«C’è stato un periodo che leggevo le carte. Era tutta una lettura mia, che facevo io, con le carte che dicevo io. Il problema è che un paio di volte ho dovuto dire a delle amiche due cose brutte che poi si sono avverate. E quindi ho smesso».
Messe da parte capacità medianiche, toccherà aspettare il 15 febbraio per sapere qual è il futuro di Giorgia a Sanremo. Per i bookmaker, decisamente meno mistici, vincerà. «Non scherziamo, ho già dato», risponde lei, il tutto mentre si prende una pausa dallo shooting per realizzare le foto che vedete qui. Ci sediamo davanti allo specchio dove si fa il trucco, arriva il pranzo e apriamo una bottiglia di bianco.
Poco prima, mentre era sul set, qualcuno aveva scelto come colonna sonora una playlist dance/house. Per un attimo l’impressione era quella di stare in una discoteca pomeridiana ma con dentro solo i genitori. È bastato uno sguardo al suo storico make-up artist per cambiare colonna sonora: parte una playlist chiamata RNB Songs 90/00. Si comincia con I Wanna Dance with Somebody di Whitney Houston. Seguiranno TLC, Fugees, Destiny’s Child, Mariah Carey, Eve e molte altre hit di quel tipo. Giorgia, ma pure gli altri, si sentono decisamente meglio. Veniamo poi a sapere che il suddetto make-up artist una volta ha pure tenuto il ventilatore puntato in faccia a Mariah per fare l’effetto vento durante uno show, ma questa è un’altra storia.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Total look: Dior
Il racconto che lei si chiama così perché il padre era fan di Georgia on My Mind lo conoscono tutti. È stato lui a introdurla alla musica black, ad aiutarla a sviluppare l’orecchio, l’uso della voce. Ha funzionato. Nel 1994 con E poi vince Sanremo Giovani, l’anno dopo con Come saprei il Festival dei Big. Su Internet si trovano dei video. Lei è quasi incredula, guarda Pippo Baudo come per dire: «Sicuro?». Pippo allora guarda in camera e dice: «Abbiamo trovato una grande cantante». Aveva ragione (come sempre, d’altronde): il Festival la catapulta nel giro dei grandi, ma non solo. Giorgia diventa per tutti The Voice, quella che sa cantare meglio di tutti. Seguiranno milioni di dischi e una carriera pluridecennale.
Quest’anno, a trent’anni esatti da quel trionfo, Giorgia torna al Festival. L’ultima volta era stata due anni fa, e di anni da quella volta ne erano passati più di venti. Pareva non dovesse tornarci mai più, ma poi è arrivato Amadeus, che è riuscito a riportare a Sanremo molti nomi che sembravano non dovessero mai più passare da quelle parti. Perché avevano già dato, per status. Ma le cose cambiano, e Giorgia lo sa. Anche dopo una vita così, facendo il lavoro che ama, sembra non dare niente per scontato. Tanto che qualche anno fa, in preda a una crisi creativa, aveva pensato pure di ritirarsi. Invece è il 2025, e tra pochi giorni la rivedremo di nuovo all’Ariston, stavolta con un pezzo scritto da Blanco che s’intitola La cura per me. Chi ha sentito il brano (anche noi, btw) dice appunto che è tra i favoriti, vedremo se ci ha preso. Lei intanto sembra molto rilassata, sorridente, felice. Iniziamo a chiacchierare dopo un brindisi «alla vita». Difficile rimanere seri, perché come dice lei «un romano per fare la battuta si fa tagliare la testa».
Torni a Sanremo e ti stanno già dando come favorita. Senti la pressure?
Un pochino sì, ti dirò, però dall’altra parte sono sollevata perché i favoriti non vincono mai.
Ma guarda che non è mica tanto più vera quella roba lì, ultimamente vincono.
No, però non scherziamo ragazzi, io ho dato. Vado a portare un bel pezzo, lo voglio cantare bene, festeggiare il trentennale di Come saprei, ma deve vincere un artista giovane, una ragazza, un ragazzo, lo trovo anche giusto insomma.
