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Foo Fighters, la dolce vita della rock band più grande d’America

Riff enormi, niente drammi e un sacco di barbecue: viaggio nella vita di Dave Grohl, sopravvissuto del rock
Foo Fighters. Foto Mark Seliger

Foo Fighters. Foto Mark Seliger

«Questo è il mio primo giorno libero in settimane», dice Dave Grohl in piedi nella sua cucina. È scalzo e indossa dei jeans e una t-shirt da motociclista. Il frontman 48enne dei Foo Fighters non ha molto tempo libero in questo periodo, tra le registrazioni, i tour, i documentari e i concerti con più o meno chiunque. «Mi piace suonare, tutto qui!». Oggi è stranamente libero. «Che si fa?»

I Foo Fighters hanno finito le preparazioni del tour promozionale del loro nono album, Concrete and Gold, e forse è per questo che Grohl può concedersi qualche giornata di riposo. Ma «i batteristi sono squali», dice il chitarrista Pat Smear. «Devono muoversi continuamente, altrimenti muoiono». Invece di riposare, infatti, il tempo libero verrà usato per togliersi di torno un po’ di cose da fare. «Non hai impegni, vero?», mi chiede. Non ne ho. Ok, andiamo!

Casa Grohl si affaccia sulla San Fernando Valley. «Qui c’erano solo aranceti», spiega. «E una novantina di anni fa gli attori di Hollywood passavano tutti i weekend da queste parti». Il quartiere dove abita, per esempio, apparteneva a Clark Gable. «Ora è il posto meno cool di tutta Los Angeles». Saliamo sulla sua Tesla, una nave spaziale da $140,000, e Dave si avventura giù per la collina ascoltando i Sonic Youth e tamburellando sul volante. Grohl è un batterista 24 ore su 24: batte le mani, tiene il ritmo con il piede e non si ferma nemmeno per un secondo. Suona inconsciamente, come per non perdere mai il ritmo degli eventi. «Lui è sempre al massimo», dice l’amico Paul McCartney. «Mi dicono che sono un tipo entusiasta, ma lui lo è il doppio».

Ci fermiamo da Amoeba Records, il leggendario negozio di dischi di Hollywood. È alla ricerca della musica giusta per la piccola Harper – 8 anni, già discreta batterista -, così da aiutarla con gli esercizi allo strumento. La figlia ha richiesto gli Imagine Dragons, ma Grohl ha intenzione di «contrattaccare con un po’ di AC/DC». Sì, perché «Highway to Hell è perfetta anche per una bambina di 8 anni, non puoi sbagliare».

Il negozio è stracolmo di gente, c’è una in-store performance di Lana Del Rey. Grohl si fa strada tra i fan, chiedendo continuamente scusa, e prende i dischi che deve comprare. È chiaro a tutti, ormai, che il frontman dei Foo Fighters è un tipo semplice, uno capace di far pensare a tutti i suoi fan – anche alle migliaia che li ascoltano negli stadi – di essere disponibile per farsi una birra. Grohl è il Tom Hanks del rock: il sindaco-di-fatto, il tizio con cui tutti vogliono avere a che fare. I Grammy hanno bisogno di qualcuno per accompagnare Deadmau5? Chiamate Dave Grohl. L’Academy vuole una chitarra acustica per la cerimonia degli Oscar? Ecco Grohl con il suo seggiolino. La cover band dei Sabbath di tuo cugino ha bisogno di un batterista d’emergenza? Chiamate Dave Grohl e sarà da voi in 20 minuti.

Persino i Foo Fighters sanno che non c’è niente di eccezionale nei Foo Fighters del 2017. Sono la rock band più grande d’America, riempiono gli stadi anche in un momento storico dove il genere non tira più come un tempo. «Non c’è più musica rock», dice Hawkins, il più giovane nonostante abbia da poco spento 45 candeline. «A volte mi chiedo: “A 17 anni avrei mai ascoltato una band di 50enni?” Probabilmente no».

Grohl è d’accordo. «A 26 anni dicevo di voler smettere a 33», dice. «Tra un anno e mezzo ne compierò 50. Non avrei mai pensato di suonare ai festival con i capelli bianchi, ma è successo, e mi sta bene così». Quando si tratta di rock è un evangelista. «Mi piace ancora uscire e vedere le nuove band», dice. «Penso che ci sia una nuova generazione pronta a esplodere». La cosa più importante, però, è fare i dischi, possibilmente alla grande. «Ho sempre avuto paura di far parte di una heritage-band, un gruppo che sopravvive solo grazie al passato», dice. «Penso che dobbiamo continuare a sfidare noi stessi».

