Rolling Stone Italia

Fulminacci non è più un giovane vecchio

In ‘Infinito +1’ il cantautore è più allegro, ironico, bambino. «Quando sei cervellotico rischi di sembrare freddo, ma non lo sono. Essere il perfettino in un modo di sregolatezza è la mia forma di protesta»

Foto: Filiberto Signorello

Tra un Ragù e un Aglio e olio Fulminacci è arrivato al terzo album, Infinito +1. È andato avanti, ma è anche tornato bambino in risposta alle definizioni di giovane vecchio e di (bravo) ragazzo maturo che lo rincorrono sin dagli esordi. Ma soprattutto in risposta all’esigenza di parlare non solo al cervello, nonostante il suo repertorio appaia molto più fitto di ragionamenti che di emozioni. A costo di mettersi a cantare d’amore, di utilizzare parole più forti, di sembrare ingenuo.

Dopo essere stato ospite negli ultimi anni nei pezzi di diversi colleghi, incluso uno dei suoi riferimenti musicali d’eccellenza, Daniele Silvestri, ora è il cantautore romano ad aprire la sua casa a qualche avventore ma – specifica Fulminacci – la poltrona più bella è per l’ospite, lui preferisce stare un po’ scomodo. Per non correre il rischio di diventare un Borghese in borghese.

Ascoltando il disco mi sembra innanzitutto che tu abbia sperimentato un modo nuovo di cantare. Penso per esempio a Baciami baciami in cui vai molto in alto con la voce. Anche la tematica è lontana dalle tue corde, è un brano più sfacciatamente romantico, almeno all’apparenza. Se mi dicessero che è uscita una nuova canzone intitolata Baciami baciami difficilmente la attribuirei a te.
Sì, la questione del canto è vera. In un pezzo come Baciami baciami sono stato veramente scomodo, nella migliore accezione del termine, sia nel cantarla, sia nella scrittura. Volevo fare qualcosa di potente ed emotivo, che parlasse al cuore e non al cervello. Tutti mi criticano il fatto che parlo troppo al cervello. Invece qui volevo parlare da cuore a cuore, ne avevo bisogno. In generale è un disco che contiene due poli estremi. Mi sono avvicinato di più al pop ma ho anche provato a esprimermi in modo più personale, penso ad esempio a La siepe e Così cosà. Mi sono estremizzato in entrambe le direzioni perché ho sempre voglia di vedere cosa succede, di stare un po’ scomodo per poi assestarmi e capire chi sono, cosa faccio, qual è la mia cifra. Che forse non troverò mai, non so se sia un bene o un male.

Hai citato La siepe, a me quello è sembrato un brano molto enigmatico, labirintico, anche a livello di suoni. Pare di immergersi in un bosco fatato, nella versione di Tim Burton di Alice nel Paese delle Meraviglie. Forse me la sarei immaginata in un pezzo così la collaborazione con Giovanni Truppi, che hai invece coinvolto in Occhi grigi. Perché questa scelta?
La siepe è uno dei primi brani che ho scritto di questo disco. Ho apprezzato molto l’aggettivo che hai usato, labirintica. A me sembra un po’ medievale, un po’ fantasy, per qualche ragione. Nella scrittura ci sono cose a livello armonico che non avevo mai fatto prima. Non saprei dire nemmeno a cosa mi sono ispirato, è uno di quei pezzi soffiati dal vento. Invece Occhi grigi l’abbiamo scritta insieme io e Giovanni dopo che lui si è messo al piano con un’idea. Fonde le nostre due esperienze dell’amore. Per me era importante scrivere insieme il brano da zero: con queste collaborazioni avevo bisogno di ricevere oltre che di dare, volevo ascoltare non la mia voce ma quello che il mondo aveva da dire. Penso sia importante per non diventare noioso e ripetitivo.

Un aspetto che torna sempre nella tua discografia, Infinito +1 incluso, è l’interesse per le parti in ombra delle cose, l’idea di non svelare del tutto la realtà, di godersi anche e soprattutto il buio come se la parte più bella e importante delle cose fosse quella segreta e ombrosa e non quella luminosa. Ai tuoi esordi non volevi che si sapesse nemmeno il tuo vero nome…
Mah, in realtà all’epoca più che altro non sapevo come gestirlo, non sapevo nemmeno cosa volesse dire avere un nome d’arte. Ma sul resto sono perfettamente d’accordo. Mentre parlavi di buio e luce ho immaginato quello che sta sui social come la luce e la vita reale come il buio. Mi piace parlare delle parti oscure dell’essere umano perché a volte vengono nascoste in quanto motivo d’imbarazzo solo perché sono comuni, senza picchi. Ma la vita può essere anche senza picchi, molte felicità e molti amori lo sono. Anche prendendo un periodo in cui tutto va benissimo in realtà c’è anche una linea retta che viaggia senza nessun entusiasmo. E va bene così, è quello il fatto. Le vite degli altri che vediamo costantemente sono solo una parte, scelta per apparire, di quello che fanno. Se lo si dimentica si possono generare problemi serissimi, è facile arrivare a pensare che sia tutto inutile.

