In questi mesi su Rolling abbiamo iniziato ad esplorare in lungo e largo il mondo delle sostanze, con particolare attenzione al rinnovato entusiasmo attorno agli psichedelici. Abbiamo intervistato ricercatori e ricercatrici, studiosi e studiose, scrittori e scrittrici per informare, con cognizione di causa, e direttamente dalla voce di chi queste cose le studia, chiunque avesse curiosità per un mondo che la nostra società tende ad ostracizzare senza raccontare, spiegare, educare. In questa particolare occasione, invece, abbiamo deciso di prendere una strada differente dal solito per indagare i risultati artistici della psichedelia.
Gianpace è il nuovo nome dietro cui si cela Giulio Fonseca che i più attenti conosceranno come Go Dugong, producer e dj italiano. Nella stagione del lockdown, Giulio ha indagato, leggendo e sperimentando, gli psichedelici alla ricerca di una trasformazione interiore e di una rinnovata freschezza creativa. Il risultato è stato un disco a nome Gianpace, uscito lo scorso venerdì, un omaggio dichiarato alla psichedelia e al trip. Un disco che si pone l’obiettivo di essere musica da trip, accompagnando l’ascoltatore nei vari momenti del viaggio attraverso varie angolazioni della musica ambient e – perché no – new age.
Abbiamo quindi colto l’occasione per conversare con Giulio e scoprire quanto gli psichedelici possono intervenire nella vita e nell’arte di una persona.
Tu hai un progetto molto stimato a nome Go Dugong. Da dove arriva quindi Gianpace? Come nasce questo progetto alternativo?
Nasce come conseguenza al mio recente interesse nei confronti del cosiddetto rinascimento psichedelico. Il primo lockdown è stato un momento un po’ complicato della mia vita: avevo chiuso da poco una relazione molto importante e tutto il settore musica come ben sappiamo era in stand by. Fin da ragazzino sono sempre stato appassionato a tutto il movimento psichedelico, dalla musica all’estetica e ai valori che rappresenta, però, a parte qualche saltuaria e inconsapevole esperienza, non mi sono mai soffermato seriamente sulle sostanze protagoniste di tutto quell’immaginario. È successo che, durante il primo lockdown, vari articoli sugli effetti benefici degli psichedelici e sul microdosing hanno attirato la mia attenzione. Complice anche il fatto che avessi più tempo a disposizione, ho cominciato a documentarmi e a informarmi fino a sperimentare prima il microdosaggio di LSD e poi un viaggio intenso in solitaria a casa.
Stavo facendo un disco, ero bloccato e poco convinto; ho capito che dovevo buttare via tutto e ripartire da capo, non era la strada giusta ed era inutile fissarsi. L’ansia e la percezione di aver perso tutto quel tempo sono sparite, ho imparato a vedere le cose da un’altra prospettiva, i processi mentali hanno cominciato a percorrere sentieri prima inesplorati. Ho continuato così, sperimentando a cadenza quasi settimanale. Ne è venuto fuori il nuovo disco di Go Dugong, un mix tra psichedelia e folklore italiano, che vedrà la luce prima della fine di quest’anno. Chiuso quel disco, siccome senza musica non riesco a stare, ho ricominciato a scrivere nuovi pezzi ispirandomi ai miei viaggi interiori, alle visioni e alle sensazioni provate durante i miei trip. Così è nato Gianpace.
Si riesce a far musica durante le esperienze psichedeliche?
Per me è stato impossibile lavorare di fronte a un monitor. Sentivo il bisogno di fisicità, di dover suonare strumenti reali, anche se nel momento di picco è proprio difficile fare qualsiasi cosa per quanto mi riguarda. Le sostanze hanno influenzato tantissimo la scrittura dei miei pezzi. La musica ha un ruolo fondamentale se usata durante le esperienze psichedeliche e io ho sentito l’esigenza di fare ciò che mi sarebbe piaciuto ascoltare durante un trip.
Anche il nome Gianpace richiama un certo mondo psichedelico, estatico. Da dove viene?
Gianpace è un rifugio di montagna in una località dove io ed alcuni amici abbiamo vissuto alcune esperienze molto intense. Lì mi sono sentito davvero in connessione con tutto ciò che mi circondava fino a percepire la completa fusione con quel luogo fiabesco.
Come si tramuta l’esperienza psichedelica in musica?
È molto soggettivo. Io ho imparato molto dalla musica che ho ascoltato durante i miei viaggi, ho capito cosa funzionava meglio su di me e sui miei compagni. La musica può traghettarti attraverso stati emotivi differenti e difatti i brani di Gianpace sono studiati per avere tanti cambi armonici e di mood nella loro struttura. È così possibile condizionare il cambio di esperienza grazie alla musica. Nei miei brani è presente sia la parte più intensa che quella più curativa del trip. Durante il viaggio percepisci la spazialità della musica che diventa quasi tattile, hai la sensazione di poterla toccare e accarezzare. Quella di Gianpace è musica ispirata a certe visioni e sensazioni, che può portarti in altri mondi se ascoltata durante un’esperienza psichedelica.
