Con il singolo Ferma a guardare Ernia e i Pinguini Tattici Nucleari sono la nuova strana coppia della scena musicale italiana. Da un lato hai un rapper di 27 anni cresciuto alla periferia ovest di Milano – al secolo Matteo Professione – che dopo un album e un EP con i Troupe d’Elite accanto, tra gli altri, a Ghali, si dà alla carriera solista e lì raccoglie i frutti della gavetta: incluso nel suo terzo disco Gemelli, uscito lo scorso giugno, il singolo Superclassico di Ernia è diventato una hit da quattro dischi di platino. Dall’altro hai una band indie pop bergamasca attiva dal 2010 e approdata nel mainstream sempre nel 2020: in questo caso la canzone del colpaccio è stata Ringo Starr, biglietto da visita presentato al Festival di Sanremo di un anno fa e scritto dal frontman del gruppo, il 26enne Riccardo Zanotti.
Ferma a guardare è la sintesi di questi due percorsi: un brano di Ernia riarrangiato con i Pinguini, mix di rap e pop con ritornello orecchiabile e testo che parla di amore, sbagli e ferite, che lo stesso rapper e Zanotti avrebbero potuto cantare insieme anche dal vivo, se non fosse che ci si è messo di mezzo il Covid-19.
Rolling Stone li ha fatti incontrare su Zoom per due chiacchiere.
Ernia: Ciao Riccardo!
Riccardo: Ciao Matte, come va? Questa pandemia?
Ernia: Guarda, non ho più niente da dire su questo, sono in uno stato di abbandono rispetto a quello che succede, seguo la corrente, aspetto di vedere quello che avverrà tipo morto, incosciente.
Riccardo: Sai che anch’io? Se penso ai concerti che avremmo potuto fare… È dura per una band come la nostra che ha sempre fatto tanti live, ma penso sia lo stesso per te. Dopo un anno non poter fare tour diventa logorante, ti viene quasi da chiederti perché fai questo mestiere: al di là dei passaggi in radio, al di là delle interviste e della daily routine, ogni tanto mi sembra non ci sia più un motivo.
Ernia: Ma anche a te accade di non riuscire più ad avere la percezione di quel che sta succedendo?
Riccardo: Cosa intendi?
Ernia: Che senza concerti non ci si rende conto di quel che succede là fuori. Va bene i numeri su Instagram, quelli su Spotify, ma me li scrivo io da solo, cioè, mi scrivo sulla lavagna «ho fatto 10 milioni di ascolti» e mi dico «grazie di tutto». Tutto da solo, capisci? Mi stringo anche la mano da solo.
Riccardo: Sì, è esattamente così. Se poi pensi che con i numeri di Spotify si può rendere artificioso tutto… Insomma, c’è sempre qualche gabola per fare qualsiasi cosa tranne che nel live, quella è l’unica dimensione dove si vede sul serio la forza o non forza di una band, lì capisci quanto un artista è pompato in maniera artificiale o se c’è sostanza. Adesso fare questa distinzione è impossibile.
Ernia: Hai ragione, ci sono rapper che fanno una valanga di streaming, poi vai ai loro concerti e scopri che sotto al palco hanno 400 persone. Ad ascoltare una canzone su Spotify pagando – sempre che li paghino – 10 euro al mese comprensivi di tutta la musica del mondo sono bravi tutti, solo durante i concerti e le attività dal vivo vedi quanti sono disposti realmente a seguirti.
Riccardo: In effetti ogni mese scopro qualche rapper nuovo con milioni di ascoltatori…
Ernia: Sì, ma chissà chi farebbe davvero gente dal vivo. Perché almeno una parte del rap è ascoltata da ragazzi molto, molto, molto giovani, che ai concerti non ci vanno. Tra l’altro è curioso che molti di quei giovanissimi credono di ascoltare roba da super adulti, è come se non si accorgessero che sono tutti quattordicenni, me ne sono accorto leggendo i commenti sui social. Guarda che non è un caso che io sia arrivato al mainstream grazie a Superclassico, pezzo ispirato all’indie pop.
Riccardo: E che reazioni hai notato?
Ernia: Molti, come adesso con Ferma a guardare, hanno iniziato a dire che faccio musica per ragazzine.