Anche se sei un fan dei segreti e delle zone d’ombra, nella tua musica usi un sacco di parole, le tue canzoni sono fittissime di parole, a volte non c’è quasi respiro. È strano, quindi, è come se ci fosse un’iper narrazione delle cose che però vuole soltanto avvicinarsi alla verità, anche attraverso metafore e ironia, ma senza scoprirla.
Sì, tendo a girare intorno alle cose perché faticano a trovare una definizione. Ci sono delle cose che voglio dire quando le ho chiare in testa. Ma se non le ho chiare ci giro intorno per proporre non una sentenza ma una proposta di conversazione. Però sì, in questo disco c’è proprio la tendenza ad arrivare all’osso delle cose. Per il mio percorso personale lo considero un passo in avanti.

Nel video trailer che hai fatto per il nuovo album citi il titolo per sostenere, in un confronto con una bambina, la tesi che ti senti bambino anche tu e che ti ci senti parecchio. Quanto? Infinito +1, appunto. Questa cosa credo abbia spiazzato molti considerando che tu sei invece quello che sin dall’inizio dai media, Rolling Stone incluso, è stato considerato molto più grande della sua età, un giovane vecchio. Questo titolo è una risposta a questa percezione che si ha di te?
È una cosa che quando era stata scritta mi aveva colpito. Aveva segnato il momento in cui ho preso coscienza che potevo essere percepito dall’esterno in un modo piuttosto che in un altro. Quella definizione, che chiaramente non considero un’offesa, ha smosso qualcosa, mi ha fatto venire voglia di dire sì, è vero che ascolto la musica dei grandi e rifletto sulle cose, ma ho anche la mia età e la vivo come i miei coetanei. Quell’espressione l’ho citata anche nel testo di Spacca proprio per questa ragione. L’ho accettata, sono io, ma sono anche altro.

Un’altra considerazione che mi sembra emerga spesso su di te è quella del bravo ragazzo, che si rifà alla musica seria e non a modelli poco raccomandabili, con un’anima un po’ nerd, all’apparenza lontano dagli eccessi. In Infinito +1 spuntano più volte espressioni come spaccare – canti per esempio “spaccherò tutto ciò che mi annoia” – e ammazzare (il dj). Cos’è successo?
In questo disco ci sono molte più parole forti usate con leggerezza. Volevo provare questo brivido proprio perché era una mia paura, provare a osare di più anche nell’idiozia. Parlandone ora mi rendo conto che c’è l’esigenza di essere più diretto e anche di sottolineare che sono una persona anch’io. Quando si è molto cervellotici come me si rischia di sembrare freddi e anaffettivi, cosa che non sono. Per quanto riguarda la questione del bravo ragazzo in realtà faccio una vita simile a chi non si definisce un bravo ragazzo, ma porvi l’accento, parlando per esempio della “musica dei grandi”, per me era un atto di protesta rispetto alla scapigliatura giovanile estrema che quasi mi sembrava, al contrario, aderenza ai canoni. Essere il perfettino in un modo di sregolatezza mi è sembrata la mia forma di protesta, tutt’ora un po’ lo penso. Che poi forse è il motivo per cui sono andato a Sanremo con un pezzo di derivazione classica come Santa Marinella che per me era più dirompente della stranezza. E la cosa strana è che un brano classico sia stato percepito come la voce fuori dal coro.

A proposito delle considerazioni altrui sul tuo lavoro mi collego al passaggio di Tutto inutile in cui canti “invece solo chi mi odia mi segue sempre”. Quali sono le critiche che ricevi più spesso?
Quello che volevo dire lì è che quando fai un casino o dici qualcosa di sbagliato sei più seguito. Le figure scomode sono anche quelle per cui si fa lo share, il boicottatore che sembra rovinare tutto diventa la fortuna di un determinato format magari. Per il resto non saprei dirti, mi tutelo cercando di non saperle certe cose, spesso mi perdo anche cose belle per questo motivo. Boh, forse una critica è quando mi dicono che somiglio a qualcuno però quelle sono cose vere, lo capisco, lo faccio anche io con gli altri.

