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Gli MGMT non sono finiti

Il singolo ‘Mother Nature’, il nuovo album ‘Loss of Life’, una missione: mettersi alle spalle conflitti e tristezze per essere se stessi. Parlano Andrew VanWyngarden e Benjamin Goldwasser

Foto press

Solo pochi anni fa, gli MGMT sembravano finiti. Esploso nel 2007 con l’esordio Oracular Spectacular e con le hit Kids, Electric Feel e Time to Pretend, il duo formato da Andrew VanWyngarden e Benjamin Goldwasser ha pubblicato due album, Congratulations e MGMT, che hanno diviso la critica e sconcertato i fan. E niente hit. È tutto cambiato nel 2018 con Little Dark Age, un ritorno ai pezzoni del debutto. La title track è esplosa su TikTok ed è stata ascoltata più di 500 milioni di volte su Spotify. Anche Congratulations e MGMT hanno i loro estimatori e sono invecchiati abbastanza bene, ma Little Dark Age ha dimostrato che Oracular Spectacular non era un episodio isolato e li ha fatti tornare in studio con rinnovata fiducia per il quinto album.

Qualche settimana fa, gli MGMT hanno iniziato a stuzzicare i fan accennando a un nuovo disco in arrivo. sostituendo i contenuti del loro sito col cartoon di una tartaruga che si muove lentamente verso una bandiera a scacchi. Ora sono pronti a dire al mondo che l’album si intitola Loss of Life e uscirà il 23 febbraio per Mom+Pop Records. Il singolo di lancio, Mother Nature, è accompagnato da un video animato diretto da Jordan Fish.

Abbiamo parlato con VanWyngarden e Goldwasser per parlare della realizzazione di Loss of Life che li ha visti lavorare col produttore di Little Dark Age Patrick Wimberly e col collaboratore di lunga data David Fridmann, della collaborazione con Christine and the Queens nella nuova Dancing in Babylon, della strana traiettoria seguita dalla loro carriera, della vita dopo i 40 anni, della versione live integrale di Oracular Spectacular.

Iniziamo da Little Dark Age: siete tornati a canzoni più accessibili dopo due dischi più sperimentali e fuori dagli schemi. È una descrizione semplificata, ma in linea di massima la vedete così anche voi?
Benjamin Goldwasser: Era più orecchiabile, soprattutto se confrontato con MGMT. Ma non credo che quest’ultimo fosse particolarmente sperimentale. Little Dark Age era più diretto. La cosa frustrante, per noi, è che MGMT ci era sembrato liberatorio, non ci siamo preoccupati della reazione della gente. E per certi versi siamo rimasti scottati. Ci siamo presi una pausa piuttosto lunga per riscoprire come fare musica insieme, cosa che era successa in Little Dark Age e ora anche con questo disco in uscita.
Andrew VanWyngarden: Credo che la sintesi che hai fatto sia vera, ma non è stata una cosa intenzionale. Non siamo prolifici, non abbiamo mai 100 canzoni tra cui cui scegliere. Creiamo man mano, mixiamo man mano. Mentre lavoravamo al nostro disco omonimo, tutto si è trasformato in una specie di sperimentazione, un collage, un caos. Per Little Dark Age abbiamo semplificato il processo e quindi è divenuto tutto più orecchiabile.

I numeri degli stream di Little Dark Age sono pazzeschi. Deve essere molto gratificante.
VanWyngarden: È semplicemente incredibile. È una di quelle cose che non potresti mai pilotare o cercare di far accadere. Non siamo molto attivi sui social, soprattutto su TikTok, ma magicamente, in modo spontaneo, qualche anno fa la title track di Little Dark Age è diventata un brano trending su TikTok. Ci sono gruppi che hanno pubblicato la loro versione TikTok.

Soltanto su Spotify, ha 500 milioni di stream.
Goldwasser: Per me è incomprensibile. Non è che siamo completamente a digiuno di cultura pop. So chi è Taylor Swift. Ma il successo significa cose diverse per persone diverse. Noi siamo rimasti nel nostro piccolo mondo. Abbiamo fatto un sacco di concerti per quel disco, e anche per gli altri, e abbiamo una fan base fedele: questo è il successo per noi. I nostri fan sono disposti a prendersi dei rischi con noi. Ma c’è anche un’altra narrazione, più mainstream, per cui saremmo usciti dal tunnel e riemersi  anni dopo. Non è andata così, siamo solo stati impegnati a fare musica.

