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Everything But the Girl, ora o mai più

È quel che Tracey Thorn e Ben Watt si sono detti prima di mettersi al lavoro sul nuovo album ‘Fuse’. Storia del ritorno di due musicisti che non se ne sono mai andati, anche se non fanno concerti da più di 20 anni

Foto: Edward Bishop

Non si può certo dire che negli ultimi 24 anni Tracey Thorn e Ben Watt siano stati con le mani in mano. Hanno pubblicato album solisti, scritto libri, fatto i dj, gestito un club e due etichette discografiche. Ma sempre ciascuno per conto proprio. Insieme hanno fatto tre figli, in compenso. Ma anche nel nuovo millennio era difficile non pensare a loro come Tracey e Ben degli Everything But the Girl. Solo che gli Everything But the Girl non c’erano più dai tempi di Temperamental (1999), l’ultimo album pubblicato, e dai concerti dell’estate 2000.

L’annuncio di un imminente nuovo album (Fuse, in uscita venerdì 21) dato nello scorso autunno ha provocato gioia e stupore. Cos’è che li ha portati a questa decisione? Sono loro stessi a spiegarcelo, in collegamento via Zoom dallo studio che hanno ricavato nella loro casa nel nord di Londra.

«Non penso sia successo qualcosa di sismico, piuttosto la nostra decisone di pubblicare un nuovo album è il risultato di un cambiamento avvenuto alla fine della pandemia», racconta Ben. «Come molte altre persone, abbiamo dovuto rivalutare la nostra vita e le nostre priorità, riconsiderare cosa avremmo voluto fare subito dopo. Ci eravamo molto abituati, per molto tempo, a lavorare ciascuno sui propri progetti. Quando è scoppiata la pandemia io stavo per partire per un tour mondiale legato a Storm Damage, il mio ultimo album solista, e Tracey stava per pubblicare un libro, La mia amica rock’n’roll (storia della sua amicizia con Lindy Morrison dei Go-Betweens, nda), ed era pronta per andare in giro a promuoverlo. Ovviamente la pandemia ha cambiato tutto e al termine dell’emergenza ci siamo guardati in faccia e ci siamo chiesti: andiamo avanti con quello che stavamo facendo o facciamo qualcosa di diverso?».

«È stata Tracy la prima a pensare che le sarebbe piaciuto lavorare di nuovo insieme. La domanda che ci siamo posti è stata: se non lo facciamo adesso, lo faremo in futuro o magari non lo faremo più? Io all’inizio non ne ero del tutto convinto, ma gradualmente ho capito che lavorare di nuovo insieme sarebbe stato molto bello. Personalmente avevo anche dei problemi logistici. Viaggiare è diventato più complicato a causa del Covid, a cui io devo aggiungere la mia condizione autoimmune che mi mette ulteriormente a rischio, quindi tornare in tour per un mio album solista è molto difficile. Allora mi sono detto: realizzare un progetto assieme mi permetterebbe di restare in Inghilterra. Facciamolo».

Watt soffre della sindrome di Churg-Strauss, una patologia rara che gli ha provocato notevoli problemi di salute, da lui stesso raccontati ne Il paziente. Spesso ha dovuto fermarsi, rinunciare ai propri impegni di musicista per dare la precedenza ai segnali che il proprio corpo gli mandava. E proprio “fermarsi” è una delle parole chiave nella storia degli Everything But the Girl.

Nel marzo del 1997 sono in una stanza d’albergo a Perth quando ricevono la proposta di aprire i concerti americani degli U2, quelli del Pop Mart Tour, quelli dell’altissimo arco giallo e del gigantesco limone. «Sai che c’è, babe? Penso di volermi fermare», dice Tracey a Ben. Nel gennaio del 1998 nascono Jean e Alfie, gemelle che successivamente verranno portate in tour in un tentativo solo parzialmente riuscito di conciliare famiglia e musica: il live al festival di Montreux del luglio del 2000 è tuttora l’ultimo concerto degli Everything But the Girl, e a quanto pare lo resterà ancora a lungo. Ben è perentorio in proposito: «Non è una cosa che abbiamo in programma. Nel nostro calendario non ci sono concerti. Qualche mese prima dell’ultima edizione del Primavera Sound di Barcellona in uno dei cartelloni fake che escono sempre ho letto il nostro nome scritto bello in grande e mi sono detto: oh, no!».

