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Giuliano Sorgini, quando Roma era uno ‘Zoo folle’

Dopo anni di silenzio, il compositore concede un’intervista per raccontare la sua esperienza nel mondo delle colonne sonore, della televisione, delle dinamiche politiche nell’Italia degli anni ’70

Foto: Flavio Boretti, su concessione di Four Flies Records

La musica da filodiffusione, così come quella scritta per programmi televisivi e radiofonici, per lungo tempo non è stata considerata rilevante quanto le colonne sonore cinematografiche, cadendo spesso in un oblio insieme a chi l’aveva composta. Per questa ragione, probabilmente, il nome di Giuliano Sorgini, Maestro nella Rai degli anni d’oro quando il palinsesto era dominato quasi esclusivamente da documentari e programmi culturali, potrebbe non esservi familiare.

Per quasi tutta la sua vita Sorgini ha evitato la Roma dei salotti di Cinecittà o la Prati mondana di Viale Mazzini, scegliendo una vita dedita al lavoro e alla musica, sonorizzando non solo progetti Rai, ma anche film sperimentali low budget e B-movies. Una tendenza di restare i margini della scena consacrata definitivamente nel 1996 quando il Maestro decide di isolarsi nelle campagne fuori Roma, ritirandosi completamente dalla scena. Negli stessi anni, però, sull’asse Giappone-Italia-Inghilterra, l’esplosione della retromania per la library music italiana prodotta tra la seconda metà dei ’60 e la fine dei ’70, riporta a galla una serie di artisti di nicchia del periodo, tra cui Sorgini, che ai tempi era rimasto oscurato dalla fama dei grandi compositori di quegli anni come Morricone o Piovani.

La vita ritirata ha però contribuito a creare il mito di Sorgini tra i collezionisti e i retromaniaci. Lungo la sua carriera, infatti, il compositore raramente ha rilasciato interviste, lasciando alimentare attorno a sé una serie leggende. Noi siamo però riusciti a raggiungerlo, non senza qualche difficoltà, per farci raccontare le sue esperienze, le dinamiche del mondo televisivo dell’epoca e le sue memorie su una Roma molto diversa da quella di oggi: quella degli anni ’70.

«Ho un po’ nostalgia della Roma di quegli anni, era una Roma limpida. Trastevere non era come oggi, era verace, c’era il popolo, la gente, le persone: c’era l’amore. Io mi reputo fortunato ad aver avuto la mia gioventù in un periodo dove c’era la libertà, la generosità, la spontaneità. Andavi a Piazza Trilussa e le persone ti chiedevano di prendere un caffè insieme, senza nemmeno conoscerti. Son felice di avere vissuto in un periodo così schietto».

Da un lato ritroviamo “l’Italia in bianco e nero”, in cui il ’68 non è ancora stato assorbito dal tessuto sociale popolare, ma che allo stesso tempo mantiene un senso di comunità, di mutuo soccorso tra le persone. Dall’altro, la politica extraparlamentare che si fa largo nelle manifestazioni della città. I Rioni non sono mai stati così caldi: dal rogo di Primavalle all’uccisione di Mikis Mantakas a Prati. Gli anni di piombo sono ancora oggi dall’opinione pubblica ricordati con dolore, come uno dei periodi più bui per l’Italia del Novecento. Torino, Bologna e Milano erano il fulcro delle proteste, ma Roma la culla della politica che le alimentava. Ed è proprio in questo clima dicotomico che il compositore sognava mete lontane e animali esotici attraverso synth, organi, percussioni ed archi, all’interno di uno studio di registrazione a pochi passi dagli scontri.

«Ho molto amato il mondo degli animali. Quando mi commissionavano i documentari, come quello di Zoo folle, li vedevo muti chiaramente. Tutte quelle immagini mi stimolarono molto la creatività per comporre musica, tante volte col filmato, tante volte con la fantasia sola. Per esempio, io non registravo i suoni degli animali direttamente, come il verso dei gabbiani o delle scimmie, li ricreavo in studio. Avevo, e ho ancora, un bagaglio gigantesco di musica elettronica, in cui tenevo registrazioni fatte da me per tutte le situazioni. Nel tempo ho catalogato tutti questi esperimenti dandogli titoli, in modo da avere un pacchetto di suoni pronti all’occasione».

Sorgini è stato uno dei pionieri della sperimentazione elettronica e dell’uso dei sintetizzatori per la composizione musicale. Nella seconda metà dei ’70, realizza diverse colonne sonore di horror per i kings of the B’s dell’epoca come Angelo Pannacciò, Salvatore Bugnatelli, Luigi Batzella e Guido Zurli. Era solito utilizzare una tecnica di stratificazione con i nastri, componendo una musica di background dominante, allo scopo di creare ambientazioni sinistre su cui sopra venivano introdotte altre incisioni per evidenziare movimenti e momenti presenti nella scena. «Ho fatto tanta musica elettronica, agli albori di quello stile. In Italia non era ancora una tecnica comune, ma perlopiù utilizzata da una piccola nicchia, perché era tutta sperimentazione. Qui, oltre alla conoscenza musicale, che io avevo dal conservatorio, entrava in gioco la tecnologia. Allora con i primi soldi che ho guadagnato dai diritti d’autore, ho iniziato a comprarmi sia i primi strumenti e sia l’attrezzatura adatta, in modo da essere autosufficiente. Da quel momento, mi son cimentato nel creare musiche elettroniche che dessero un certo spirito, un certo valore psicologico: una nuova musica concreta che ancora non era usuale sentire».

