Emanuele Palumbo, 24 anni da Secondigliano, già enfant prodige, ora vero e proprio Pibe de oro – o Manu de oro, come l’abbiamo amichevolmente rinominato per questa copertina – è un tipo unico. Si è caricato tutto il peso di una città – la città della musica italiana – difficile ed esigente, portando la napoletanità e il napoletano – inteso come lingua – nelle cuffie e nelle case di tutto il Paese. Ha subito quello che potrebbe essere considerato un torto – ma è il gioco, bellezza – a Sanremo, con quel secondo posto a furor di popolo contrario senza imboccare quella via giacobin-masaniellesca che poteva rappresentare sicuramente una strada tanto semplice quanto seducente.
Domani pubblica il suo terzo disco, Dio lo sa, e il 21, 22 e 23 giugno prossimi conquisterà il premio più grande: suonare allo stadio Diego Armando Maradona di Napoli, la sua città. Oggi Geolier è Napoli e Napoli è Geolier, più che una simbiosi, una vera e propria fusione.
Dio lo sa, 21 tracce. Anche i tuoi album precedenti erano ricchi di canzoni, però 21 è effettivamente un numero considerevole. Come mai così tanti pezzi?
Forse per un bisogno personale di parlare a più persone. Detto questo, per il prossimo voglio prendermi più tempo: uno, due anni, perché in Dio lo sa ci sono anche pezzi precedenti al Coraggio dei bambini, quindi abbiamo messo tutto il mio mondo interiore di ora. Musicalmente non ci sono molte evoluzioni dall’ultimo me stesso ma forse è meglio così, me le tengo per il prossimo disco.
Dio lo sa: sei credente?
La mia famiglia è credente. Vengo da quella cultura. Esiste Dio come esiste il bene e il male, ma non sono praticante di chiese né di religioni.
Allora, io osservando le tue evoluzioni, come le hai chiamate tu, a Sanremo e soprattutto nel dopo Sanremo, mi sono fatto un’idea di te. Ho pensato a due cose. Da una parte tu hai gli occhiali, ma menti, nessuno ci vede bene come Geolier in Italia. Dall’altra mi sei apparso come una persona, un artista e un uomo che abbia tutto sotto controllo. Quindi la mia prima vera domanda è la seguente: ci sono cose nella tua vita di cui senti di non avere il controllo?
Il futuro non lo controllo. Il presente sì, anche perché devo controllarlo, capito? Se perdo qualcosa, se mi sfugge qualcosa di male è un casino. Noi qui siamo in tanti. È per questo, capito? Però fortunatamente non mantengo solo io il controllo. Ci sono tante persone che lo fanno, anche quando non lo faccio io. Anzi, a volte sono io che metto un po’ di disordine. Però quello che vorrei tenere sotto controllo è la mia vita personale. In termini di disciplina, direi. Per questo nell’ultimo periodo sto facendo di tutto. Mi sveglio alle sette e mezza di mattina, vado in palestra, vado in piscina, poi lavoro. Mi sfido da solo. Tenere sotto controllo me stesso. Che poi è l’unica cosa a cui non avevo mai davvero pensato.
In tutto il disco c’è questo legame con la tradizione della canzone napoletana, tematicamente gira tutto intorno all’amore, sia in termini generali, sia in termini proprio di amore di coppia.
In realtà l’amore è sempre stato presente nella mia scrittura. L’amore è prevalente su tutti gli altri aspetti della vita e della musica, forse perché mi viene facile, forse perché c’è un sacco d’amore. Quindi lo esterno molto facilmente. Il primo pezzo d’amore è Idee chiare, che è l’unico pezzo che ho fatto con un artista in studio, con Lazza, nella stessa session in cui è nata Chiagne. Ma anche nei pezzi più spaziosi, nei banger, c’è l’amore al centro di tutto. In ogni traccia, insomma. L’ultima poesia era uno tra quelli candidati per Sanremo, poi abbiamo scelto I p’me, tu p’te perché non mi snaturava. Anche Bella e brutta notizia con Maria Becerra è un altro pezzo d’amore.