Riccardo: Cioè, vedono l’indie pop come musica per ragazzine?
Ernia: Sì, perché parla d’amore… Ma l’altro giorno, dopo che qualcuno mi ha scritto questa cosa, sono andato a vedermi gli insight e ho fatto il calcolo: di 645 mila che mi seguono su Instagram, 16 mila sono ragazze minorenni, quindi pochissime, ho fatto la verifica anche su Spotify e la percentuale è simile. La verità è che sia con Superclassico sia con Ferma a guardare mi si è alzata clamorosamente l’asticella dell’età, sono molto più grandi quelli che mi seguono adesso!
Riccardo: Ma sai che a me ‘sta cosa delle ragazzine ha rotto un po’ i coglioni? Perché la dicono anche a noi. Al di là del fatto che è sessista, non è vera: parlando di insight, i fan dei Pinguini hanno perlopiù dai 20 ai 30 anni, solo che con lo stop ai concerti non la puoi vedere, questa cosa. Cavoli, quanto mi mancano i tour, stare tra di noi della band, giocare a carte, i day off. Che poi nei Pinguini ognuno ha la sua personalità, c’è quello che finisce scortato in hotel dalla polizia e quello che sta tutto il tempo al telefono con la fidanzata, ma è bello proprio per questo. Mi sa, però, che tu sei molto meno morigerato di tutti noi (ride).
Ernia: Bah, sì, avrei parecchi aneddoti sui tour (ride). Ma non robe da backstage, anzi, mi fa ridere che tutti pensino che le cose più incredibili accadano nel backstage: non so tu, ma io ormai caccio via tutti, mi scrivono gli amici per chiedermi il pass, ma voglio stare da solo, perché comunque in quel momento sto lavorando. Semmai dopo il concerto, altrove… Ma non lì, il backstage non è un privé, c’è un viavai di gente che lavora e io divento severissimo.
Riccardo: Per me è lo stesso, se per backstage s’intende la stanza destinata alla band, quella serve per concentrarsi, ripassare il live, stare un po’ con se stessi. Dopodiché qualche ubriaco nei corridoi c’è sempre, o magari qualcuno che litiga con qualcun altro, ma ormai chiunque può fare foto e video…
Ernia: Sì, infatti, che ne sai che non ti riprendono? Fino a qualche anno fa, prima di avere la macchina, una delle cose che m’infastidivano di più era essere fotografato o ripreso di nascosto sui mezzi pubblici: se vuoi una foto con me, chiedimelo, no? Insomma, bella lì, le faccio con tutti le foto, mi fa piacere. Però di nascosto mi manda fuori di testa, perché così mi stai obbligando. Io magari non dovrei nemmeno essere qua, magari ho detto alla mia ragazza che me ne sarei stato a casa a dormire, invece sono uscito a fare la spesa, tu mi fotografi e posti la foto sui social e alla fine da una cazzata può essere anche che mi crei un problema.
Riccardo: Se è per questo io ho rischiato degli incidenti in macchina a Bergamo. Ci sono persone che per fotografarti ti superano dove non si può oppure si fermano in mezzo alla strada e scendono. Così diventa pericoloso, non puoi farmi una curva davanti a 150 chilometri orari solo perché vuoi fotografarmi!
Ernia: Pensa se adesso potessimo partire per un tour.
Riccardo: Dove ci manderebbero a dormire? Perché non so tu, ma noi abbiamo avuto di tutto, dalle bettole all’hotel di lusso col pasticciere che la mattina ci faceva le crêpes. Una volta abbiamo dormito in una chiesa sconsacrata, completamente impolverata, con dentro l’incenso lasciato lì, le croci, i Gesù Cristi, e il nostro fonico è andato a letto per primo chiudendosi a chiave in stanza perché boh, aveva paura, lo inquietava la situazione, e di notte gli abbiamo fatto uno scherzo, siamo entrati in camera sua dalla soffitta e lo abbiamo spaventato a morte. Tra l’altro la mattina abbiamo scoperto che di fianco c’era un’altra chiesa, ma operativa: siamo stati svegliati da delle vecchiette che intonavano dei canti liturgici (ride). Ma secondo me voi rapper non le conoscete, le bettole, voi sapete farvi valere anche a inizio carriera: siete convinti, andate forte, quindi giustamente la gente vi rispetta. A noi un cazzo di niente!
