Persino negli anni ’70, quando il panorama musicale italiano era particolarmente ricco, non si era mai sentita una band che sapesse muoversi tra la canzone e la musica contemporanea. Ascoltare un album degli Opus Avantra significava immergersi in uno spettro sonoro nel quale Mina andava a braccetto con Stockhausen, e in mezzo a questi due opposti trovavano spazio l’elettronica astratta, il barocco, l’opera, le atmosfere fin de siècle francesi e il rock sinfonico.
L’esordio del 1974 Introspezione (uno dei dischi di prog italiano più amati all’estero, addirittura mitizzato in Giappone) è antico, macabro, morboso, erotico. Tra altalene, asili, suore, marmellate, carillion e orgasmi simulati, l’album descrive il viaggio interiore di una giovane donna che parte dai ricordi di infanzia e arriva alla consapevolezza dell’amore e della sessualità.
Dopo l’esordio, gli Opus Avantra hanno continuato a pubblicare dischi sempre più improntati alla sperimentazione, fino all’ultimo Loucus (Nel luogo magico) che riporta ai climi incantati di Introspezione. Più laboratorio artistico che gruppo musicale, gli Opus Avantra sono sempre stati guidati dal filosofo-musicista Giorgio Bisotto, dal compositore Alfredo Tisocco e dalla cantante Donella Del Monaco, quest’ultima nipote d’arte.
Sei la nipote del celebre tenore Mario Del Monaco, com’è stato crescere con una personalità del genere?
Mio zio era un mostro sacro, ma anche una persona amabilissima. Vivevamo a stretto contatto perché lui e mio padre, insegnante di canto che aveva messo a punto una tecnica usata anche da mio zio, erano molto legati. Puoi immaginarti i personaggi incredibili che transitavano per casa: solo per farti due nomi Maria Callas e Renata Tebaldi.
Non potevi non diventare una cantante, quindi.
Non hai idea dell’ansia che provai quando decisi di cimentarmi anche io nel canto. Avevo già avuto qualche esperienza in un coro, ma buttarsi seriamente era un’altra cosa. Inizialmente l’ho fatto in gran segreto, avevo troppa paura del giudizio di mio zio.
Si può capire.
Pensa che Introspezione l’ho fatto di nascosto, non ho detto niente a casa. Ero coinvolta in un lavoro che alle sue orecchie di cantante lirico sarebbe risultato trasgressivo, già solo il pensare che mi avrebbe sentito cantare con la voce a volte impostata altre pop per me era terribile. Un giorno però successe l’irreparabile: Introspezione era appena uscito e un grande negozio della Ricordi qui a Treviso aveva allestito una vetrina tappezzata completamente del nostro disco. Per combinazione mio zio capitò proprio in quel negozio. Il direttore gli chiese se questa Donella Del Monaco fosse sua parente. Lui cadde dalle nuvole: «È mia nipote, ma canta? Io non ne sapevo niente». Allora chiamò mio padre e chiese a lui, ma anche mio padre non seppe dargli una risposta, era egli stesso sbalordito.
Come andò a finire?
Finì che mio zio mi convocò insieme a Giorgio Bisotto a casa sua per ascoltare tutti insieme questo disco, con anche i miei e sua moglie. Una vera riunione di famiglia in una sala fatta apposta per l’ascolto dei dischi, con un bellissimo impianto stereo e casse enormi che garantivano un suono perfetto. Io e Giorgio ci eravamo fatti piccoli piccoli, terrorizzati da quello che sarebbe potuto essere il responso del grande tenore. Lui mise su il 33 giri e lo ascoltò tutto con grande attenzione. Alla fine ci disse che gli piaceva, lo trovava un po’ strano ma riconosceva il suo valore. Disse anche che io ero brava a cantare ma che la mia strada doveva essere quella dell’opera, non del pop. Da quel momento prese a martellarmi così tanto con quell’argomento che alla fine diventai veramente una cantante d’opera.
Pensi che il tuo coinvolgimento negli Opus Avantra fosse anche un modo di ribellarti all’ambiente nel quale eri cresciuta?
Può essere. Ero circondata da cantanti lirici e, volente o nolente, conoscevo tutte le arie d’opera fin da bambina. Quando però ero adolescente mi innamorai dei Beatles che a casa mia non si ascoltavano. Ma non pensavo di fare la cantante nella vita, ho studiato architettura, mi sono laureata giovanissima e avevo già ottenuto un posto come ricercatrice. Immaginavo che quella sarebbe stata la mia strada.
Come nasce quindi il progetto?
