapper che è venuto fuori dalla wave del 2016: che scandalizza i gatekeepers della old school e anche la casalinga di Voghera, che non sa chi siano i Sangue Misto (o comunque non si emoziona per loro), che fa le rime un po’ sì un po’ no, che la metrica la interpreta a modo suo e non è contento se non tronca una parola su due.
C’è poi il rapper della vecchia scuola: che – soprattutto se è rimasto confinato nella nicchia e nel dopolavorismo, sconfitto dalla vita o dal mercato – odia ad alzo zero tutto ciò che è nuovo, tutto ciò che è stato fatto dopo il 1998 (o era il 1996? O il 1989?), tutto ciò che funziona oggi nel mainstream anche solo per cinque minuti. C’è il rapper che vorrebbe avere successo, ma non ce l’ha (e rosica assai). C’è il rapper che ha un discreto successo, ma non abbastanza quanto vorrebbe (e rosica assai pure lui). C’è il rapper che non sa nemmeno bene cos’è il rap: ma vede che funziona, ci si lancia dentro, e cura l’inconscio senso di inadeguatezza e di impostura assumendo farmaci psicotropi con ricetta (che lo fanno rosicare meno, ma stare complessivamente peggio).
E poi ci sono Ensi e Nerone. Che non sono niente di quanto sopra. Avrebbero potuto esserlo o diventarlo, in qualche passaggio della loro carriera; ma in questo momento, ciascuno nel suo, sono invece in una posizione stranamente intermedia. Stranamente intermedia, ma soprattutto: felicemente intermedia. Ensi infatti ha sfiorato il mondo delle major e dal rapper che diventa progetto su cui investire, funzionando però a metà: se n’è sfilato fuori, tenendosi stretti anni e anni di credibilità, guadagnati suonando in modo instancabile nello zoccolo duro della scena, diventando leggenda delle battle di freestyle, ponendosi in modo sempre cazzuto e onesto sia coi famosi che con quelli rimasti nel sottosuolo. Nerone è più giovane e meno rodato («Non ho né la carriera né l’esperienza di Ensi», lo dice lui per primo), ma per quanto riguarda le battle non ha nulla in meno del collega in quanto a galloni da freestyler supremo e anzi, sa inquadrare perfettamente lo status del suo compare d’avventura, ora che hanno unito le forze per un album congiunto a nome Brava gente (inevitabile rimando ironico ai Goodfellas scorsesiani): «Lui ha sì uno status, ma è uno status molto particolare: quello di chi sta zitto e lavora, senza tante cazzate. E fa le cose bene. Che gli puoi dire? Lo ammiro tantissimo».
«Siamo indipendenti. E stiamo facendo comunque le cose come si deve», prosegue Ensi. «Abbiamo dei nomi nel disco a livello di collaborazioni che o te li compri a peso d’oro – e noi non ne abbiamo né la possibilità né la voglia – o collaborano con te solo ti stimano parecchio, se ti stimano davvero. Né io né Nerone abbiamo deciso di dare vita a questo progetto per riposizionarci, occhio: perché non ne avevamo bisogno». E quest’ultima cosa viene detta proprio guardando negli occhi l’interlocutore, a sottolineare il concetto. «Semplicemente, noi due ci siamo divertiti a fare un disco rap nel momento in cui, per entrambi, fare un disco di rap semplice e puro ma fatto bene sembrava una buona idea. Io per dire non ho nemmeno completato la trilogia che avevo iniziato prima della pandemia, Nerone pure dal canto suo aveva delle altre cose in ballo ma le ha al momento accantonate… Ma sai qual è il punto?».
Già: qual è il punto? «Io ormai so tutto di questo mondo. Tutto! Dopo tutti questi anni di carriera e dopo quello che ho vissuto, so perfettamente come funziona il business. Posso quindi permettermi di stare in un processo di perfetta indipendenza perché sono preparato: non mi puoi più fottere in alcun modo, punto». Una pausa, e poi: «Al tempo stesso però questa nostra indipendenza non è contro qualcosa o qualcuno, non è contro il sistema. Capisci? E non è nemmeno stata una scelta obbligata: non siamo andati a proporre il disco in giro a varie etichette per vedere chi ci faceva l’offerta migliore. No: avevamo già una realtà a cui appoggiarci, che ci stima e ci supporta, e questo ci bastava ed avanzava. Non c’era bisogno di andare in giro a cercare niente».
Prende la parola Nerone: «Oh, io non sono uno di quei rapper che ti fa guadagnare l’impossibile se tu lavori per me. Infatti il mio manager ha anche altri business. Io sono uno che semplicemente sparisce fino a quando non ha il disco pronto. Non sono uno che rompe i coglioni ogni singolo giorno per avere attenzione, per ottenere delle cose, per pretendere venga fatta qualche operazione su di me… Io faccio più o meno un disco all’anno, no? Finché ci lavoro sopra, scompaio. Poi quando ho finito mi servi: perché devo farlo uscire e devo impostare le date dei live. Da lì, vado in giro a suonare: e di nuovo non ho più bisogno di te. Se va bene insomma ti rompo le palle tre mesi su dodici, non di più, capito? Poi puoi anche dimenticarti che esisto! E così mi trovo benissimo. Sto divinamente. Quindi: quando hai una modalità di lavoro in cui ti trovi bene e hai il tuo equilibrio, che diavolo di bisogno hai di una major?».