Negli stessi anni anche il collega Piero Umiliani inizia a produrre le prime sperimentazioni elettroniche e i due si ritrovano spesso a registrare nello stesso studio in Via San Tommaso d’Aquino, vicino a Piazzale Clodio. «Era il Sound Work Shop. Ci ho lavorato tantissimo lì e ci ho conosciuto Umiliani. Quando andavo in studio arrivavo con le parti di elettronica già registrate a casa dato che le facevo tutte io, in modo da dover solo registrare gli strumenti come il sax o gli archi. Quando si andava a fare il mixaggio, avevo bisogno di un turno soltanto per le musiche, perché le facevo su quattro piste. Mettevo direttamente il multitraccia sulla moviola per sincronizzare le fasce musicali con le scene. Una volta montato prendevo le colonne, andavo in sala di registrazione e le mixavo in una sola, e poi riportavo la colonna finale unica in moviola dove l’audio veniva assemblato alla pellicola, e il gioco era fatto».

Gran parte delle sue produzioni sono state colonne sonore per documentari o programmi culturali prodotti dalla Rai allo scopo di alfabetizzare l’Italia del tempo attraverso la televisione. Le collaborazioni di lunga durata all’interno dell’azienda di Viale Mazzini non si sono limitate a colleghi compositori come Alessandro Alessandroni (per il programma Telescuola), ma si sono consolidate anche attraverso i registi. La sua amicizia con Riccardo Fellini (fratello del celebre cineasta) lo porta a comporre una delle sue sonorizzazioni più famose: Zoo folle. Il disco era stato originariamente commissionato per il documentario di Fellini sulle condizioni di vita degli animali negli zoo delle metropoli occidentali come Roma, Londra e Parigi. Trasmessa dalla Rai in tre puntate in prima serata, la denuncia di Fellini voleva sottolineare il netto contrasto tra la vita degli animali in gabbia con la libertà che vivono nella natura e nelle riserve naturali. La soundtrack, adattandosi al documentario, diventa quasi un concept album dai suoni in parte tribali, come in Ultima caccia, e in parte psych e funk, come in Mad Town e Slaves.

«Ho viaggiato molto in Africa in quel periodo. Zoo folle voleva essere un documentario di denuncia sulla cattura degli animali che, rapiti dai loro habitat naturali e dallo stato libero, erano costretti a vivere dentro gabbie in città diventando matti, da cui appunto nasce il nome Zoo folle. Per l’occasione, quindi, andai in Africa anch’io, visitando parecchi villaggi. Sono stato sei mesi a Nairobi, girando tutta la savana e i posti più strani possibili e immaginabili, per vedere dal vivo com’era la vita là. Quando i registi tornarono con il materiale girato, io l’avevo già vissuto in prima persona e mi misi a registrare subito la colonna sonora. Mi ci sono divertito tantissimo».

Il ritorno in città, però, non è sempre piacevole, soprattutto nella Capitale di quegli anni. Tra scontri, manifestazioni e terrorismo extra-parlamentare, Roma era il vero zoo folle. L’ambiente televisivo, la Rai nello specifico, è sempre stata una realtà estremamente connessa alla politica e sensibile ai movimenti. «Io in quegli anni mi consideravo una persona libera, non credevo nella politica di allora, sono sempre stato uno contro, e infatti trovai molti ostacoli lungo il mio cammino lavorativo. Durante gli anni di piombo, e non solo, venivano a chiedermi di comporre musica di sinistra piuttosto che musica di destra. La musica è musica, specie nelle colonne sonore. Nei dieci anni di conservatorio non ho mai sentito la musica di destra o di sinistra. Sono sempre stato al di sopra – o al di sotto – di queste dinamiche, ma mai in mezzo. Prima di commissionarmi i lavori, quando mi chiedevano di che partito ero, io cercavo di metterla sul piano della risata, rispondendo “non sono mai partito, sono qui”, e spesso funzionava. Alla fine ho avuto delle belle soddisfazioni con tutte queste persone molto politicizzate. Ma io non sono politico in assoluto, sono apolitico: a me quello che mi interessa è la verità, la giustizia e l’amore, basta».

A raccogliere l’eredità del compositore negli ultimi anni è stata l’etichetta romana specializzata in library music Four Flies Records, ristampando varie raccolte come Occulto e altri celebri titoli di Sorgini. Tra queste spicca la colonna sonora di Zoo folle, completamente rimasterizzata e oggi arricchita, nella sua nuovissima seconda ristampa dopo un primo velocissimo sold out, da 15 tracce che compongono un intero secondo disco di materiale inedito. Una vera chicca imperdibile per gli appassionati di rare groove e gemme dimenticate della discografia italiana.

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