E hai mai ascoltato questo tuo disco durante un viaggio?
Non ancora. Tieni conto che quelle sono tracce che ho fatto io, conosco a memoria e ho ascoltato e riascoltato migliaia di volte. Mi fa strano ora come ora usarle come colonna sonora per un trip. Ho bisogno di un attimo di distacco, sicuramente lo farò in futuro. Inoltre quando l’ho finito sono cominciate le belle giornate e ai viaggi casalinghi ho preferito fare le mie esperienze all’aperto senza musica, nei boschi, camminando. Alcuni amici però lo hanno fatto per me e mi hanno detto che funziona molto bene.
Hai una tua playlist personale per i viaggi?
Sì, dentro c’è tanta ambient, Brian Eno, Roberto Musci, Gigi Masin, Kaitlyn Aurelia Smith, Nils Frahm (la cui musica è davvero un ascensore cosmico per la quarta dimensione), Joseph Shabason, un po’ di spiritual jazz come Alice Coltrane. Guarda, faccio così, vi lascio il link così potete viaggiare facendovi cullare e coccolare da queste vibrazioni positive.
Ascoltando il tuo disco ho notato come quando un progetto viene presentato come psichedelico mi porti ad avere delle certe aspettative di suono legate molto alla psichedelia dei ’70 o alla psytrance. Nel senso, penso esista un’idea stereotipata legata al suono psichedelico. Il tuo disco invece è molto più vicino all’ambient.
Le sostanze psichedeliche ti portano automaticamente a pensare in maniera differente. Chi ne fa uso per potenziare la propria creatività è normale che cerchi di andare oltre a quello che è già stato fatto o detto. Ora, rispetto a cinquant’anni fa, abbiamo mezzi diversi per far musica e penso sia normale e dovuto evolversi e allontanarsi dai cliché di una certa psichedelia. Il rinascimento psichedelico è anche la giusta occasione per andare oltre ai vecchi stereotipi. Per quella che è la mia esperienza – ripeto, è tutto molto soggettivo – ho capito che un certo tipo di ambient funziona molto meglio rispetto al rock psichedelico classico, che adoro, dei ’70.
Ci hai raccontato che gli psichedelici ti hanno aiutato ad attraversare e superare un tuo momento complicato. In che modo ti hanno aiutato?
Sì, è stato davvero magico, come guardarsi dal di fuori. Dal punto di vista artistico ho realizzato che avevo diversi limiti tecnici. Così mi hanno stimolato in qualche modo a studiare e a leggere di più per fare il pieno di ispirazioni e idee, e ad ascoltare in maniera molto attenta tantissima musica meravigliosa che non conoscevo. Dal punto di vista psicologico invece mi hanno aiutato a lasciare e lasciarmi andare, a ristabilire un ordine prioritario di importanza delle cose; mi sono accorto che spesso andavo in ansia più del dovuto per motivi non realmente importanti, cose che avrebbero dovuto essere un gioco, un piacere, come appunto quello di fare musica. Ho imparato ad essere meno severo con me stesso e a volermi più bene, così come si è rafforzato il legame e l’amore per la natura che mi circonda.
Hai fatto letture in merito che consiglieresti?
Credo sia fondamentale essere molto informati e consapevoli quando si utilizzano queste sostanze perché in questo modo riesci a mettere da parte tutte le paure e ansie a riguardo e a viverti al meglio l’esperienza. Le mie letture preferite sono state Vere allucinazioni e DMT di Terence McKenna, Le porte della percezione di Aldous Huxley, Il serpente cosmico di Jeremy Narby, La scommessa psichedelica a cura di Federico di Vita che porta la psichedelia nel contemporaneo. Ho fatto anche tanta ricerca sul web, su forum dove psiconauti raccontano le loro esperienze e si confrontano sui giusti dosaggi e sui setting più appropriati.
Quale psichedelico ti ha aiutato maggiormente?
I primi esperimenti li ho fatti con l’LSD, d’estate, in mezzo ai monti. Lì ho registrato musica e fatto passeggiate nei boschi con lunghe sessioni di meditazione. Quello è stato un periodo molto importante in cui ho percepito diversi cambiamenti nella mia persona. Ho cominciato ad avvertire un’energia molto particolare e potente, qualcosa dentro di me stava lavorando in background, sia appena dopo l’esperienza, che nei giorni a seguire. Ho avuto modo di riflettere su molti aspetti della mia vita, artistica e non, e ho imparato ad accettare e convivere con alcune parti di me che non mi piacevano e mi procuravano insicurezze. Inoltre con gli psichedelici visiti luoghi e dimensioni che ti lasciano senza fiato e sei infinitamente grato per quel privilegio. Come dice McKenna, ironicamente o forse no, l’unico rischio con gli psichedelici è quello di crepare di meraviglia.
Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare del rinascimento psichedelico (ne abbiamo parlato anche noi qui). Qual è il tuo parere a riguardo? La nostra società riuscirà a risignificare gli psichedelici al di fuori del concetto (negativo) di droghe?
Spero proprio di sì, grazie al lavoro che stanno facendo scienziati e scrittori. Queste sostanze accompagnano l’uomo da millenni e le ho sempre percepite come qualcosa di molto sacro. Chiamarle droghe per quanto mi riguarda è una mancanza di rispetto. Io credo che converrà ripartire dall’ambito scientifico senza dimenticare che gli psichedelici hanno anche un forte potere spirituale. L’apporto spirituale delle sostanze psichedeliche rafforza il legame con il pianeta e tutti gli esseri viventi e ti insegna ad avere più rispetto per Madre Natura. È un aspetto che non possiamo trascurare e che non dobbiamo perdere di vista. Però credo che sia fondamentale ripartire dalla ricerca scientifica per superare la paura e tutta l’opera di demonizzazione che queste sostanze si portano appresso.
Quando i ricercatori verranno ascoltati e quando sarà appurato dal mondo intero che gli psichedelici non creano alcuna dipendenza ma, anzi, possono aiutare a superarle (come ci raccontava Giorgio Samorini in questa intervista, ndr), si potrà fare uno scatto in avanti e cancellare dalla nostra memoria tutte le fake news e le leggende metropolitane che ci hanno propinato in tutti questi anni di medioevo psichedelico. È necessario quindi passare prima dalla scienza e dalla ricerca, poi possiamo parlare di spiritualità; altrimenti si rischia di non essere presi sul serio dai più scettici o che questi temi vengano di nuovo strumentalizzati negativamente dai poteri forti.
C’è sicuramente in atto un cambio di paradigma mediatico attorno agli psichedelici. Ma quanto è difficile portare in giro un progetto e un disco che parla così apertamente di psichedelici? Non c’è il rischio, visto l’attuale stato di non legalità, di doversi continuamente auto-censuare?
Il fatto di non essere l’unico, e sicuramente non il primo, mi dà la forza per dare il mio contributo alla causa. Cerco di parlarne con più libertà possibile, parlo pur sempre di cose che mi hanno migliorato la vita. Inoltre nessuno può impedirmi di fare una passeggiata in montagna dove so che crescono funghi magici, coglierli, mangiarmeli e farmi il mio viaggio. Gran parte delle sostanze psicoattive si ritrovano in natura. Anche l’acido lisergico, ingrediente base dell’LSD sintetizzato da Hoffman, è un alcaloide contenuto nella segale cornuta.
Assumere queste sostanze non è una cosa che farei per lunghi periodi: quando ti rendi conto che hai raggiunto i tuoi obiettivi e trovato quello che cercavi, non ha più senso ritornare in quei luoghi della mente. Credo che, a fronte di un uso consapevole, dovresti riuscire a portarti dietro gli strumenti che gli psichedelici ti hanno fornito e farne tesoro per tutta la vita. Come dicevo prima, sono sostanze che non ti rendono schiavo o dipendente, a differenza di alcol o tabacco tollerati dallo Stato, e questo mi spinge a parlarne in modo molto tranquillo e senza alcuna paura.
È interessante leggere come chi studia – o utilizza consapevolmente – gli psichedelici ne parla come di un’entità capace di insegnare qualcosa a chi ne fa uso.
La mia esperienza mi dice che le sostanze psichedeliche possono aiutarti ad aprire le porte che tu vuoi aprire. Se certe porte vuoi lasciarle chiuse, così resteranno. Per me, ad esempio, se assunte in maniera consapevole – giusto setting, senza fare mix e con poche persone fidate – non può esistere il bad trip: è come se la sostanza fosse in qualche modo dotata di una sua intelligenza in grado di capire quando è il momento giusto per metterti nelle condizioni di affrontare i tuoi demoni. Quando succede può non essere piacevole ma tornato dall’esperienza ti senti più leggero perché probabilmente sei riuscito a sciogliere dei nodi molto intricati all’interno della tua coscienza.
Credo che le sostanze psichedeliche siano adatte a tutti, ma non credo che tutti siano adatti a farne uso autonomamente, senza essere seguiti da una persona esperta o da un medico. C’è chi è in grado di gestirle in maniera autonoma e chi necessita di una guida. C’è sempre qualcosa di nuovo da imparare su noi stessi, siamo esseri mutevoli e con la giusta introspezione possiamo continuamente migliorarci e di conseguenza migliorare il mondo in cui viviamo. Dobbiamo solo non avere paura.