Quella che disse no agli U2 era una band che aveva venduto un milione e 200 mila copie di un album, Walking Wounded, trainato dal successo del remix (opera di Todd Terry) di un brano presente sull’album precedente. Il brano in questione è ovviamente Missing, perla di un disco (Amplified Heart, del 1994) uscito tre anni dopo il fiasco di Worldwide (1991). Di quest’ultimo è la stessa Tracey a raccontare che non era stato considerato degno di attenzione da parte di nessuno, non era stato recensito e nessuno aveva niente da dire.

Alti e bassi della carriera di un gruppo unico, che ci tiene a non essere etichettato. «Per noi contano solo le parole e la musica», chiarisce Ben quando gli chiediamo se ci sono band con le quali sentono di avere qualcosa in comune. «Testi, melodie, strutture armoniche, beat. Sono queste le cose che consideriamo quando decidiamo cosa fare. Non consideriamo mai la musica in termini di altre band o di scene. Non penso mai che il dubstep è venuto dopo la house, o che la house è venuta dopo la disco. Non penso alla musica in questo modo. Ascolto un sacco di musica e mi piace farlo, ho una playlist pubblica dove metto tutta la mia musica preferita, lì si può vedere quali sono gli artisti che influenzano quello che facciamo, ma non penso mai a quello che gli altri stanno facendo».

Tracey dal canto suo mette l’accento sull’importanza per un musicista di non stare troppo a contatto con la musica altrui, una precauzione presa anche durante la lavorazione di Fuse, terminata nello scorso autunno. «Quando stai facendo la tua musica ti devi in qualche modo disconnettere, per non essere coinvolto da quello che gli altri hanno fatto. Noi ascoltiamo un sacco di musica ma ci sforziamo anche di distaccarcene. Bisogna cercare di evitare che la musica degli altri ti intimidisca, e anche cercare di non lavorare con la preoccupazione di mostrare in maniera troppo aperta le proprie influenze. Quando sei nel mezzo di un processo artistico devi startene per conto tuo. Devi cercare di fare un disco che solo tu potresti fare, che suoni unico, ascoltando il quale si capisca che musicista sei».

Fuse appartiene al filone che la stessa Tracey ha definito «electronica con canzoni» nel suo libro Bedsit Disco Queen, vera e propria storia della musica pop anni ’80 e ’90 raccontata attraverso la vita della stessa cantante. È un disco notturno e dal sound minimalista che parla di amore per la musica, come in No One Knows We’re Dancing, ispirata ai personaggi che popolavano il Lazy Dog, club di West London in cui Ben Watt faceva il dj, o nella conclusiva Karaoke, in cui le voci di Tracey e Ben si mescolano su un testo ispirato alla visita di quest’ultimo a un karaoke bar di San Francisco: cantare al karaoke o su un palco importante non fa tanta differenza, in entrambi i casi davanti al microfono c’è qualcuno che si vuole esprimere.

Per diversi anni Tracey Thorn ha rinunciato a esprimersi cantando. Tra Temperamental e Out of the Woods (2007), il suo primo album solista, ne sono passati otto. In Bedsit Disco Queen racconta del party di Natale della EMI del 2004. Neil Tennant dei Pet Shop Boys le chiede: «Che fai ora con la tua bella voce?». «Grido dietro ai miei figli», risponde lei. Ma l’aneddoto più incredibile è un altro. Un giorno si trova fuori dalla scuola delle gemelle, in mezzo al tipico crocchio di mamme che parlano di insegnanti e gite. Nessuno degli altri genitori ha mai fatto riferimento al suo passato di cantante. Forse è un passato che ignorano del tutto. Si avvicina una enorme Range Rover nera con vetri oscurati. Uno dei finestrini si abbassa lentamente rivelando il volto di un figaccione coperto da occhiali neri. «Ehi Tracey, quanto tempo, come te la passi?». Tutte le mamme si voltano e riconoscono immediatamente il figaccione. È George Michael.