Dopo la laurea ho iniziato ad avvertire una specie di inquietudine che non riuscivo a decodificare, fu un sogno a farmi capire che forse stavo sbagliando percorso e che la musica avrebbe dovuto rivestire un ruolo più importante. Anche per quello che mi concentrai su essa in gran segreto, tutti si aspettavano da me che facessi ciò per cui mi ero laureata. Così mi misi a studiare un certo tipo di canto sui dischi di Mina e poi andai a Milano dall’insegnante di Ornella Vanoni. Nel frattempo avevo conosciuto Giorgio al quale mi ero legata, lui mi spronò ancora di più a dedicarmi al canto, con l’idea di coniugare il mondo classico-contemporaneo con quello del rock.
In poche parole per mettere su un gruppo prog.
Esatto, solo che a quei tempi non si chiamava prog, era detto semplicemente pop
Chi erano gli artisti del genere che più ti colpivano?
Avevo da poco ascoltato Pollution di Franco Battiato ed ero rimasta folgorata, oppure Palepoli degli Osanna e Aria di Alan Sorrenti. Ero sbalordita da come questi artisti riuscissero a creare sonorità mai sentite prima, mi entusiasmavano perché proponevano una musica libera, senza paletti.
I vostri primi approcci a livello discografico?
Entrammo in contatto con Tony Tasinato che all’epoca era il manager di Patti Pravo, un tipino ricchissimo e ammanicato con tutta l’Italia musicale. Gli parlammo del progetto che avevamo in mente e lui ci propose di unire le nostre forze con quelle di un compositore che seguiva: Alfredo Tisocco. Lo incontrammo, ci fu subito intesa e capimmo che era la persona giusta per noi. Al progetto si unì poi il giornalista di Ciao 2001 Renato Marengo che divenne il nostro direttore artistico.
Come si è svolto il lavoro di composizione per Introspezione?
Tisocco mi ha proposto varie idee di brani che poi io ho rivisto secondo la mia sensibilità e vi ho adattato i testi. Giorgio invece si è occupato delle partiture più astratte, come il pezzo iniziale completamente elettronico. Ci sono poi varie invenzioni del momento, la parte finale de La marmellata ad esempio è basata su una parte rovesciata di pianoforte che suonava molto bene, più di quella dritta.
Quale è il concept che ruota intorno al disco?
Si tratta della presa di coscienza, da un punto di vista autobiografico, di una giovane. Dai ricordi d’infanzia (la marmellata, l’altalena, il carillon, il giardino delle suore, ecc.) alla consapevolezza della propria femminilità, anche dal punto di vista fisico e dei sentimenti.
La copertina di Umberto Telesco è qualcosa di magico e misterioso.
I due bambini rappresentano l’inizio dell’introspezione. Quello nel retro guarda la più grande che poi si scoprirà donna. In primo piano c’è anche una penna di pavone per ricollegarsi alla canzone. Nell’interno invece ci sono io con il violinista Enrico Professione, siamo al caffè Florian di Venezia e impersono la donna che sono diventata a seguito dell’introspezione.
Nelle note del disco c’è scritto che il progetto Opus Avantra è nato da una discussione in macchina.
È vero. Mio cugino ci aveva invitati ad assistere a una sua regia d’opera a Dortmund, in Germania. Eravamo io, Giorgio e Marengo. Andammo in macchina, ma al ritorno incappammo in una tormenta di neve e fummo costretti a procedere a passo d’uomo. Lì cominciammo a parlare e venne fuori una discussione agguerrita sulla direzione musicale che avrebbe dovuto seguire il gruppo che stavamo formando. Io e Giorgio propendevamo per creare un progetto di rottura che mescolasse vari stili. Marengo invece era più orientato sul discorso canzone. Alla fine ci accordammo per muoverci tra AVANguardia e TRAdizione.
Quindi la tradizione del tuo retroterra operistico e l’avanguardia della canzone e della musica contemporanea.
Il lato contemporaneo usciva fuori soprattutto da Giorgio che era informatissimo su quel mondo. Era un periodo d’oro per quel genere e lui ne ha attinto a piene mani inserendo le sue composizioni avanguardiste nel nostro tessuto. Io ero più preparata nel filone classico, antico, barocco, ecc. Però mi piaceva anche il pop e avevo studiato all’università le connessioni tra architettura e musica. Mi appassionava il Gruppo 63, la poesia visiva e il suo corrispettivo musicale. Avevamo un bel retroterra di stimoli e influenze.
Non eravate un gruppo normale con musicisti dai ruoli definiti, tutto ruotava intorno a te, Bisotto e Tisocco.