Ernia: Ma no, io da giovanissimo con i Troupe d’Elite ho affrontato un fallimento, per cui quando mi è ripartito tutto accettavo qualsiasi sistemazione. Figurati che anni fa viaggiavo con una Yaris completamente scassata con scritto sopra, con una chiave, “BUFU”, a caratteri cubitali. Hai presente l’insulto usato dalla Dark Polo Gang? In pratica una sera abbiamo discusso con dei ragazzi vicino a Ravenna e questi ci hanno rigato la macchina con questa parola che manco so bene cosa significa, credo derivi dall’inglese “butt fucker”, in sostanza “rotto in culo”.
Riccardo: Però dalle nostre parti mi avevano detto che “bufu” sta per “buffone”…
Ernia: Ci sono varie teorie, può essere!
Riccardo: Ma cos’è che avevi fatto subito dopo la fine dei Troupe d’Elite?
Ernia: Di tutto, dal cameriere al guardiano di notte in un laboratorio, di quelli coi topi.
Riccardo: Anch’io quando stavo a Londra ho fatto il cameriere, il barista. Perché dovevo mantenermi. O quantomeno avevo bisogno di pagarmi l’affitto, dato che l’università me l’ha pagata lo Stato inglese con delle borse di studio (Riccardo è laureato a Westminster in Commercial Music, nda). È stata dura, ho dovuto mentire nel curriculum.
Ernia: Quello per forza, voglio dire, anche se sei giovanissimo si aspettano che tu sia diplomato o laureato e pure con esperienza… Io avevo un curriculum per ogni lavoro, il curriculum ristorazione, il curriculum vendita, tutte robe inventate.
Riccardo: Già, e poi magari chiami l’amico che lavora davvero in un ristorante e gli dici «oh, se ti chiamano, di’ che ho lavorato qui!».
Ernia: Eh, certo.
Riccardo: Ma sai a me cos’è successo? La prima volta che mi hanno assunto come barista al Costa Coffee, una catena di bar, mi hanno chiesto di preparare un tè, solo che a casa mia il tè non si è mai bevuto, così dopo aver bollito l’acqua prendo in mano la bustina e, invece di immergerla e lasciarla nella tazza, la apro e verso il tè direttamente nell’acqua. Infatti giustamente dopo un mese mi hanno cacciato! Però quando ho avuto successo con i Pinguini il mio capo di allora, che era un italiano a Londra come me, mi ha chiamato per dirmi che ci ascoltava e che gli dispiaceva avermi licenziato.
Ernia: Ma vaffanculo, va! Ma tu quanto sei stato a Londra?
Riccardo: Cinque anni.
Ernia: Ah ecco, giusto, io cinque mesi. Però nello stesso periodo, mi sa, era il 2015.
Riccardo: Sì, ne avevamo parlato una volta. Ma posso chiederti una cosa? Tu in 68 parli di una croata squilibrata…
Ernia: Perché quando sono arrivato a Londra sono stato per due o tre settimane da un’amica che mi ha ospitato, poi però abbiamo litigato e sono andato a vivere a West Brompton.
Riccardo: Bellissimo West Brompton!
Ernia: Vero, e pagavo pochissimo per quella zona, 120 sterline per una stanza singola, un affare. Ed eravamo solo io e la padrona di casa, che era una sessantenne croata fuori di testa, appunto.
Riccardo: Ora capisco! Invece io il primo periodo a Londra l’ho trascorso a Earls Court in un ostello terribile, poi ci sono stati King’s Cross, Camden e altri posti.
Ernia: Be’, in cinque anni è normale spostarsi più volte. Pensa che io sarei dovuto andare in Australia, solo che non potevo ricevere il visto australiano, perché avevo un processo in corso…
Riccardo: Ahahah!
Ernia: Davvero, è stato mio padre un giorno a dirmi «perché non vai a Londra nel frattempo?».
Riccardo: Ora penseranno tu abbia combinato chissà cosa.