Ecco, perché hai scelto Maria Becerra?
Lei è fortissima e poi volevamo mettere un’artista argentina perché dovevamo presentare il disco a Buenos Aires, alla Bombonera. Poi non ce l’abbiamo fatta e questa cosa mi è un po’ rimasta qua, capito? Peccato. Eh vabbè, comunque ci voglio andare, anche solo in vacanza, dopo il tour ci devo andare. Per forza.
Nel disco c’è un pezzo che non ti aspetti, Una come te, con un beat un po’ Americana e un po’ country.
Il disco è stato scritto così velocemente che non ho sperimentato come faccio di solito. E mi sono accorto che in questo disco non c’era la spensieratezza. Quello è l’unico pezzo in cui ho provato a essere spensierato. E ci sono riuscito. Anche quello è un pezzo che parla d’amore. Io mi immaginavo veramente di stare sulla Route 66. Guarda sono contento che mi hai nominato questo pezzo perché non avevo mai fatto una roba del genere, capito? Quindi le persone potrebbero pure storcere il naso.
L’ultimo pezzo, Finché non si muore, contiene un sample di Love in Portofino di Fred Buscaglione. Mi ha incuriosito.
Quello è il primo pezzo che ho scritto dopo Sanremo. Appena sono sceso a Napoli ho fatto quel pezzo. Quella è una canzone che ho in testa da sempre perché è una delle preferite di mio padre. L’ho sempre ascoltata. E poi mi sembrava perfetta per quella situazione: alla fine non fa niente, ci sarà sempre il tempo per piangere, finché non si muore, appunto. Fare quel pezzo mi ha aiutato. Lì ho capito tutto quello che avevo affrontato. Quando sei dentro non te ne accorgi, ti devi un attimo staccare.
Foto: Vittorio Cioffi
Negli anni ho cercato di individuare una definizione del napoletano – il carattere, il popolo – e da un po’ la metafora che mi pare più giusta è quella dell’acqua. Come l’acqua trova sempre la sua strada, arriverà sempre al mare, così il napoletano arriverà sempre dove è destinato ad arrivare. Ora ti chiedo: il napoletano – questa volta inteso come lingua – riuscirà a fare la stessa cosa?
Il napoletano secondo me è l’unica cosa, anche come immaginario, non solo come lingua, è l’unica cosa che secondo me dall’Italia può arrivare all’estero. A parte che esiste già il mito del napoletano all’estero: quasi tutto quello che sanno di noi in America è napoletano. Quindi sì, secondo me il napoletano può veramente sbarcare sia nel resto d’Italia che all’estero. Magari non sarò io l’artefice e saranno altri dopo di me a uscire da Napoli e dal Sud. Ma l’immaginario nostro vince, capito? Quindi anche la lingua vincerà.
Tu ti rendi conto che nonostante i record, le classifiche, i numeri, il più forte, eccetera, c’è mezza Italia che in realtà non capisce quello che canti? Ne sei conscio?
Sì, ne sono consapevole e non è appagante. Non mi piace. Vorrei la metà dei numeri che ho e più persone in grado di capire quel che dico. La mia missione è quella: parlare e farmi capire, se non mi capiscono è inutile.
Ma su 21 tracce magari un paio in italiano potevi provare a ficcarle dentro.
Se lo faccio io sembra un po’ strano. Anzi, lo possono fare tutti a Napoli, forse, tranne me.
Perché?