Oggi i figli sono tutti fuori di casa, e anche questo ha influito nella decisione di pubblicare un nuovo album. «Fuse è l’inizio di una nuova fase della nostra vita, diversa dalla precedente», spiega Tracey. «Per tanti anni siamo stati dei genitori, con i bambini a casa, e abbiamo dovuto conciliare il nostro lavoro di musicisti con la vita familiare. Stavolta il mio pensiero è stato: non siamo destinati a ringiovanire, non è il caso di dire a noi stessi che “un giorno” lavoreremo di nuovo assieme. Un giorno non avremo più tutte queste opportunità. È il caso di cogliere l’attimo, di buttarci e vedere cosa ne viene fuori».

In La mia amica rock’n’roll Tracey scrive che, ai tempi dei Go-Betweens, Lindy Morrison e Robert Forster «eseguivano l’intricata e scomoda danza dell’essere una coppia in una band». Ma cosa succede quando la coppia è la band? «È complicato», spiega ancora Tracey. «A volte penso che la gente abbia una versione leggermente idealizzata di noi due e delle nostre vite. Perché, come è ovvio, da fuori sembra tutto fantastico. Stiamo insieme da tanto tempo, abbiamo lavorato insieme, abbiamo tre figli. Ma ci sono anche i momenti difficili. È successo in passato, per esempio durante i tour. Ci sono stati momenti in cui essere una coppia è stato difficile. Se le cose non vanno bene ma devi comunque salire su un palco non è il massimo, può essere dura. E anche in studio, quando il lavoro non gira e ti sembra di non avere idee, per una coppia può essere stressante. Uno dei motivi per i quali non abbiamo lavorato assieme per molto tempo è il fatto che avevamo tanti altri rapporti in corso. Dovevamo provare a rimanere una coppia, eravamo genitori di tre figli: avevamo paura che se avessimo anche lavorato assieme ci saremmo caricati di una pressione eccessiva per far sì che tutto funzionasse».

Ecco allora uno degli altri motivi per fermarsi. «A quel punto abbiamo preso una decisione: avremmo vissuto assieme la nostra vita familiare ma avremmo separato le nostre vite lavorative. E penso che sia stata la scelta giusta, perché ha permesso a entrambi di essere creativi senza che questo fosse sempre parte del nostro rapporto. Adesso i figli se ne sono andati di casa, il nostro ruolo di genitori è meno presente e possiamo tornare ai ruoli che avevamo quando eravamo più giovani: possiamo essere un po’ più egoisti, un po’ più preoccupati di noi stessi e del nostro lavoro. Per noi funziona così».

E cosa succede quando la coppia è la band ma la band è in pausa per 24 anni? «Siamo sempre stati molto prudenti al riguardo», precisa Ben. «Non abbiamo mai detto che gli Everything But the Girl non sarebbero tornati. Quando ce lo chiedevano, abbiamo sempre risposto: al momento non stiamo lavorando insieme e non prevediamo di farlo. L’ultima cosa che abbiamo fatto insieme è stata l’esibizione a Montreux nel 2000, ma da lì in poi siamo sempre rimasti creativi. Io ho fatto diversi remix, ho gestito un’etichetta, abbiamo allevato i nostri figli, Tracey ha fatto degli album e ha scritto dei libri. Di cose ne abbiamo fatte, anche se non con il nome della band. Quella di tornare a lavorare insieme è stata sì una decisione impegnativa, ma non è che ci fossimo dimenticati di come si suona».

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