Avete terminato il tour qualche mese prima dell’arrivo della pandemia. Cosa avete fatto durante il lockdown?
VanWyngarden: A partire dal 2019 ho frequentato spesso Los Angeles e dopo che ho incontrato una persona ho iniziato a passarci ancora più tempo. Ero lì quando è esploso il Covid e ho passayo tutto il lockdown in New Mexico. È stato bello, perché lì potevo ancora uscire, anche se era tutto chiuso. Potevamo fare delle escursioni e avevo con me il cane di mia madre. Io e Ben eravamo in contatto, ma non abbiamo lavorato a cose nuove.
Goldwasser: Durante il lockdown ho lavorato con Karen O alla colonna sonora di un film d’animazione [Where Is Anne Frank] che però non ha mai avuto una distribuzione vera e propria. Comunque non si trattava di una pausa consapevole dagli MGMT, più che altro era una mia sfida personale e un modo per distrarmi dal Covid.

Quando avete iniziato a pensare seriamente al disco nuovo?
VanWyngarden: Siamo andati nello studio di Dave Fridmann a fine maggio-inizio giugno del 2021.
Goldwasser: È stata la prima volta che lui ha avuto di nuovo gente in studio, dopo il lockdown. Era molto cauto, e anche noi lo eravamo. Non sapevamo che stavamo solo cazzeggiando o facendo un disco. Ci è voluto un po’ di tempo per capirlo.

Di solito iniziate i pezzi separatamente e poi mettete insieme le idee?
Goldwasser: Il disco è stato fatto per lo più separatamente, un po’ come Little Dark Age, anche perché abbiamo lavorato di nuovo con Patrick Wimberly. È stato molto bravo a gestire il materiale vivendo noi due sulle coste opposte. Ci siamo poi trovati per un paio di settimane di lavoro intenso e abbiamo messo insieme i pezzi.
VanWyngarden: Per quasi tutti gli album che abbiamo fatto come MGMT ci siamo detti la stessa cosa: cerchiamo di semplificare e non metterci troppa carne al fuoco. Poi finisce sempre che accumuliamo troppa roba. Ma questa volta abbiamo finalmente trovato un equilibrio.
Goldwasser: Per molto tempo abbiamo avuto paura che la gente pensasse che non eravamo noi a fare le cose in studio. Ci è venuta la voglia di dimostrare quel che siamo in grado di fare. Per questo disco, poi, non abbiamo dovuto lottare contro qualcosa. È stato fatto senza sforzo. Abbiamo maturato una sicurezza che forse prima non avevamo.

Per la prima volta non siete su major. È stato liberatorio? Ha avuto qualche impatto sulla musica?
Goldwasser: Credo che l’impatto maggiore sia stato psicologico. Non che avessimo un brutto rapporto con la Columbia, ci hanno sempre lasciato fare, ci hanno permesso di rischiare, di pubblicare cose che si sapeva non sarebbero andate alla grande. A loro andava bene così e gliene siamo grati. Ma credo che ci sia sempre stato qualcosa che si annidava nei meandri della nostra mente. Non voglio dire che c’era una nuvola scura su quel che facevamo, sarebbe una cattiveria, dico solo che non eravamo noi stessi al 100%. C’era sempre qualcuno a cui dovevamo rendere conto, oppure conversazioni in cui eravamo obbligati a spiegare cose e dei non-musicisti.
VanWyngarden: In quella situazione del genere finisci per dubitare di tutto. Lavorare con la Columbia non è mai stato sgradevole, bisognava comunque passare al vaglio di tutti e tutti commentavano e manifestavano il loro pensiero. «E se il ritornello fosse arrivato prima?». Se elimini questa roba, è tutto molto più libero.
Goldwasser: Una volta che abbiamo lasciato l’etichetta, ci siamo detti che non doveva più accadere una cosa del genere. Vogliamo incidere un disco e quando l’abbiamo finito vogliamo che ci piaccia ancora ciò che abbiamo fatto e vogliamo essere entusiasti di condividerlo con la gente.
VanWyngarden: Poi, paradossalmente, tutto questo ci ha resi meno permalosi e meno attaccati alle nostre cose. Penso che ci abbia insegnato a lavorare con altri produttori e collaboratori in modo da apprezzare e recepire il loro contributo e il loro punto di vista. La dinamica che si instaura con un’etichetta ti rende quasi possessivo e vuoi essere sicuro le cose restino tue, per via delle molte interferenze.
Goldwasser: Non ricordo esattamente cosa c’era scritto nel nostro contratto, ma un’uscita per una casa major deve comprendere un certo numero di canzoni o durare un certo numero di minuti e tu devi essere autore di una certa percentuale di musica. Alla fine dell’intero processo, ci si chiede: «Abbiamo superato il test? Abbiamo fatto tutto per bene?». Ma pensare a un’opera creativa in questi termini ti mangia l’anima.