Le menti erano le nostre, con Marengo che ci dava spunti ulteriori e curava i rapporti con i media. Poi volta per volta coinvolgevamo vari musicisti per arricchire le nostre partiture. Facendo due calcoli nella nostra storia abbiamo lavorato con più di 100 strumentisti dalla svariata estrazione.
Nel tempo Opus Avantra è diventato uno dei gruppi più blasonati del prog italiano, a livello mondiale. In Giappone vi adorano.
Ci sono in tutto il mondo appassionati di questa musica e sono felice del riconoscimento. Non ci siamo mai sbracciati per diventare famosi o chissà che altro. L’interesse però permane e si allarga, i dischi vengono sempre ristampati e io faccio tante interviste. Pensa che l’80% della mia carriera l’ho fatta come cantante classica, la mia vita è stata nei teatri, con centinaia di concerti, opere, interpretazioni di Satie, Schoenberg e molti altri protagonisti del ‘900. In realtà però vengo ricordata quasi sempre e solo per gli Opus Avantra, quindi vuole dire che un segno in qualche modo lo abbiamo lasciato.
A tuo nome hai inciso vari album tra i quali un disco con la Cramps, Schoenberg Cabaret. Com’era lavorare con Gianni Sassi?
Durante le prove per quel disco vivevo a casa sua a Milano, dove abitava con la sua compagna Valeria Magli. Ho incrociato personaggi di tutti i generi, come il poeta Nanni Balestrini che la sera ha cenato con noi e il giorno dopo è scappato in Francia perché era stato indagato per terrorismo. A casa di Gianni ho conosciuto anche gli Skiantos, spassosissimi e molto intelligenti, gli Area e Demetrio Stratos. A dire il vero non capivo se Sassi fosse molto ricco o molto povero: da un lato c’erano feste incredibili e champagne in frigorifero, dall’altro una volta sono venuti a consegnargli un avviso di pignoramento dei mobili. Ricordo che quel giorno ero con Valeria ma lei non si scompose, «Gianni provvederà», mi disse soltanto.
Loucus, il vostro lavoro uscito da poco, sembra tornare alle atmosfere di Introspezione.
È un disco molto meditato, pensa che ci abbiamo messo dieci anni a completarlo. C’è anche l’ultimo contributo di Giorgio Bisotto, purtroppo venuto a mancare. Firma una composizione che si chiama Aisha intoccabile, completata poco prima di lasciarci. Il brano ha una storia particolare: Giorgio da giovanissimo era scappato di casa ed era entrato nella Legione Straniera. Qui aveva conosciuto una giovanissima. Nella Legione infatti trovavano spesso rifugio anche donne che scappavano da matrimoni imposti o vari disagi, a queste venivano affidate mansioni di vario tipo. La ragazza chiamata Aisha non riuscì però a sfuggire alla violenza, siccome aveva abbandonato il marito ed era disonorata fu uccisa dai suoi fratelli nelle strade di Casablanca. Giorgio si è portato per anni questa storia nella coscienza fino a quando l’ha trasposta in musica. Nel brano declama una frase in francese che dice “Dov’è la tua anima?”, ricordando quella vicenda ma anche chiedendo a se stesso quale sarebbe stata la sua sorte dopo la dipartita.
Tra poco saranno i 50 anni degli Opus Avantra, avete in programma qualcosa?
Per festeggiare il cinquantenario uscirà un cofanetto con i nostri cinque album in vinile e CD, un libro, una penna di pavone e un manifesto dell’epoca.
Cosa ne pensate del vostro essere etichettati come ensemble prog?
Forse il prog come lo si intende comunemente è una cosa un po’ diversa da quello che siamo. Da un certo punto di vista non nego che anche noi siamo parte di quel mondo, ma la nostra musica si è sempre mossa tra influenze diverse, vedi appunto l’avanguardia o il fatto di essere aperti a molte collaborazioni che ci hanno permesso un tipo di evoluzione più ampia.
È indubbio infatti che nei primi anni ’70, momento di grande riscontro per il prog, la vostra proposta fosse assai particolare. Con quale tipo di pubblico volevate comunicare?
Volevamo raggiungere più persone possibile e lo spirito di quei tempi ci faceva pensare che ciò sarebbe potuto accadere. Eravamo tutti parecchio idealisti, ci sentivamo i fondatori di una nuova civiltà, anelavamo a una rottura delle classi sociali, all’uguaglianza dei diritti e a pari opportunità per tutti. Sapevamo di volere creare una nuova forma di civiltà più evoluta e progredita e tutto questo si traduceva nella musica, che non doveva essere suddivisa in generi, o meglio, li avrebbe dovuti comprendere tutti. Volevamo trasmettere arte, anima, perché un popolo senza arte e senza anima non è un popolo ma solo una massa.