Per quest’album al tuo fianco hai avuto Okgiorgio, che poi sarebbe Giorgio Pesenti. Ho visto il video in cui fa un dj set sui monti tra le mucche utilizzando anche i suoni dei campanacci e ho pensato che non potevate che essere perfetti insieme. Tu con i canguri e lui con le mucche. Mi siete sembrati due anime affini nello sguardo ironico, divertito sulle cose. Come vi siete scelti?
È stato amore a prima vista. Ci siamo incontrati per fare una session insieme ed è nato Tutto inutile, il primo singolo, nel giro di pochissimi minuti. Quindi ho pensato di fare l’intero disco con lui. Siamo più o meno coetanei, molto simili perché abbiamo uno sguardo ironico nei confronti della vita, siamo i bravi ragazzi di cui parlavamo prima, con le loro sregolatezze anche un po’ fuori dal comune, che non sono quelle standard. Per certi aspetti siamo anche diversi però, lui è esplosivo, ha mille progetti anche diversissimi tra loro. Si porta all’estremo, io invece per niente. Penso che anche lui sia responsabile di questa mia voglia di andare dritto all’osso anche rischiando di essere ingenuo, rischiando di dire un po’ più cazzate.

Okgiorgio tra l’altro ha lavorato anche con i Pinguini Tattici Nucleari, anche loro presenti nel disco nel brano Puoi. Con loro come è nata e si è sviluppata questa collaborazione invece?
In studio da Giorgio un giorno è arrivato Riccardo [Zanotti] dei Pinguini perché anche loro, come Giorgio, sono di Bergamo e passava di là. Chiacchierando è uscita l’idea di fare un pezzo insieme. L’abbiamo scritto partendo dalle loro radici, per me era importante partire da come sono loro, dalle differenze tra loro e me. Se hai notato sia in questa collaborazione che in quella con Truppi è sempre l’ospite a iniziare a cantare, io entro dopo.

Foto: Filiberto Signorello

È cambiato qualcosa dal punto di vista della composizione e del lavoro in studio? Io ero rimasta che ultimamente tu scrivevi, arrangiavi e facevi una sorta di pre produzione per poi metterti al lavoro con i produttori coinvolti per la fase finale della produzione.
Sì è vero fino al secondo disco ho fatto questa cosa mentre in questo album ci sono pezzi nati anche in studio e questa è una novità per me in effetti. Addirittura Spacca l’abbiamo fatta alla vecchia maniera: sono venuti i musicisti in studio e l’abbiamo registrata mentre la suonavamo, in diretta. Una rarità.

In primavera tornerai sui palchi. Voglio immaginarmi un tour che somigli alla cover di Penso positivo di Jovanotti che avevi fatto a Sanremo con Lundini e Roy Paci. Qualcosa di molto divertente e vicino al mondo del teatro. Ci sono andata vicina o pensavi a tutt’altro?
Penso anch’io che sarà così. Voglio fare meglio rispetto al tour precedente, in cui abbiamo sudato tantissimo e abbiamo sperimentato un affetto e una partecipazione incredibili. Per il prossimo vorrei fosse ancora meglio, vorrei una serata divertentissima che banalmente valga il prezzo del biglietto. Le persone devono avere quello che vogliono.

Nel tuo album d’esordio ti chiedevi cos’è la vita veramente. Nel tuo terzo disco canti “e non importa se non sei vera tanto vero alla fine cos’è?”. A che stadio è arrivata in questo album la tua ricerca della verità, qualunque cosa questo significhi?
È arrivata a una confortante disillusione (ride). Molto spesso mi trovo a pensare che sia tutto inutile. Tendenzialmente sono un miscredente, ho sempre avuto poca fiducia nella mia cultura, nelle culture del mondo. Rispetto, sì, ma poca fiducia. Tendo a non credere e a interpretare un po’ tutto come oppio dei popoli e questa cosa mi fa sentire un po’ smarrito.

E poi?
E poi però penso che la vita stia nei rapporti, nelle relazioni tra le persone. Abbiamo scelto di vivere in società, dobbiamo convivere civilmente. Nella mia testa e in quella della bolla civilizzata di cui faccio parte è ovvio ma per altre persone non è così, non va dato per scontato. Le persone si uccidono, non si rispettano, si insultano e non possono vivere i propri diritti e questa è una follia, è un argomento che bisogna continuare ad affrontare. La chiave della vita è rispettarsi reciprocamente. E magari anche non essere vittima ossessiva del consumismo, per esempio, di cui io mi sento dipendente. Non sono paladino di niente, ma penso che una marea di mancanze di rispetto mostruose e di cose disumane si possano evitare e si debbano evitare.

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