Ernia: Ma mica era una rapina a mano armata! Una ragazzata in cui non c’entravo niente, non ero colpevole, ero giovanissimo e avevo solo coperto un altro ragazzo. Quando mi sono messo in testa di andare in Australia stava cadendo tutto in prescrizione perché erano già passati sei anni dai fatti. Ma hai ragione, adesso il politically correct è alla massima potenza.
Riccardo: Ed è stressante, devo dire, ogni cazzata che diciamo è sezionata all’inverosimile.
Ernia: A me ogni tanto sembra di vivere con le spalle al muro, bisogna stare attentissimi a dire qualsiasi cosa perché ti rigirano tutto. «Volevi dire questo!». No, non volevo dire questo, lo saprò io?! Che poi è stata la nostra generazione ad avviare questa cosa, solo che ha attecchito così tanto sui teenager di adesso che mi accorgo che loro sono già impostati: certe cose si possono dire, altre no; questo lo devi dire così, questo cosà. Mi chiedo quanti rispettino quei criteri nella vita di tutti i giorni. Per esempio, non so se hai notato che quando in un bar il barista è straniero, allora molti gli danno del tu anche se è un signore di una certa età: dagli del lei come fai con gli italiani. Invece no, e poi magari sono gli stessi che «ah, questo non si fa». Voglio dire, non si capisce, questa cosa del politicamente corretto è qualcosa che hanno dentro o è solo un’armatura che indossano?
Riccardo: Concordo, anche a me di questa cosa spaventa l’ipocrisia. Meno conflitti, meno contrasti, meno caccia alle streghe, per favore. E più confronto tenendo conto delle intenzioni. Perché è normale che mio nonno certe cose non le capisca, ma non è che lo attacco, cerco di spiegargli, semmai.
Ernia: Soprattutto perché poi sui social questa roba diventa un nazismo al contrario, a volte scattano degli shitstorm che davvero non hanno giustificazione.
Riccardo: Infatti io ogni tanto cerco di starci lontano, dai social, non mi ci diverto più. Perché cavoli, siamo ragazzi che non fanno niente di male, suoniamo la nostra musica che è la nostra passione, eppure c’è così tanta cattiveria che dopo un po’ ti serve un detox, e allora ti organizzi una giornata al lago o in montagna. Il problema è che con la pandemia persino organizzare una gita diventa complicato. Però davvero, per me tutta questa rabbia sui social è quasi insostenibile a volte. Poi ok, non è che ti metti a piangere, ma meglio evitare: se ti metti a leggere i commenti come fanno alcuni colleghi finisce che a lungo andare diventi più acido.
Ernia: È logorante, è vero, purtroppo a volte io ci casco, nella lettura dei commenti. È che è tutto uno sfogo senza senso: faccio musica, non sono un trafficante di bambini, se non ti piace un mio pezzo ‘sti cazzi, vai da un’altra parte, ascolta altro. Nel rap oltretutto, essendo che c’è una grande componente di ego, c’è anche questa cosa di dire «chissà quanti soldi hai fatto». E io ogni volta non me lo spiego, cioè, anche se fosse, a te che cazzo te ne frega? Mica te li ho rubati.
Riccardo: Però è diffuso anche nel nostro mondo, questo atteggiamento. Ma forse nel rap di più.
Ernia: Sì, per non parlare di quelli che se hai un singolo che va forte, com’è successo a me con Superclassico, ti dicono che l’hai fatto per soldi. Ma non è che esista una formula per scrivere canzoni che sicuramente funzioneranno, che senso ha?
Riccardo: Ti ho detto, meglio staccare ogni tanto. Certo, con questi lockdown non è facile. Durante il primo avevo intensificato la mia attività di giocatore di FIFA, Crash Bandicoot, di mille robe a cui giocavo da ragazzino.
Ernia: Sì, anch’io, figurati che avevo la PlayStation 2 e dopo 15 giorni di quarantena mi sono comprato la 4 su Amazon. Tieni conto che in quel periodo ero con i miei: già non ho tanta pazienza, in più lì ho avuto la sfiga che stavo per traslocare, ma quando ci hanno rinchiusi la casa nuova non era ancora pronta, così sono rimasto da loro. Roba da rischiare davvero di perdere la testa. Infatti ho giocato praticamente sempre, anche perché non sono tanto da serie tv, di serie lunga ho visto solo Vikings.