Per quanto riguarda la musica, «la nostra formula magica è piuttosto semplice. Se suoniamo tutti nella stessa stanza il suono dei Foo Fighters viene fuori subito. La sfida è evolvere». Appena usciti dal negozio, Grohl mi chiede se voglio visitare lo studio dove hanno registrato, e io ovviamente accetto. «In questa sala abbiamo mixato Nirvana Unplugged, secoli fa», mi dice mentre entriamo nello studio costruito per Frank Sinatra. Apre la porta di una stanza e mi sussurra: «Qui hanno fatto Pet Sounds, ti rendi conto?».

Per Concrete and Gold hanno scelto di lavorare con Greg Kurstin, il mago del pop che ha firmato Hello di Adele. Grohl è un grande fan della sua band, i Bird and the Bee, e ha scelto Kurstin per incorporare nel suono dei Foo le sue armonie esagerate. «Dave ci pensa da anni, ai cori e alle melodie di contrappunto», spiega il chitarrista Chris Shiflett. «Devo dire che è stato bello vederlo al lavoro con un produttore», aggiunge il bassista Nate Mendel. «Gli ha lasciato grande libertà, e per lui è una cosa molto difficile».

La band non registrava in uno studio commerciale da 15 anni, e avevano dimenticato la bellezza degli incontri casuali. «Andavi in corridoio e voilà, ecco Lady Gaga», dice il frontman. Dopo qualche giorno ha deciso di montare un barbecue sul patio, si è auto-proclamato come il cuoco di tutti gli artisti della zona. «Cucinavo per 40 persone al giorno», dice pieno d’orgoglio. «Ero nel mezzo di una take di voce e pensavo: “Cazzo! Devo controllare la cottura della carne”». L’idea, però, ha funzionato: l’album è pieno di ospiti d’eccezione, dai Boyz II Men a Justin Timberlake, che è passato lì per caso ed è finito per passare un sacco di tempo con Grohl.

C’è una nuova generazione di band rock pronta a esplodere

«Ci facevamo i nostri whiskey nel parcheggio», racconta. «Justin è davvero un grande. La sera prima di andare via mi ha chiesto se poteva cantare qualcosa. È stato educato, non voleva intromettersi. “Voglio solo dirlo ai miei amici”, non potevo rifiutare». Alla fine Timberlake ha registrato dei cori, ed «è stato fortissimo. Il ragazzo ha futuro».

L’ospite più importante, però, è Sir Paul McCartney. Lui e Dave Grohl sono amici da anni, le rispettive famiglie passano parecchio tempo insieme. «Ci ha rubato Kurstin per qualche giorno, e gli ho scritto un messaggio chiedendo di suonare la batteria in un pezzo», racconta. «Paul mi ha risposto: “Tu sei matto!”», poi ha accettato. «Se mi avesse chiesto di suonare il banjo avrei accettato comunque», ammette Sir Paul.

McCartney, alla fine, si è dimostrato un batterista di tutto rispetto. «Ha registrato la traccia senza versare una cazzo di goccia di sudore», dice Hawkins. «Non conosceva il brano, se l’è fatto spiegare al volo da Dave e l’ha registrato senza problemi». Quella che sentite nel disco è la prima take che ha inciso. «Cazzo se è stato bravo», dice Grohl. «Abbiamo registrato per un’ora e poi ci siamo presi un the. Pensavo avessimo finito, poi Paul ha chiesto di continuare. Mi ha detto: “Scriviamo un po’ di pezzi!”, abbiamo continuato per ore».

Per scrivere i testi, Grohl si è rinchiuso in una fattoria a Ojai, poco fuori Los Angeles. «Sono andato lì per cinque giorni, mi sono portato gli strumentali e una cassa di vino». Una settimana prima della partenza Donald Trump ha vinto le elezioni, e tutte le ansie politiche di Grohl sono finite nei testi. «La Dee Da è un ritratto della mia adolescenza. Mi sentivo alienato, represso dal conservatorismo dei primi anni ’80», spiega. Il disco, però, non esplicitamente politico. «I Foo Fighters suonano per tutti», dice. «La musica dal vivo unisce gli opposti. Sono convinto di essere più bravo a dare speranza alla gente, o almeno è così che voglio essere».

Usciti dallo studio e risaliti sulla Tesla, mi dice: «Non ti ho fatto ancora vedere la velocità di questa macchina, vero?», poi dal touchscreen attiva la funzione LUDICROUS MODE. Spinge sull’acceleratore e mi ritrovo su un F-16, o su una specie di catapulta supersonica. Ride, poi inchioda di botto.