Parliamo del primo singolo, Mother Nature. Nei comunicati stampa parlate di una certa assonanza con Oasis.
VanWyngarden: Non avrei mai creduto che sarebbe accaduto in un disco degli MGMT, ma eccoci qua. È divertente ed è letteralmente l’unica volta che succede: per 10 secondi sembra di sentire gli Oasis, ma in tutto il resto dell’album non c’è traccia degli Oasis.
Goldwasser: Il nostro ingegnere del suono Miles è un fan degli Oasis. Quando ho registrato il bridge con la chitarra, e io non sono affatto un chitarrista, ho uno stile pessimo, ho chiesto a Miles se poteva tirare fuori un suono di chitarra alla Oasis. E lui: «Stavo aspettando che qualcuno mi facesse questa domanda».
VanWyngarden: E poi incredibilmente tu, chitarrista dilettante, in questa canzone ti trovi a suonare con uno dei migliori chitarristi del mondo, Nels Cline.
Goldwasser: Il mio timore più grande è che non voglio che si pensi che sia Nels Cline a suonare la mia parte di chitarra. Sento che gli farei un grosso torto.

Cosa mi dite di Dancing in Babylon e della decisione di coinvolgere Christine and the Queens e Danger Mouse?
VanWyngarden: È un pezzo sciocco e scherzoso su una coppia di Rockaway Beach che conoscevo appena, Catherine e Bobby. Era tipo  una canzone dei Magnetic Fields di quelle allegre, carine. Alla Belle and Sebastian o qualcosa del genere. Ci sembrava dovesse diventare un duetto, una volta coinvolta Christine and the Queens la canzone è diventata una Total Eclipse of the Heart o una ballata dei Roxy Music.

In I Wish I Was Joking cantate: “Nessuno mi chiama il gangster dell’amore”. Da dove viene il riferimento a Steve Miller?
VanWyngarden: In The Joker lui canta: “C’è chi mi chiama il cowboy spaziale / C’è chi mi chiama il gangster dell’amore”. È esagerato. Mi piaceva l’idea che qualcuno dicesse: “Nessuno mi chiama il gangster dell’amore”.

Little Dark Age era piuttosto cupo, a volte. Qual è il mood di questo disco?
VanWyngarden: Il titolo è Loss of Life e quindi la gente, senza ascoltare la musica, si immagina che siamo diventati più cupi e disperati. Invece, nella mia testa, è esattamente il contrario. Ha più il senso di una liberazione grazie all’amore.

Sembra un buon momento per voi, visto anche che l’ultimo disco ha avuto un’ottima accoglienza.
VanWyngarden: Credo di sì. Ma non ci preoccupiamo di quel che pensano gli altri, né cerchiamo di essere strani a ogni costo. Siamo semplicemente noi stessi. Non abbiamo paura che alla gente non piaccia.

Qualche mese fa avete suonato Oracular Spectacular per intero al Just Like Heaven. Era la prima volta che facevate una cosa del genere: come è stato?
VanWyngarden: Ci siamo divertiti tantissimo e ci siamo davvero impegnati al massimo. Abbiamo dedicato molto tempo ed energia a ricreare le canzoni, ci siamo divertiti a riesumare le registrazioni del 2006-2007 e a ricampionare noi stessi. Volevamo che il tutto rievocasse lo spirito di ciò che eravamo nel 2004 e credo che ci siamo riusciti.
Goldwasser: Rivisitare l’album è stato un vero trip, ma eravamo consapevoli del motivo per cui ci hanno chiamati. Siamo stati definiti una band “culturalmente importante” da una certa generazione di persone a cui quel festival chiaramente è rivolto e abbiamo sentito la necessità di rispondere in qualche modo, o comunque venirci a patti. Alla fine è stata un’esperienza stimolante quella di ripescare vecchie tracce demo che avevamo registrato per il disco. È stato un lavoro tosto, ma anche un’esperienza fantastica. E a godersi la musica non c’era solo la nostra generazione, ma persone di ogni età. È stata una sensazione incredibile.