«Oggi sembra che se non sei Lazza, sei un fallito che sta morendo di fame», chiosa Ensi. Per poi aggiungere: «E bada bene che a Lazza tutt’e due noi gli vogliamo un bene dell’anima. Pensa che mio figlio lo chiama “zio”, lui risponde chiamandolo “nipote”: è praticamente uno di famiglia… Ma ecco: molta gente parla di soldi, ma se poi non sei davvero lì a contarli tutto il tempo di cosa stiamo parlando davvero? Noi abbiamo fatto un disco molto onesto. Ci siamo tolti anche la soddisfazione di una confezione di lusso, con gran belle foto e il lettering del titolo curato da Luca Barcellona, e abbiamo scelto le produzioni che volevamo per tutt’e dodici i brani, tutta gente che abbiamo chiamato noi direttamente – anzi, a un certo punto ne avevamo chiamato pure troppa, qualche escluso ci sarà rimasto male – e che c’ha risposto subito con entusiasmo di voler entrare nel progetto. Questo ci basta e avanza».
«Nel fare tutto questo ci siamo anche divertiti un sacco, deviando ad esempio ogni tanto dalla strada che ci aspettavamo: per dire, quando siamo andati da Andry The Hitmaker pensavamo che c’avrebbe dato la classica base bounce, una roba da festa, da club, no? Invece proprio quel giorno pioveva e allora lui ha tirato fuori una cosa che sembra Drake, lentissima, cupa… Eppure: spacca!». Una pausa, poi Ensi specifica: «Abbiamo fatto tutto da soli. Noi e i beatmaker, punto. Nel nostro flusso di lavoro non serve avere tre o quattro autori che stanno lì a costruirti il ritornello, la melodia…». E qui irrompe Nerone, alla sua maniera, con un «altro che quattro autori: noi in studio abbiamo quattordici bertucce che ci saltano attorno, ecco cosa abbiamo come team, ecco come ci infottiamo!».
Facendo la contabilità, anzi, l’appello del who’s who di Brava gente: fra gli ospiti ci sono Salmo, Silent Bob e Speranza per quanto riguarda le rime, mentre per quanto riguarda i beat di nuovo Salmo e poi Crookers, 2nd Roof, Big Joe (ottimo il suo lavoro su Very Good / Back To Basic), Don Joe, 6ixpm, giusto per citare i nomi principali. Effettivamente, non è una compagine di secondo piano. Ma su tutto e tutti, regnano e comandano i due titolari dell’operazione: entrambi al massimo della forma, entrambi creatori di rime a getto continuo e di incastri metrici ad alto tasso di difficoltà (o di raffinatezza). Però ecco: non solo nel modo in cui ci si aspetterebbe. Non è solo il classico disco di rap da battaglia.
«Potevamo fare il classico disco dove sventoliamo la bandiera dell’hip hop duro e puro, di quello che ormai chiamano tutti “rap classico”, e nessuno c’avrebbe potuto dire niente: è la roba nostra, è quello che un po’ tutti si aspettano da noi due. Ma non siamo così semplici e bidimensionali. Per fortuna, dopo tutti questi anni l’hip hop è una faccenda molto più sfaccettata e fatta di declinazioni diverse, difficile ridurlo a un unico stile. Di sicuro volevamo fare una cosa tecnicamente all’altezza come rap, quello sì, ma era fondamentale che fosse anche attuale. Tutto ciò senza paranoie di numeri. Io li rispetto i numeri, sia chiaro; qui semplicemente non erano un obiettivo. L’obiettivo era invece fare esattamente quello che avevamo in testa e dire “Siamo qui, eccoci, questo siamo noi, vedete se riuscite a farlo meglio”». Qui salta su Nerone: «No che non possono fare di meglio, cazzo!». Una risata collettiva, e poi: «Oggi è di moda fare continui paragoni… Volete farlo con noi? Volete paragonarci con qualcuno? Fatelo. Non aspettiamo altro. Io sono carico a molla. E la cosa bella sai qual è? È che questo disco puoi ascoltarlo superficialmente, prenderne solo il lato più d’impatto euforico, e ti apre in due comunque; ma poi trovi anche delle tracce come Tagli come sorrisi e guarda, se la stai ascoltando in treno beh scoppi a piangere, e abbracci pure il capotreno se te lo vedi passare davanti… Fidati!».
«Già dai primi segnali che vedo attorno all’album», continua Ensi, «vedo non solo entusiasmo, ma proprio il fatto che la gente ha capito che noi due siamo genuini, onesti. Il fatto che non ci prendiamo troppo sul serio e non facciamo particolari proclami non significa che prendiamo le cose sottogamba, e che non abbiamo ambizioni. E poi: sia io che lui non siamo mai stati così in forma come adesso. Abbiamo fatto un disco pensato non per coprire tutti gli spazi e tutti i territori, per conquistare il mercato, ma per divertirci. E però anche per dire: eccoci, siamo qua, comunque vada dovete fare i conti con noi».