Vabbè, però bisogna vedere i pezzi.
Ma sì, ma poi Sanremo è più che mai il termometro della musica italiana, ci sono dei cast che rappresentano tanti generi, tante generazioni, quindi è anche giusto premiare l’attualità. Comunque vediamo, dai. Son contenta che ci siano tanti cantautori, per me pure i rapper lo sono, ma pure tante artiste. C’è Gaia, c’è Marcella…
Marcella ha un pezzo con la cassa in quattro.
Davvero? Ma io la amo! Tra l’altro è una cantantona, eh, è una che canta davvero. Io ricordo i suoi Sanremo, quando cantava Senza un briciolo di testa oppure Nell’aria. Musicalmente è sempre stata molto elegante.
Poi c’è stato anche Uomo bastardo, però ne parleremo un altro momento.
Uomo bastardo non la conosco, poi la sento. Comunque sì, direi che quest’anno è rappresentata tanta roba. Anche la Carrà fece un cast pazzesco secondo me, me lo ricordo bene perché era l’anno di Di sole e d’azzurro. C’era Elisa, c’erano i Bluvertigo, c’era Alex Britti. Aveva fatto un cast di una modernità incredibile. Secondo me non è una cosa che le hanno riconosciuto troppo poco.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Total look: Dior
Quest’anno comunque son trent’anni di Come saprei, ho visto che hai annunciato i palazzetti, ma anche altre date celebrative in posti molto fighi.
Sì, l’anno scorso era il trentennale di E poi ma ho fatto la vaga, nel senso che l’abbiamo detto ma poi non è che amo moltissimo questa cosa di sottolineare che è passato il tempo. I miei fan affezionatissimi mi hanno rimproverato, mi hanno detto: «Ma che, non fate niente? Tutti fanno cose, incontri, feste, concerti, e te non fai nulla».
Ti sei sentita in colpa?
Abbiamo ristampato il primo disco, e io mi sono anche lamentata che ho dovuto firmarli uno ad uno (ride). Poi mentre li firmavo mio figlio passava e li scarabocchiava e io gli urlavo «Ma che fai?!», quindi ecco, quest’anno volevo fare le cose per bene. Almeno qualche appuntamento bello, elegante, in posti pazzeschi.
A proposito dei trent’anni di Come saprei, l’altro giorno mi sono rivisto il video della tua premiazione sul palco dell’Ariston.
Ero bella spaesata, eh?
Un po’, ma ci sta.
Poi mi ero truccata da sola, mi ero messa un po’ di fard, l’ombretto argentato e via. Ed era il primo anno che era nato D&G, io sono salita sul palco con il loghetto sulla canottiera, cosa che se la fai adesso te bruciano con il lanciafiamme. Io ero lì tranquilla con il mio loghetto sulla canotta e le scarpe comprate al mercatino di Bologna a 10 mila lire. Altri tempi.
Pippo Baudo durante quel Festival dice una frase bellissima: «Abbiamo trovato una grande cantante».
Mamma mia, mi vengono i brividi a sentire questa frase. Tra l’altro io poi fui proprio ripescata dai Giovani insieme ad Andrea Bocelli. Pippo aveva fatto questo regolamento, fu una cosa inaspettata, sentirmelo ripetere adesso mi commuove, anche perché in mezzo ci sono davvero trent’anni.
Vabbè, possiamo dire che c’aveva ragione.
Allora, tu devi considerare che Pippo ha sempre ragione, quindi chi sono io per dire che si è sbagliato? (Ride) Comunque lui ci credeva tantissimo in me. Poi quando c’era da criticarmi mi ha anche criticato, però ci teneva proprio a guidarmi un pochino, come ha sempre fatto con tutti i talenti che secondo lui erano tali.
È rimasto un po’ il tuo padrino?
Sì, sì. Pensa che io gli ho dato del lei per tantissimo tempo. Un giorno però mi ha chiamato e mi ha detto: «Adesso basta, Giorgia!» (lo imita). Abbiamo un rapporto talmente vero che a un certo punto abbiamo anche avuto una discussione.
Perché?
Mi invitò in un programma e io gli dissi che non potevo andarci. E lui: «Ma come?». Poi abbiamo fatto pace senza sottolineare quell’episodio, quindi è proprio un rapporto autentico. L’ho sentito anche qualche giorno fa, ci mandiamo gli audio.
Che ti ha detto?
Mi ha detto: «Sei pure una brava presentatrice!». Io gli ho detto: «Guarda, non scherzare». Lui comunque segue tutto, guarda tutto.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Total look: Dior
Tu mi insegni che Baudo ha sempre ragione: X Factor è andato bene, poteva pure andare male.
Sì, ho preso un bel rischio. Ma io sono una a cui a volte piace non giocare proprio sul sicuro. Alle volte mi brucio, mi faccio anche del male, anche con i dischi è successo. Però poi davvero capisci che è tutto nutrimento. Crescendo lo capisci.
Possiamo dire che hai fatto una conduzione rassicurante?
Sì, sì. A me piaceva la cosa della signorina buonasera. Quando ero piccola mi mettevo nel bagno con TV Sorrisi e Canzoni e leggevo i programmi della serata. Mi piace essere di servizio, fare proprio quella che ti accompagna. Mi piace avere gli autori, lavorare con loro, decidere cosa dire. Sono stata molto supportata in questo. Avevo questa questa chat con gli autori che alla fine mi volevano bloccare. Continuavo a dire: «Allora, io direi così, cosà». Io sono una che deve studiare, che si deve preparare, sono un po’ maniacale. Anche in casa sono così: devo sapere cosa c’è nella credenza, quando finiscono i biscotti, quando devo ricomprare lo zucchero, le scatolette dei gatti. Ogni tanto forse sono eccessiva. Comunque, qualche anno fa avrei detto di no alla conduzione, per paura di sbagliare. Cercavo tanto il consenso esterno.
Quando non lo cerchi più tanto vuol dire che cresci, no?
Per forza. Poi facciamo anche un lavoro che si rivolge all’esterno, quindi in quel senso quella cosa te la devi mettere a posto prima o poi. Per me la cosa fondamentale quando fai un lavoro creativo è seguirlo, anche quell’istinto che un giorno ti dice: «Ora devo fare un disco tutto voce e oboe». Poi non se lo compra nessuno, però io ho fatto la cosa che dovevo fare e che comunque ti serve per andare da un’altra parte. Il film di Rocco Papaleo (Scordato del 2023, nda) mi ha un pochino fatto rompere molti di questi argini. Se me l’avesse chiesto qualche anno prima avrei detto di no, forse.
Come hai mantenuto la testa in questo lavoro?
È stato fondamentale l’esempio in casa. E anche il carattere, perché io tendo a sdrammatizzare, ma comunque ho visto un padre, cantante, avere tanto successo e poi non avere più niente. Negli anni ’70 aveva questo duo pop, erano amatissimi, hanno venduto tanti dischi. Poi, a un certo punto non se li filava più nessuno.
E?
E ho visto anche anche una discreta sofferenza. Lui però si è rimboccato le maniche e ha trovato un altro lavoro. Ha sempre continuato a cantare per passione, quindi c’era quello dietro.
Vuoi dirmi che la popolarità non ti ha cambiata per niente?
Direi non più di tanto. La cosa che cercavo di più era sentirmi accolta, in qualche modo. Su quello poi ho lavorato, ma è una cosa che avrei cercato anche se avessi fatto un altro lavoro.
Paura che potesse finire, invece?
Io davo per scontato che finisse. Infatti questo fatto di essere qua dopo trent’anni è incredibile, cioè non ci avrei mai creduto. Dopo ogni disco mi dicevo: «Ora è finito tutto». Mi sembra sempre di ricominciare da capo. Non ho mai pensato che potesse non finire, quindi è eccezionale quello che è successo, e quello che succede adesso.
Tuttora lo pensi?
Che potrebbe finire domani? Certo.
Però dai, hai raggiunto lo status che apri Spotify e le tue canzoni sono il repertorio pop del nostro Paese, quelle che la gente canta ubriaca al karaoke.
Stupendo. Me ne accorgo un pochino di questo adesso, sì, però come puoi immaginare ci sono gli alti e i bassi. Questa cosa delle generazioni comunque la vedo, vedo i ragazzi che mi dicono: «Mi fai un video per mia madre, perché io e lei abbiamo ascoltato sempre le tue canzoni?». Mi sciocca sempre ’sta cosa, è una forma di affetto che non ho mai sperato, è come se in qualche modo avessero percepito che c’era una buona fede di base. È un grande premio.
Tra i bassi che nominavi prima immagino ti riferissi anche al periodo post Covid. Mi ricordo un’intervista al Corriere in cui dicevi che avevi pure pensato di ritirarti.
Sì, era un anno in cui non capivo più che dovevo fare, perché poi durante il Covid è cambiata la musica, la scrittura, è cambiato tutto. Io non ero pronta, stavo lì, ho vissuto quel periodo chiusa in casa a fare cose di casa, però vedevo che tanti altri cantanti si sono tenuti in attività, si sono inventati cose.
Tante dirette su Instagram.
Anche quello, ma magari facevano dei pezzi, si sono strutturati per affrontare quello che stava arrivando, non si sono chiusi. Io ho pensato che per me era tutto fermo, finito, e poi quando siamo tornati alla normalità non mi riconoscevo più, niente mi sembrava familiare. Mi sono chiusa in studio ma non sapevo da dove cominciare, che accordi buttare giù, che musica ascoltare, non sapevo come cantare. Che è stato scioccante, un po’ da attacco di panico, è come se tu ti specchiassi e non ti ricordassi come ti chiami. E sai che non te lo stai ricordando, non è che sei inconsapevole.
E come hai fatto?
Mi son detta: ricominciamo da capo. Non so come cantare? Benissimo, posso imparare a farlo di nuovo.
Fa un po’ ridere detto da te, ma capisco che intendi. La tecnica vocale non serve più tanto, nel 2025.
No, e neanche quel modo lì di modulare come potevano fare Whitney e Mariah. Non è più quello che la gente cerca quando ascoltiamo musica.
Allo stesso modo però ti dico che quando a Sanremo 2023 hai fatto il duetto con Elisa la gente parlava solo di quello, perché avete cantato da Cristo.
Infatti è stata utile anche quell’esperienza lì, anche se faticosa. Quel Sanremo è stata la prima cosa che ho fatto dopo la “caduta”. Ero nella fase «cosa faccio, dove vado, con chi lavoro, che devo fare, forse non devo fare più». Sono andata a sciogliere lì tutte queste dinamiche, forse non era proprio il posto più giusto, però poi in quella settimana ho avuto un’evoluzione, sono arrivata alla fine che mi sono rimessa in sesto e ho detto: ok, ora ricomincio. Tra l’altro quella sera Elisa è stata dolcissima, dopo mi ha detto: «Mi dispiace che non ti ho fatto vincere». Io le ho risposto: «Ma tu stai scherzando».
È stato un duetto piuttosto epico, in effetti.
Sì, poi c’è stata una roba anche sentimentale, c’era tutto un insieme, secondo me è arrivata anche così forte perché queste due canzoni erano state in gara nello stesso anno, quindi le abbiamo riportate là insieme, come vent’anni prima. E c’è stato questo scambio fra noi due che secondo me è stato di una purezza veramente rara. Eravamo una a favore dell’altra.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Total look: Dior
Com’è fare i cantanti, oggi, per te che hai vissuto altre epoche discografiche? Da fuori sembra tutto decisamente più misero.
Devi fare cose che magari ti somigliano e altre decisamente meno. Per me la cosa è che devi sempre fare qualcosa che puoi sostenere quando poi la vai a cantare. Se hai vent’anni magari non lo sai ancora, lo impari dopo. Io ho sempre amato fare un po’ di ricerca. Dopo Come saprei mi hanno detto vai a lavorare all’estero, io ho detto no, perché dovevo trovare il mio suono. Perché poi io venivo dai club dove facevo, che ne so, le serate dedicate a Jimi Hendrix, quindi mi stava stretta questa cosa dell’interprete, della ballad. Scrivevo ma non lo sapeva nessuno. E poi l’ho scritta io, però non era importante, volevano proprio farmi fare la voce, che era bellissimo, però io volevo dire che io non ero solo quello. Ho perso occasioni, per questo adesso l’affetto della gente mi fa felice, perché comunque delle cazzate le ho fatte, le ho anche pagate.
Tipo?
Be’, questa. Quando dissi «No, all’estero non vado» a BMG, che era la mia etichetta.
È un rimpianto non aver spinto all’estero?
Sì, l’avrei dovuto fare in quel momento. Magari avrei avuto una carriera fuori, poi però io ero pure una che si intestardisce. Laura, che è una mia amica, si stava a fare un mazzo incredibile. Mentre io cercavo il mio suono lei stava in giro per il mondo. Poi ce lo siamo anche raccontato, sono pezzi di vita che magari perdi e non tornano più. Io là però ero convinta, che dovevo fare?
È andata bene lo stesso.
E andata come è andata, non lo sapremo mai. Qualche soddisfazione comunque me la sono tolta, ho cantato con Ray Charles, ho cantato con Alicia Keys, però ecco, non sappiamo come poteva andare se avessi preso la valigetta e fossi partita. Poi ho avuto anche un’altra occasione di farlo più avanti, ma anche lì ho detto no.
Ma allora sei de coccio.
Eh, ho avuto un manager che voleva farmi fare tutto un giro ma ero fidanzata e ho messo l’amore prima di tutto. Una deficiente, solo scelte sentimentali ho fatto. Poi è nato mio figlio e dovevo andare a fare promo in Olanda e anche lì ho scelto di stare con lui. Gliel’ho raccontato e mi ha detto che so’ scema (ride). Lui è molto cinico, diciamo la mia parte lucida che mi ricorda che io non sono poi così figa come penso o tentano di farmi passare.
In Italia o all’estero sei abituata ai numeroni. Adesso che l’industria è cambiata tantissimo, ti fa stare male questa cosa? Magari non vedere che il tuo disco arriva al numero uno?
Cerco altro. Però l’ho passato quel momento in cui mi sono resa conto che quella faccenda lì era finita e che la mia generazione doveva cedere il passo a quella nuova.
È stata dura?
Un po’, però c’era sempre il fatto che ti dicevo prima di mio padre. Sto più male se sbaglio una nota, mi danno per quello. Poi se il singolo non è primo in radio e il disco non è alla uno, a una certa me ne son fatta una ragione. Quando ho incontrato Slayt, con cui sto lavorando adesso, però gli ho detto: «Oh, io prima de morì la voglio un’altra canzone che va bene, una. Quindi trovamela».
Potrebbe essere molto vicina.
Non lo so, vediamo.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Look: N°21
Il tuo ritorno a Sanremo è comunque un po’ il ritorno della voce su quel palco.
Non mi puoi dire così, mi viene l’angoscia. Io non la vivo bene questa cosa. Lo so, lo so. Per me è una mega pressione, canterò malissimooo… no, ok, ma troppa pressione. La voce va sul respiro: se respiri male, se sei agitato, allora canti male.
Alle cantanti che cantano bene non si perdona nemmeno una stonatura.
Io ho visto un concerto di Whitney, l’ultimo, dove lei era a pezzi, eppure io sono andata e quella donna, anche senza voce al top, cantava uguale, di anima: quella è la cosa. Adesso quando canti e sei umana non va bene, cioè io sono umana, ho il fiato, ho una nota che magari non è perfetta, perché per me cantare è l’umanità. Ascoltando Whitney, per me la canzone non la devi mai cantare due volte allo stesso modo. Se succede, vuol dire che qualcosa non va. Infatti me la facevano pesare, che io arrivavo e cambiavo la melodia.
Tu pensa ora.
Adesso tu devi essere come il disco. Ma quello secondo me non è propriamente cantare. Quando sento una performance voglio sentire l’umanità, voglio sentire il respiro, voglio sentire anche l’imprecisione, mi gasa, mi piace, mi emoziona quella cosa. Se tu me la fai come il disco, me sento il disco: sì, meraviglioso, poi vabbè, le voci sono cose, ognuno ha la sua, ognuno si emoziona per quello che vuole o per quello che sente. Billie Holiday, penso, era tutto meno che la precisione tecnica, però cantava e ti spaccava in due. Il modello oggi è diventato maniacalmente perfetto.
Perché la gente non è più abituata a quel tipo di ascolto lì, secondo me.
No, no, c’è un altro modello proprio. Io quando sento qualcosa che mi emoziona musicalmente non sto a misurare con il righello le note, capito? A me quella nota mi arriva, mi emoziona, piango, chi se ne frega? Per questo dico che, quando ho visto Whitney cantare molto provata vocalmente, ho pianto comunque tutto il tempo perché lei mi emozionava come aveva sempre fatto. Quello per me è il canto. Poi c’è anche l’essere perfetti, ma quello è più un esercizio. E ci sta che dopo trent’anni di quello ora le cose siano cambiate, è normale.
A inizio carriera volevano farti essere un po’ quella roba lì, la Whitney italiana.
Seeeh vabbè, non dite queste cose improbabili, tipo anche nominare Mina, che non andrebbe mai nominata perché lei deve stare lì dove sta e dove sempre starà.
Poi esce Spirito libero e canti: “Non sopporto più di sentirmi dire che non è questo il pezzo da interpretare / Io oggi sai che faccio? Scrivo come mi pare”. Polemichetta…
Io sono stata molto più rock’n’roll di tanti rock’n’roller. A un certo punto la mia ribellione è uscita fuori tutta, quella parte che ho sempre avuto, che mia madre mi ha insegnato ad avere, perché poi sono uscita da una famiglia dove dovevi parlare, esprimere le tue idee. Mi dicevano «Fai questo, fai quello» e a un certo punto ho sbroccato, ho imparato a usare Pro Tools così potevo farmi i provini da sola. Un momento di emancipazione incredibile.
Chi ti diceva le cose da cantare?
Tutti, anche il pubblico. «Eh, Giorgia brava, però questo repertorio, però queste canzoni». Alla fine ’sta canzone perfetta non si è mai trovata. O ero troppo classica, o ero moderna, non andava mai bene niente. Poi anche quello era un momento di cambiamento di genere musicale, perché le canzoni di vent’anni prima, quella struttura là, non andava più di moda. C’era il pop, quello americano, inglese, era arrivata Alanis Morissette, poi Carmen che suonava, scriveva, e la stessa Elisa. L’accettare che le ragazze potevano anche produrre, mica solo cantare. Io arrivavo da prima, entravo in studio con le mie cose, mettevo le mani e mi dicevano: «Che fai?’. E che faccio, il disco mio. Percepivano di me questa donnina che arrivava, cantava, era un po’ tipo… canta e poi vai a casa che ci pensiamo noi, invece io al mix volevo partecipare, volevo capire. Sono nata così, i musicisti e i produttori della mia prima fase mi trattavano come una di loro. Dopo ho dovuto lottare. Pino Daniele è stato molto utile in questo, mi ha fatto capire che si poteva fare musica commerciale seguendo le proprie aspirazioni.
Ti ha creato problemi la tua schiettezza? Se non ricordo male, non le hai mandate a dire anche alla tua etichetta, durante la crisi del disco.
Sì, ho litigato quasi con tutti, perché quando hanno cominciato a licenziare tante persone io ho cominciato a litigare con i dirigenti senza capire che anche loro però stavano soffrendo.
Stavano annegando.
Ho litigato con Rudy Zerbi quando è stato presidente di Sony, e con quello prima che era Berwick, discussioni pesanti con quello che era il direttore artistico, con Giorgio Perris pure. Andavo là dicendo «Fate qualcosa, non è possibile che stia succedendo tutto questo, dovete proteggerci». Tutta la gente con cui io lavoravo, ragazzi che stavano facendo i figli, avevano i mutui, non li ho visti più e quindi poi ero offesa, arrabbiata.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Look: archivio personale dell’artista
Ne hai dette diverse, anche sui politici.
Mi ricordo che feci questa intervista con Repubblica dove mi parlarono di Berlusconi, non ricordo bene come ma qualcuno scrisse che Spirito libero era contro Berlusconi, che ovviamente era l’uomo più potente in Italia (ride). Capito? Nella mia ingenuità dicevo cose, poi le ho pagate.
Come?
Ero vista un po’ come quella che rompeva le palle. Una volta andai a fare un programma e fecero firmare al mio manager che se avessi detto qualcosa lui si sarebbe preso la responsabilità. Manco Jim Morrison, hai capito?
Un vizietto che non hai perso neanche con Giorgia Meloni. Com’era il meme che hai postato? “Anche io sono Giorgia ma non rompo i coglioni”. Poesia.
Anche lì, avevo deciso di postare un meme che continuavano a mandarmi tutti. Pensa che l’ho postato pensando che si sarebbe fatta una risata. Invece mi ha risposto seriamente.
Molto seriamente.
Sì. Poco dopo è diventata Presidente del Consiglio. Ho sempre avuto questo tempismo. Andavo in giro e la gente mi diceva o «complimenti» o «mòri te e tutta la tua famiglia». Mi son detta: ma che è? Non pensavo avrebbe avuto tutta questa eco.
Quando ti esponi è così.
Penso che ci sono dei momenti in cui una cosa bisogna dirla e non si può tacere. Penso anche a mio figlio che magari un giorno mi dirà: «Ma tu quando succedeva questo che stavi a fa’?». Voglio lasciare una traccia, anche piccola. Da romana ho scritto anche una cosa su Tony Effe.
Me la son persa, che hai detto?
Ho parlato di libertà del pubblico di scegliere cosa ascoltare oppure no. Metti che diventano abitudini queste cose? Ci sono dei testi di Tony Effe che pure io soffro, figurati, però dire «non vieni per quello» non mi piace tanto. La storia dimostra che la censura è un tunnel che non porta mai alla luce. Non è che ho detto viva Tony Effe, è per il concetto in sé. E comunque devi dare la possibilità alla gente di scegliere, la gente non è stupida. Diamogli anche la possibilità di non andare. Lo avrei fatto per chiunque, anche se fosse stato Brunori Sas (ride).
Guardando il tg c’è da prendersi male comunque ultimamente.
Vogliamo parlare degli ultimi giorni? Mi angoscia. Cioè io lo trovo veramente antico quell’uomo (Trump, nda). È proprio superato, fuori moda. Dice cose che non sono più di moda. È come vedere i dinosauri che sai che arriverà il meteorite. Com’è possibile che l’essere umano faccia sempre gli stessi sbagli? A me è questo che mi delude.
Forse perché se una cosa non la vedi con i tuoi occhi non si attacca come dovrebbe.
Forse hai ragione, è proprio insito nella natura dell’essere umano. Probabilmente si viene a vivere un’esistenza su questo pianeta apposta per vedere ’sta roba qua.
Dici così perché sei spirituale?
Credo che si dovrebbe coltivare di più, io per prima, uno spazio interiore dove si mette in conto che non finisce tutto qua, che siamo parte di qualcosa, che c’è molto di più di questa esistenza. A volte però mi faccio risucchiare dalla quotidianità e arrivo alla sera che non ho fatto niente per coltivare questa cosa e mi rendo conto che soffro di più, sono più soggetta a cattivi pensieri. Questa notte mi sono svegliata, non so perché, chiedendo aiuto nella notte. Forse perché dormo con la tv accesa, che ne so.
Anche io, per forza. Per dormire devo sentire le voci.
E il problema della mente, hai la mente potente.
Mah… ti dico solo che per dormire io metto le dirette di QVC.
Anche io, sono stupende.
Vedo le signore che provano i maglioni e dormo.
Sì, sì, le televendite sono stupende. Avere la mente potente è un problema, perché quella pensa di fare anche il lavoro dell’anima e invece tu a un certo punto le devi dire: aspetta, vieni con me che ti porto da quell’altra. Ieri ho trovato una canzone che mi ha aiutato moltissimo, l’ho sentita in hotel, dopo te la passo perché fa quell’effetto lì. È un pezzo assurdo di un’artista sudamericana, un feat con Ben Harper. È un pezzo che ti porta su.
E poi ti lascia cadere?
Me la sono cercata.
Foto: Ursu per Rolling Stone Italia. Total look: Dior
È passato un sacco di tempo, la PR ci guarda, il cibo ormai è un mappazzone.
Ma non abbiamo ancora parlato del Sanremo di quest’anno.
Ma che te frega, di quello ne parlano tutti. Ma poi le canzoni vanno ascoltate, ma di che vuoi parlare. Posso dire: accattatevill’.
Sono felice di sapere che il tuo pezzo l’ha scritto Blanco, trattato come un appestato per due fiori.
Mi ha scioccato questo brano, come fa un ragazzo così giovane a scrivere un testo che io potrei aver scritto ieri? Un brano che va bene per una donna di 53 anni, io poi ci sto tanto attenta adesso alle parole. Come ha fatto a scrivere questa cosa che io mi sento tanto addosso? Penso che lui abbia qualcosa di cui non è consapevole neanche lui, è un’anima antica. Per forza. Poi sì, gli ho detto che io volevo comunque dare una chiave, non potevo cantare la frase “solo tu sei la cura per me”. Sì, tu sei la cura, però mi insegni che sono io, che io decido, e che forse la cura tua passa attraverso di me. Non posso dire a una ragazzina che deve dipendere dalla cura di qualcun altro.
In una vecchia intervista hai detto «Sanremo per me è un inferno con la possibilità di andare in paradiso».
Mi ricordo quel video, è vecchissimo, pensa che me l’ha mandato Mahmood recentemente.
È ancora così?
L’ho ritrovato come lo ricordavo, però c’è tanto lavoro in più con tutti ’sti social.
Ma li fai tu?
Se riesco sì, infatti posto le cose quattro ore dopo. Però sai una cosa? Ho aperto il profilo del mio gatto. Mo’ dici che so’ pazza.
Figurati, io parlo con i cani.
Ecco, io sono una gattara. Mio padre non me li faceva tenere i gatti, era più canaro lui. Poi è arrivato questo gatto, Filippo, tanti anni fa, che tra l’altro se fosse stato una persona sarebbe stato l’uomo della mia vita e di tutte le mie vite. Ha fatto diventare gattari tutti quelli che l’hanno conosciuto, era una creatura incredibile. Ho dedicato un disco a Filippo e una canzone, Dietro le apparenze. Era appena nato mio figlio, ma io ho dedicato il disco al gatto morto.
Una persona del suo team le dice: «C’è da postare la cover del disco».
Esce un disco?
No, no, dice la copertina del brano di Sanremo. Il disco esce, ti dico la risposta generica: entro l’anno.
E speriamo vivamente sia dedicato di nuovo a un gatto.
***
Photographer: Ursu
Art direction: Alex Calcatelli per Leftloft
RS producer: Maria Rosaria Cautilli
Fashion editor: Francesca Piovano
Talent stylist: Valentina Davoli
Stylist assistant: Marta Messina
Make-up artist: Luciano Squeo using Dior Beauty
Hair styling: Luigi Alesi
Video production: Visionaria Film, Mauro Fabbri, Daniele Cantalupo
Video operator: Tommaso Ligorio
Video editing: Diego Marinello, Martina Longo, Davide Piunti
Studio manager: Ernestina Calciano, Team Visionaria Film
Studio assistant: Cecilia Anselmo
1st Photographer assistant, lights: Massimo Fusardi
2nd Photographer assistant, digital: Marysia Trepat
F.E. Assistant: Elisa Brunello