Non lo so, probabilmente perché io mi sono caricato questa cosa della napoletanità sulle spalle, capito? Che sono “Il napoletano”, capito? Peraltro è una patente che mi sono dato io, nessuno me l’ha data, me la sono presa da solo. Quindi se rappo in italiano sembra una cosa veramente strana. Però guarda, proprio ieri parlavo di questo. Quando le persone me lo chiederanno probabilmente lo farò. Cioè, io sono pronto a fare roba in italiano, mi sono esercitato tantissimo, anche per via di Sanremo ovviamente. Però per adesso restiamo sul napoletano, va bene così.
Rimaniamo su Napoli: parliamo della scena napoletana. Devo essere sincero: mentre vedo e apprezzo questa wave sulla città in generale, dietro di te non vedo tantissimo al momento. Poi magari mi sbaglio, e chiedo a te infatti cosa ne pensi.
Guarda, ti parlo molto onestamente, secondo me il problema è che adesso ci sono io. È questo. Probabilmente copro troppo gli altri, capito? Io sarei contento di avere anche il 50% in meno di numeri ma dividerli con i miei di Napoli. Sarebbe meglio per Napoli. Perché da solo non posso fare più di tanto, non posso rappresentare più di tanto. Se fossimo in 6-7, ma 6-7 tutti con buon seguito, potremmo fare molto di più, capito? Voglio dire: c’è MV Killa che rappa da Dio, però le persone ascoltano me a Milano. Poi c’è Lele Blade che è il più forte a rappare, capito? Lele a rappare è schifoso proprio, capito? Le persone non lo mettono nemmeno nella top 5 di rapper italiani, ma per me è sul podio. Poi c’è Luchè che fa sempre il suo, comunque è forte. Per questo la scena deve ancora esplodere del tutto.
Quindi tu dici che c’è, ma non viene ancora apprezzata come dovrebbe.
Esatto, diciamo che abbiamo un settore giovanile fortissimo. È brutto pensare che a Milano solo perché ci sono più riviste, più magazine, più major, più studi, gli artisti escono prima o escono e basta, che è già molto. A Napoli non escono proprio.
Foto: Vittorio Cioffi
Questo è importante. Senti, sempre per tornare al dopo Sanremo, così completiamo. Una volta ritornato a Napoli tu eri, diciamo, in una situazione in cui potevi potenzialmente dare fuoco alle micce ma non l’hai fatto. Avresti potuto fare tutte le scelte che volevi e hai fatto una scelta che a me ha stupito perché non ti conoscevo personalmente, perché magari se ti avessi conosciuto avrei potuto prevederla. Ma credo che in generale abbia stupito un po’ tutti. Nel senso che è come se dal mio punto di vista tu avessi capito che Napoli è già forte e se Napoli è forte davvero allora può accettare un rigore dubbio contro al novantesimo. Io l’ho vista un po’ così ma dimmi tu come l’hai vissuta.
Guarda, io veramente sono andato a Sanremo per i napoletani e per Napoli. Dal primo giorno non me ne è mai fottuto niente di vincere Sanremo. Anche perché, detto molto sinceramente, non potevo vincerlo perché avevo un milione di cose in programma: il disco nuovo, gli stadi. Poi è successo il casino con la sala stampa e la mia gente mi diceva: tornatene a Napoli, non cantare nemmeno più all’ultima serata. Quindi io ho cantato l’ultima sera veramente consapevole che avevo fatto il mio. Quindi non ci ho mai creduto veramente di vincere, però ecco diciamo che all’ultimo momento l’ho vista a un passo, e ci ho fatto un pensiero. Però vabbè, è andata come è andata, va bene tutto. Alla fine sono contento per Angelina perché lei secondo me era forse più idonea a vincere Sanremo e poi fare l’Eurovision. Io non sarei stato così in grado, capito? E poi io ho sempre questa cosa di rappresentare Napoli, non l’Italia. Però ti giuro che è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Ma hai avuto quindi un momento di flessione emotiva.