Riccardo: Fantastica Vikings! Io invece ne guardo tante, di serie, adesso sono su The Crown. Però devi vedere almeno Utopia, quella è una bomba, forse in questo periodo storico mette un po’ di ansia, ma è da vedere. E SanPa l’hai vista?
Ernia: Mi sono ripromesso di vederla.
Riccardo: Te la consiglio, è fatta bene, perché alla fine non sai bene cosa pensare, di San Patrignano. Senti le testimonianze di quelli che ci hanno vissuto e rimani un po’ lì nel mezzo, mi è piaciuta per questo, perché non prende posizione, ti racconta la storia nel bene e nel male e poi ognuno la pensi come vuole.
Ernia: La guarderò. E di libri cosa mi consigli? Quest’anno ne avrò letti cinque o sei, non moltissimi, ma a quanto dicono più della media. Ho recuperato L’insostenibile leggerezza dell’essere di Kundera, che avevo in stand-by da anni, perché me l’aveva regalato una mia ex, probabilmente per lanciarmi dei messaggi subliminali che non ho colto (ride). È anche uno dei libri preferiti di mia madre, ma non mi ha fatto impazzire. Invece mi è piaciuto tantissimo il graphic novel Maus di Art Spiegelman.
Riccardo: Ah, uno dei miei preferiti, una pietra miliare. Io in questo momento ne sto leggendo due, di libri. Lo sbiancamento dell’anima di Rocco Tanica degli Elio e Le Storie Tese, che ti consiglio perché fa morire dal ridere, Tanica racconta delle storie incredibili, come quando si è nascosto delle banconote nel sedere per passare alla frontiera. Poi Il gatto che voleva salvare i libri, mi sta piacendo, è un romanzo un po’ alla Piccolo Principe, bello, leggero. A volte mi leggo dei mattoni, ma in questo momento ho bisogno di leggerezza. Quand’è che ricominceremo a viaggiare liberamente?! Se penso che fino a un anno fa andavo a Londra una volta al mese… E adesso in più c’è la Brexit.
Ernia: Chissà come sta la psicopatica croata che era la mia padrona di casa. In fondo anche da lei ho imparato, in generale vivere all’estero mi ha aiutato a farmi la pelle dura, a costruirmi una corazza.
Riccardo: Pensa che io a un certo punto a Londra ho vissuto con un quarantenne di nome Felipe – anche lui un matto, mi svegliava alle 4 del mattino per chiedermi le sigarette e io non ho mai fumato in vita mia – e un giorno, mentre ero fuori casa, mi sfonda la porta, mi ruba tutto quello che avevo e se ne torna nel suo Paese, in Colombia. Ed è vero quello che dici: se sei lontano da casa, davanti a certi imprevisti devi cavartela da solo, non puoi stare lì a piangerti addosso, e questo ti rafforza.
Ernia: Dovrebbero farla tutti i giovani un’esperienza all’estero.
Riccardo: Ma a proposito di giovani, qualche tempo fa parlavo con Madame e si diceva che mentre nel mondo del rap e della trap ci sono tantissime superstar tra i 18 e i 27-28 anni, nel pop è più probabile che si sfondi a 30 anni. Non so, è una cosa che mi pesa, questa, a volte mi fa sentire rappresentante di una musica un po’ vecchia.
Ernia: Ma Riccardo, in realtà dovresti essere felice di questa cosa! Da voi si sfonderà più tardi, ma dopo durate di più, andate avanti, mentre a noi a una certa ci dicono «basta, sei vecchio, non ti voglio più sentire». Tra l’altro ti smentisco: adesso c’è Ariete, che sta un po’ a metà tra rap e pop e ha 18 anni.
Riccardo: Ah, lei l’avevo vista a X Factor, aveva fatto Irene, un nostro pezzo. Si capisce che viene più dal rap, ma mi è sempre piaciuta, è bello se fa un po’ di crossover. Ma per ora è un’eccezione, ne vorrei di più di Ariete nel mercato discografico italiano. Anche perché di donne se ne vedono talmente poche, sarebbe bello se ce ne fossero di più. E questo al di là di ogni politicamente corretto.