La prossima fermata è la casa della mamma. Ha appena ristrutturato la cucina, e Grohl la vuole assolutamente vedere. «Ehi, mamma! Whassup?» le dice al telefono. Dave Grohl è un fico, lo sappiamo, ma Virginia Hanlon Grohl lo è 37 volte di più. Ed è una stima al ribasso. Insegnante in pensione, mamma-single (ha divorziato da Mr. Grohl quando Dave aveva solo sei anni), ha pubblicato il suo primo libro a 79 anni, una collezione di interviste alle mamme di artisti famosi (Pharrell Williams, Adam Levine, Dr. Dre). Per il suo compleanno Dave le ha affittato un castello in Toscana, dove ha passato «la miglior vacanza della mia vita. E sei stato fantastico con tutti i fan della band», dice al figlio, «perché bevevamo un sacco di vino».

Ha un passato da cantante, e quando Dave ha deciso di mollare la scuola per andare in tour con gli Scream non ha fatto altro che supportarlo. «I musicisti sono troppo divertenti», dice. «E lavorano più duramente di chiunque altro al mondo!», aggiunge divertita. «Ne sei sicura?». «Si. Tu, Pharrell, Dre. Ecco, forse non Adam Levine», scoppiamo tutti a ridere.

I Nirvana sono stati un corso accelerato su cosa succede quando diventi famoso troppo in fretta

Usciamo e ci dirigiamo verso lo Studio 606, il quartier generale della band da 12 anni. È un garage sommerso di chitarre e cimeli dei 25 anni di carriera del gruppo. Ci sono poster e dischi di platino, sia dei Foo Fighters che dei Nirvana.

È facile dimenticare quanto siano stati difficili gli inizi dei Foo. I Nirvana erano appena finiti e sembrava che Grohl, il loro allegro batterista, non si sarebbe mai scrollato di dosso il fantasma di Cobain. «La verità è che quel periodo gli ha insegnato tutto, ha capito come non fare certi errori», dice Smear, che ha suonato in entrambe le band. Grohl chiama il periodo 1991-1993 come “il corso accelerato su cosa succede quando una band diventa popolare troppo in fretta”. E ora, dopo due decenni di carriera, chiedo quale sia il segreto del successo. Secondo i Foo è la compattezza. Non si sono mai sciolti, non hanno cambiato il loro sound all’improvviso, hanno solo scritto i loro album ogni due o tre anni. «In pochi sanno che non abbiamo mai pubblicato un vero album di successo», dice Mendel. «Abbiamo costruito tutto mattone dopo mattone, non ci siamo mai fatti sopraffare dagli eventi».

All’inizio, però, ci sono state anche delle difficoltà: qualcuno ha divorziato, qualcun altro ha lasciato il gruppo e, purtroppo, Hawkins è stato in coma due settimane dopo un’overdose da eroina. Dopo è andato tutto liscio. «Certo, Dave a volte si incazza, a volte mi ferisce», spiega Hawkins. «Ma non c’è nessuna cattiveria, sono dinamiche da fratelli».

Grohl si è assicurato che nessuno si sentisse in secondo piano: i diritti, per esempio, sono equamente distribuiti tra tutti i membri (il contrario di quanto successo con i Nirvana). «Era un batterista! Lui sa cosa vuol dire essere un “membro minore”, quindi si è assicurato che nessuno di noi si sentisse mai così», dice Hawkins. Dall’altra parte, però, nessuno dubita su chi sia il leader del gruppo. «La nostra è una dittatura benigna», dice Hawkins. «Il nome sull’assegno è il mio, certo», aggiunge Grohl, «ma abbiamo tutti le nostre responsabilità, hanno tutti un ruolo per mandare avanti la baracca».

Si è fatto tardi, ed è ora di tornare a casa Grohl. A parte qualche Grammy e Video Music Award, non sembra la villa di una rockstar. Ci sediamo sul balcone, dove Grohl mi racconta – accendendosi l’ennesima sigaretta -, di aver visto un UFO. A ottobre la band lancerà Cal Jam, un festival-omaggio a quello del 1974 dove hanno suonato i Black Sabbath, i Deep Purple egli Earth Wind and Fire.

«Vorrei suonare in un’autostrada come hanno fatto all’epoca», mi dice. «L’estetica è troppo fica: il palco in mezzo alla strada, il caldo, un sacco di ragazzi a petto nudo e alcool a fiumi». Il massimo che sono riusciti a trovare è stato l’anfiteatro di San Bernardino, dove si esibiranno con i Queens of the Stone Age, Liam Gallagher e i Cage the Elephant. «I can’t wait. Sarà una cazzo di bomba».

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