Il disco ipotizza un Joe Patti’s Experimental Group formato insieme al suo storico “uomo dei suoni”, Pino Pischetola in arte Pinaxa. Tuttavia nell’album c’è tantissimo Franco Battiato. Non quello pop o cantautorale. Quello degli anni ’70: sperimentale, appunto. Ma, immancabilmente, mistico.
Molti fan esulterebbero all’idea di un ritorno alle sonorità di Pollution o Clic. Si tratta di questo?
Non propriamente. Abbiamo ripreso cose registrate tra il 1970 e il 1972, completandole. Ma non per tornare indietro: per andare avanti. Sono proiettato verso altri mondi.
Lei è stato un pioniere della musica elettronica in Italia. L’odierna era elettronica, come la vive?
Uso un computer e un telefono, ma mi connetto di rado, diventerei pazzo. Non frequento Facebook né Twitter. Del resto an- che il mio approccio musicale non era nato da una passione tecnica. Nel 1969 facevo musica leggera, ero a un festival estivo, la Gondola d’Oro, 20 milioni di spettatori sulla Rai. Il direttore d’orchestra fece uno sbaglio pazzesco, la sezione ritmica suonava in sol e l’orchestra in la. Non sapevo chi seguire. Ho sentito questa voce che diceva: devi fare musica elettronica. Ma non sapevo cos’era.
Ma neanche per sentito dire?
Per niente. Iniziai a interessarmi, comprai un sintetizzatore VCS3 sei mesi prima che uscisse sul mercato. Ho passato tre giorni senza dormire, il costruttore stesso mi aveva insegnato a usarlo, era diffcile. Gradualmente presi dimestichezza con le macchine, fui il primo a usare la voce dentro l’oscillatore, e la voce diventava altro. Oppure dei fltri, prendevo un soprano da un canale radio – “Oooh” – io lo chiudevo con un fltro, il wah-wah. Mi ritrovai in dimensioni arcaiche. Facevo viaggi non astrali, quasi dello stesso genere però regressivi, andavo all’Antica Grecia, un’esperienza straordinaria.
In che misura la mistica può accompagnare l’elettronica?
Se l’ispirazione sorregge la ricerca. Per esempio dal ’70 al ’78 ho fatto cose incredibili dal punto di vista dell’estraneità. Un brano come L’Egitto prima delle sabbie l’ho concepito per la meditazione. C’era un sottofondo che veniva dal pedale tonale che creava sonorità che potevano raggiungere chi si metteva in quella dimensione: l’arpeggio scatenava quell’atmosfera e, quando il brano fniva, lasciava la stanza in una purezza che non si può credere. Alcuni, sentendolo, diventavano pazzi. Alcuni capivano.
Come cantavano i Bluvertigo: “Capire Battiato”. Frase che sot- tintende un paradosso: è arrivato alle masse, ma è anche d’élite.
Vero. Però ciò non individua nella presunta élite intellettuale coloro che “capiscono”. Chi dice che chi non ha studiato non può affrontare una discussione spirituale? Gli esseri umani sono tutti uguali. E tutti possono fare cose incredibili. Io impazzisco per il modo di dire compiaciuto: “Sono fatto così”. E se sei stronzo, non è ora di diventare qualcosa di meglio?
Ora funziona molto l’hip hop. Secondo lei, come mai?
A me non interessa, ci sono metriche troppo identiche, troppi artisti si somigliano. Ma capisco. Ci sono ragazzi che hanno bisogno di essere condotti in zone aggressive.
Come convive con la deferenza nei suoi confronti?
Non mi interessa. La mia fortuna è vivere in solitudine. Ho un terreno di 10mila metri quadrati e quanto vedo prima e dopo la meditazione mi entusiasma: nuvole, uccelli, rose sono i miei compagni, è una vita stupenda. Ci sono le ombre. Ma si possono affrontare.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di settembre di Rolling Stone
Qui il video teaser dell’album: