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Giorgio Moroder: «E poi è arrivato il synthesizer»

Abbiamo incontrato il pioniere della disco-music, che questa sera inaugurerà con il suo show le Ogr, Officine Grandi Riparazioni di Torino

Quando “Re Giorgio” intona le prime note di sintetizzatore di I feel love, scatta l’applauso. Siamo all’interno delle Ogr, le vecchie Officine Grandi Riparazioni di Torino, a due passi dalla Stazione di Porta Susa, risalenti alla fine dell’Ottocento e adibite fino ai primi anni ‘90 del Novecento alla manutenzione dei veicoli ferroviari. Da ieri, anzi da questa sera con il live inaugurale del pioniere della disco-music Giorgio Moroder, questo spazio post-industriale imbocca un nuovo corso e si candida a diventare uno dei poli culturali più importanti del nord Italia per la musica contemporanea e le arti visive e performative.

Per iniziativa della Fondazione Crt e con la direzione artistica di Nicola Ricciardi e la consulenza di Sergio Ricciardone, una delle menti del festival di musica elettronica Club To Club, lo Spazio Fucine con i suoi tremila metri quadrati dove una volta si lavorava con il fuoco a temperature elevatissime, sarà la sede di un palco permanente su cui stasera è chiamato a salire per primo in assoluto Moroder. Settantasette anni, origini sudtirolesi, di Ortisei, il padre della musica dance e compositore pluripremiato, tre Oscar, quattro Grammy Awards e quattro Golden Globe, è passato dalle Dolomiti a Monaco di Baviera e Berlino attraversando gli anni ‘60 e ‘70, per poi conquistare la piena notorietà negli anni ‘80 con le colonne sonore di film diventati di culto come Scarface di Brian de Palma, La storia infinita di Wolfgang Petersen, American Gigolò di Paul Schrader, Flashdance di Adrian Lyne e soprattutto Top Gun di Tony Scott con Tom Cruise.



Sotto la Mole va dunque in scena oggi in prima europea lo show An evening with Giorgio Moroder, durante il quale tutte le sue più grandi hit vengono riarrangiate per orchestra e band di sintetizzatori, batteria, percussioni, cantanti e coriste. Moroder, camicia chiara sotto una giacca azzurrina, prima di presentare il suo concerto si intrattiene a chiacchierare con Patrick Tuttofuoco, l’artista che firma una delle installazioni site specific pensate appunto per le nuove Ogr. Sorride e stringe mani, sembra un uomo felice, molto.

I tempi secondo te sono cambiati molto da quando hai iniziato a fare musica? Era meglio prima o oggi?
Non lo so francamente se la tecnologia e la velocità vadano davvero di pari passo. Quarant’anni fa, nel 1977, quando uscì I feel love, mi ricordo che noi facevamo una base in un’ora, un’ora e mezza al massimo. Quando registravamo, la media era di tre brani al giorno, un album di sette, otto pezzi lo chiudevamo in venti giorni. Tre li impiegavano per la base, poi ci dedicavamo agli archi, ai cori. Donna Summer registrava anche tre brani al giorno, e quindi diciamo che in tre settimane potevamo realizzare un disco intero. Per il mio ultimo album mi ci sono voluti due anni. Pensa solo se dovessi registrare una batteria oggi: ci vorrebbe un’ora solo per ascoltare tutte le cento opzioni di suoni a disposizione. Per preparare una base serve molto più tempo di una volta. La tecnologia ci offre troppe soluzioni, un’abbondanza di opzioni che può risultare utile ma anche controproducente perché ti vai a complicare la vita. Fare un mix oggi è davvero complesso.

Quarant’anni dopo celebriamo ancora I feel love. Perché?
Di motivi penso ce ne siano diversi. Indubbiamente per me lì dentro c’è tutta la forza del sintetizzatore, la mia grande passione. E’ un brano tutto basato sul sintetizzatore, e da lì nasceva quella musica del futuro che Brian Eno disse di aver sentito mentre registravo nello stesso studio a Berlino dove stavano incidendo lui e Bowie. Personalmente sono sempre stato interessato a tutte le novità che riuscivo a intercettare. Già prima di dedicarmi al sintetizzatore, avevo lavorato su un quattro piste e collaboravo con la Ibm, mentre con la Sennheiser ero riuscito a farmi produrre delle cuffie speciali. Poi è arrivato lui, il synthesizer. Mi girava da un po’ nella testa da quando avevo sentito Switched-on Bach di Carlos, poi sul suono e sul ritmo del basso abbiamo scelto di mettere la voce dolce e sensuale di Donna Summer. Prima avevo solo una base costruita sui numeri delle battute, la melodia non c’era. Questa è la verità.

E’ vero che continui a controllare regolarmente tutte le più importanti classifiche di musica pop?
Sono obbligato, bisogna essere aggiornati se si vuole stare nel giro. Non è che ascolto musica tutto il giorno, chiaro, però diciamo che monitoro le top-ten, per esempio quella di Billboard. A casa normalmente non ascolto musica, non ho neanche una radio, ma almeno una volta alla settimana mi siedo in salotto da solo con le mie cuffie e ascolto tutte canzoni in classifica dalla numero uno alla cento. Mediamente ce ne sono sempre dalle cinque alle dieci nuove. E poi mi tengo informato per capire che cosa si muove a livello musicale in posti diversi come l’America, l’Inghilterra, l’Italia, la Germania, il Giappone. Più che altro guardo tutti i video, perché sinceramente mi ricordo i pezzi di più per la parte visuale che per quella musicale. Mi restano più impressi ed è più semplice per me memorizzarli.

Che cosa pensi del cinema contemporaneo? Ti soddisfa?
Nelle sale cinematografiche ci vado poco. Non so darti un giudizio da spettatore. Però come membro dell’Academy ogni anno verso novembre mi danno i dvd di una settantina di film da visionare. A livello di colonne sonore noto una grande omologazione. I film con budget importanti, quelli costosi, hanno suoni che si assomigliano tantissimo. Se prendi i film d’azione, uno Spiderman o un altro film, c’è poca differenza, mentre nei film indipendenti e low budget trovi molta più varietà.

Hai ancora tanto materiale inedito da parte?
Quasi niente. Tre anni fa con il marito di Donna, Bruce, ci siamo messi a cercare dei pezzi originali di Donna, ma a parte un brano, non abbiamo trovato più nulla. Idem per le mie composizioni. Ho dei demo in cui suono delle cose, ma niente di più. Di brani incompleti o lavori non finiti, non ho più nulla. Per uno come Brian Eno, che è un artista, sarà normale avere un sacco di materiale da parte. A me fondamentalmente non è mai piaciuto lavorare troppo. In generale trovo piacevole comporre o registrare qualcosa se so per chi lo sta facendo, se ho un committente che mi ha richiesto quel lavoro, altrimenti se non ho un motivo non lo faccio.

Lavoravi duramente negli anni Ottanta? Che clima si respirava allora nel tuo ambiente?
Gli Ottanta sono stati molto intensi, Flashdance, Top Gun, la musica per Metropolis, lavoravo davvero come un matto. I ritmi non erano disumani, tutt’altro, perché iniziavo a lavorare alle 11 del mattino e finivo verso le otto, le nove di sera, ma era tutta la macchina che andava a mille e non riuscivo a fermarla. Tutti mi chiamavano e mi cercavano ed io accettavo tutte le proposte, ero sottoposto a una pressione fortissima, lo stress e l’ansia che derivavano dal fatto di promettere a tutti qualcosa, poi non avevo neanche un manager che avrebbe potuto farmi da protezione, da filtro. Sì, è stato un periodo molto duro dal punto di vista lavorativo, parlo per me ovviamente. Gli anni Settanta invece fantastici. Nel ’75 ho inciso Love to love you baby, poi c’è stato Midnight express, il mio primo film.



Il nuovo live che presenti alle Ogr come è composto?
Faremo quattordici brani. Soprattutto le hit, ma anche pezzi miei meno noti con il vocoder. Sul palcoscenico avrò con me sette musicisti tra batteria e percussioni, basso elettrico, chitarre, sintetizzatori, e poi violini, trombe, e i due ensemble, l’Heritage Orchestra e l’Ensemble Symphony Orchestra, oltre a due cantanti, e tre coriste. Saranno trentacinque musicisti in totale. Non mancheranno tutte le colonne sonore: Call me, Take my breath away, Flashdance, Cat people e poi I feel love, From here to eternity

Moroder non svela altro, ma abbiamo scoperto per conto nostro che la canzone con cui si chiuderà il suo concerto è Giorgio by Moroder, la traccia dei Daft Punk, con cui nell’album Random Access Memories l’hanno riportato di nuovo alla ribalta sulla scena dance mondiale.

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