Lo rifareste?
Goldwasser: Se ne è parlato, ma il disco nuovo ci ha tenuti occupati. Vogliamo concentrarci soprattutto sulla musica nuova, perché è da tanto che non ne pubblichiamo. Vedremo, sarebbe divertente rifarlo.

Lo scorso anno avete compiuto 40 anni. Com’è stato?
Goldwasser: Non mi ha quasi sfiorato. Ho passato il compleanno in una baita nei boschi con mia moglie per un paio di giorni, tutto molto tranquillo, con del buon cibo. È da un po’ di tempo che provo a rallentare i ritmi. E nel compiere i 40 anni forse scatta qualcosa che ti autorizza a rallentare anche nei confronti del mondo. Ora posso davvero essere il vecchio che sono sempre stato.

E tu, Andrew?
VanWyngarden: Non saprei. Sto bene. Credo di aver comprato due paia di pantaloncini da mare vintage della Billabong. E sicuramente ho preso un paio di dischi in vinile del 2006. Credo di aver avuto un piccolo flirt con la crisi di mezza età, ma a parte questo tutto ok.

State organizzando un tour? Andrete in giro per il mondo?
Goldwasser: Non lo sappiamo ancora, di preciso. Soprattutto stiamo cercando di evitare… sai, non ci sentiamo molto a nostro agio on the road, non è mai stato il nostro ambiente naturale e ci siamo sempre visti più come una band da studio. In passato abbiamo tour molto pesanti, ovunque, e alla fine eravamo così stanchi che non siamo riusciti a pensare di fare musica per molto tempo. Ora cerchiamo di pubblicare e promuovere la musica senza perdere la scintilla che ci fa venire voglia di continuare.

Nessuno però vi obbliga a fare nulla. Potreste fare 10 concerti e fine.
Goldwasser: Magari lo faremo. Vogliamo essere felici e sulle buone sensazioni che ci dà il fare musica. Questo è il punto.
VanWyngarden: Preferisco le cose casalinghe, cucinare, stare a casa, uscire, cose così. Non stiamo dicendo che non andremo di nuovo in tour, ma per ora non abbiamo niente di programmato.

Siete uno dei pochi duo, nella storia della musica, che dopo un paio di decenni sembrano ancora piacersi sinceramente. Come ci siete riusciti?
Goldwasser: È stata da subito una partnership paritaria. È fondamentale rimanere amici e non litigare per questioni di lavoro. Le divisioni nascono quando il lato business diventa più importante del resto.

Quali sono i progetti per i prossimi due anni?
VanWyngarden: Siamo concentrati sul futuro prossimo, stiamo realizzando dei video molto divertenti, siamo coinvolti in tutte le decisioni creative, dalla grafica al trattamento dei video. È di nuovo divertente, non è più tutto ammantato da un velo di tristezza. Ma non sappiamo come saranno i prossimi due anni. Spero che faremo una residency allo Sphere.

Sarebbe fantastico. Ho appena visto gli U2, lì, ed è stato incredibile.
Goldwasser: Sembra divertente. Con lo show al Just Like Heaven si è sbloccato qualcosa. Non ci consideravamo il tipo di band in grado di fare una cosa del genere. Ma l’abbiamo fatta, alla nostra maniera non convenzionale.

Forse in passato sarebbe stato più semplice scrivere altre canzoni tipo Kids o Electric Feel. Ma se aveste imboccato quella strada, non credo che oggi sareste qui.
Goldwasser: Siamo incredibilmente fortunati a poter fare una cosa che ci piace davvero, per campare. Non abbiamo mai pensato al successo in termini di riconoscimenti o guadagni. Non vorrei mai rovinare tutto facendo qualcosa che non ci piace solo perché ci porterebbe più denaro o un avanzamento di carriera di qualche tipo. Se ragionassimo così, perché mai dovremmo fare questo mestiere? Ci sono tanti lavori più stabili in cui si fai cose che odi, ma almeno lì lo stipendio è sicuro.
VanWyngarden: Non è stato sempre facile, ma ci siamo ripreomessi di essere noi stessi.

Da Rolling Stone US.

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