Ma non più di tanto alla fine. Anche perché io non ho fatto nulla di male, fortunatamente hanno fatto tutto loro, capito? Io sono stato fermo. I miei, quando sono tornato, erano un attimo più preoccupati. Mi dicevano: tu non sei in grado adesso di fare un disco, vatti a fare un viaggio, riposati. E invece io lo volevo fare e mi sono concentrato subito a riprendermi. Allora l’hanno capito e mi hanno detto: allora facciamolo però tu fai quello che diciamo noi. E così è nato questo album. Alla fine è più loro che mio, di Dat Boi Dee, di Poison, capito? Di tutto il team. Senza di loro non sarebbe mai uscito.
Ti chiedo una cosa che magari non ha particolare senso. Tu hai mai pensato di cambiare nome? Non ti è mai venuta voglia di mettere il tuo nome e cognome reali?
Non posso farlo perché Manu e Geolier è come fossero proprio due persone diverse. Cioè io riesco a guardare Geolier da fuori adesso. Cioè faccio musica da Emanuele ma la canto da Geolier, capito? È un po’ strana come cosa, però a me ha aiutato negli anni questa cosa qua. Mi dà più forza. Inoltre noi tutti lavoriamo per Geolier, capisci? Sì. È più un’azienda quella, non è solo una persona.
Che aspettative hai per questo disco? Non solo dal punto di vista dei numeri.
Non lo so. È stato un disco molto turbolento. Quindi non so cosa aspettarmi perché ho sofferto poco nel farlo, capito? Cioè ho sofferto tantissimo nel periodo del disco, ma ho sofferto poco per farlo. Vediamo.
Comunque tu sei tranquillo.
Sì, sono sempre tranquillo perché alla fine la musica è ciclica, capito? Cioè in questo periodo tutti ascoltano me perché è il mio momento, però la musica è ciclica mentre la persona rimane. Io a Napoli sono super rispettato, per le strade dell’Italia mi rispettano, capito? La persona rimane sempre, la musica viene scelta di volta in volta.
Foto: Vittorio Cioffi
Il fatto di essere ormai arrivato a un livello in cui l’identificazione con Napoli è pressoché ultimata come ti fa sentire?
Mi fa sentire bene.
Comodo?
Comodo, sì. Mi piace, me la godo. Sono consapevole che è tantissimo, troppo, ma io volevo questo, capito? Cioè, volevo fare esattamente questo. Però quando è successo e me ne sono reso conto ho pensato che fosse addirittura troppo presto. Alla fine ho 24 anni, capito? A Napoli ci sono già i miei murales. Per un ragazzo di 24 anni potrebbe essere difficile convivere con questa cosa. Puoi subito perdere il controllo, capito?
Tu come fai a non perderlo?
Non me lo fanno perdere le persone al mio fianco. Perché sono sempre con loro, capito? Sono comunque una persona normale e me lo ricordano anche i fan. Mi trattano da familiare. Credo di essere l’unico artista che viene chiamato col nome proprio e non col nome d’arte da tutti i suoi fan.
Come ti stai preparando al Maradona?
Super gasato. Giorno per giorno aumenta quella cosa, è come la tensione prima della partita. Sono così concentrato che non posso emozionarmi. Come a Sanremo. Stessa cosa. Ora stiamo provando con la band: al Maradona ci sarà anche l’orchestra con gli archi, i violini. Ogni giorno aggiungiamo cose, le cambiamo. Avremo un palco incredibile, tutto il budget se n’è andato per il palco praticamente.
Chiudiamo con un altro argomento che ti sta a cuore, cioè il calcio. Che cosa ne pensi dell’ufficializzazione di Antonio Conte?
Guarda, si è alzato subito un hype incredibile. Io spero che tutti quanti lavorino per Antonio Conte. Tutti, anche il Presidente. Anche lo staff, tutti. Perché lui ci porterà a vincere, lui è un vincente, capito? Spero che tutte le sue richieste vengano accolte. Spero tante cose in questo momento. Perché adesso anche un secondo posto è poco.